Noi tutti,
credo, siamo vittime della rivoluzione postmoderna del linguaggio, una rivoluzione sostanzialmente heideggeriana,
da Heidegger, (1889-1976) filosofo tedesco molto amato a
sinistra, al punto da rimuovere, in sede di valutazione critica coerente e generalizzata, il fatto che
fosse nazista delle peggiore specie, perché pur avendo scritto moltissimo,
nessuna riflessione seria ebbe a fare sulle vicende dell’intellettualità
tedesca, completamente stravolta da Hitler, senza neppure un gesto di
solidarietà nei confronti del suo maestro Husserl, filosofo di pari spessore, estromesso
dall’università perché ebreo. Comunque
lo cito perché una delle sue caratteristiche consiste appunto nel aver
rielaborato un linguaggio tutto suo, per cui ogni volta doveva spiegare il
significato che conferiva ai termini che usava, in quanto si discostavano
dall’uso comune. Un po’ come ci succede oggi, quando siamo costretti a
rinominare concetti una volta assai noti ma con altro nome. Ma sin qui è ancora
poco, perché vi sono parole che invece sono state estromesse dal linguaggio
comune, e con essa i concetti che volevano esprimere. Il termine imperialismo
è tra questi, e così pure il concetto sottostante. Oggi non esiste nessun altra
parola che possa spiegare il concetto
e chi si volesse cimentarsi deve
ricorrere necessariamente a circonlocuzioni, perché è innegabile la sua
consistenza e la sua attualità, salvo a credere davvero che i conflitti in atto
in più parti del mondo, in aggiunta a quelli sempre più minacciosi che si
profilano all’orizzonte, siano una effettiva esigenza di “esportare la democrazia”.
La notizia di qualche giorno addietro, dominante
su tutti i massmedia è che Obama è stato rieletto presidente degli Stati Uniti.
In altri post di questo blog mi sono già intrattenuto sull’argomento Usa come
sistema di potere e di apparato politico, economico e militare, in grado di
sottomettere, con chiara tendenza a farlo, tutto il resto del mondo. Ecco tutto
ciò una volta lo si poteva dire con una sola parola, imperialismo appunto, che per la verità implicava
anche dei meccanismi economici, solo che ora è un termine demodé , ed il pronunciarlo suscita ripulsa o derisione. Ma oggi Obama è
stato rieletto e quasi tutta la sinistra italiana festeggia, perché la nostra è
una sinistra prevalentemente obamiana. Sia chiaro che se fossi un cittadino
americano avrei votato Obama anch’io, perché tra Obama e i repubblicani c’è
poco da scegliere, e dirò di più, se a noi italiani fosse concesso di votate
per le presidenziali americane sarei quasi contento, perché sotto il profilo
della democrazia reale sarebbe un passo avanti rispetto alla possibilità di
contribuire seriamente agli assetti di potere che ci riguardano direttamente;
invece siamo una colonia e possiamo votare solo quelli che i presidenti Usa
voglio che si voti. E’ così che mentre su RaiNews24 vedevo la diretta del discorso di
Obama che festeggiava sostanzialmente se stesso per la sua vittoria, ammiravo
la sua retorica e il suo eloquio davvero brillante, e mi veniva da paragonarlo
ai discorsi dei nostri Monti, Napolitano, per tacere della Fornero, capaci solo
di irritare e di dire bugie evidenti. Obama invece non dice bugie, o comunque
non basa la sua retorica sulle bugie come si usa fare da noi, tutt’al più tace
verità incombenti. Quel che a sinistra
in Italia non si vuol capire è che le bugie italiane sono funzionali alle
verità obamiane. Il caso più clamoroso e sintomatico è il caso Marchionne:
cognome italiano, che appare come l’amministratore delegato di una società
italiana, la Fiat appunto, che sta per Fabbrica
Italiana Automobili Torino. Peccato che di italiano la Fiat ha ben
poco. Sfido chiunque, dopo le note vicende sindacali e gli interventi pubblici
di Marchionne a scorgere una qualsivoglia tensione o attenzione per la vendita
di automobili del marchio Fiat nonostante questo dovrebbe essere il suo
mestiere principale. Invece il suo massimo sforzo sta nel destabilizzare i
rapporti sindacali in Italia, in modo conforme a quelli statunitensi. Notoriamente
Marchionne è impegnato anche nella Chrysler che invece va a gonfie vele, grazie
anche alle sovvenzioni di Obama. Peccato che tra tutti i commentatori che hanno
rilevato questa apparente contraddizione nessuno, almeno tra quelli che mi
successo di leggere, ha rilevato che è una contraddizione apparente, perché il
dato è voluto. Obama ha vinto non solo perché sa parlare, ma perché ha
effettivamente invertito un trend occupazionale in Usa che stava diventando
davvero insostenibile per gli alti tassi di disoccupazione, incentivando la
reindustrializzazione del Paese, dopo la ubriacatura delle delocalizzazioni,
tra cui quella dell’automobile, e in questo avere una concorrente in meno come
la Fiat, fa gioco. Inoltre Obama ed è tornato
ad cercare il consenso dei ceti medi, anche immigrati da ogni dove ma
soprattutto latinos, quei ceti medi
che le amministrazioni Bush avevano penalizzato pesantemente il cui consenso
non era ritenuto necessario per la stabilità del potere in grazie alle
folgoranti vittorie sul campo, che invece si sono tramutate in sconfitte. In
definitiva Obama ha vinto perché ha superato una terribile crisi finanziaria,
foraggiando le banche e scaricando la crisi sull’Europa, potendo lui avere
libertà di spesa, mentre noi dobbiamo rientrare obbligatoriamente dal debito,
per costituzione. Ma Obama, come fenomeno simbolico, come personaggio liberal , di colore, come esponete di quelle forze progressiste americane interessate
più allo sviluppo della nazione che alla conquista del mondo, deve il suo
successo non solo alle sue indubbie capacità politiche e culturali, alle sua
capacità di manipolazione massmediatica, ma anche e soprattutto alle sconfitte
sul campo rimediate da Bush e dalle forze economiche che lo appoggiavano. Ma
noi abbiamo contribuito pesantemente a quella politica di aggressione senza
riuscire a coglierne i significati più autentici, abbiamo versato il sangue di
diversi nostri giovani, e l’abbiamo sostenute economicamente, mentre da noi si
tagliano i posti letto negli ospedali e
si distrugge la scuola pubblica perfino nelle sue strutture edili. Comunque
giovi ricordare che tali politiche aggressive poi sono continuate con Obama, si
veda la Libia e la Siria, perché in politica estera le differenze tra i partiti
che si alternano negli Usa sono praticamente inesistenti. Obama si è limitato a
“scalare la marcia” mantenendo però la stessa direzione. Ma noi abbiamo finanziato, quota parte, per il
resto si vedano Grecia e Spagna ma non
solo, la ripresa americana e la vittoria
di Obama col taglio delle nostre pensioni, con una politica iperliberista buona
in Europa ma cattiva in Usa come in
Germania. Peccato che le cose sono interconnesse e funzionali le une alle altre
sulla base dei dati di cronaca, non di complicate analisi bocconiane. Così
Obama esalterebbe la democrazia perché conta su un sistema elettorale assai discutibile
per più versi, ma almeno consolidato, mentre da noi si modifica ogni volta il
sistema in funzione del vincitore designato, e in questi giorni la legge di
modifica di tale sistema pare un cantiere aperto. Come giustamente osservava
Santoro, nella sua fortunata trasmissione “Servizio Pubblico” in onda su “La 7”
giovedì 8 u.s. succede che in America il sistema elettorale è certo e
tutta l’incertezza si riversa sull’esito, per cui Santoro usava il termine “pedalare”
riferito alle fatiche elettorali di Obama, mente da noi di da per certo l’esito
elettorale, nel senso che nessuna delle forze ora in parlamento si sogna di
ridimensionare Grillo, e pertanto si accingono a truccare le carte nel gioco
elettorale per l’ennesima volta, onde vanificare le scelte dell’elettorato. Notizia commenta sulla stampa del 7 u.s. è che in parlamento si sta una modifica della
legge elettorale, che paradosso dei paradossi, in teoria sarebbe più
democratica perché sposta in alto la soglia per il premio di maggioranza, ma in
pratica lo sposta così in alto, da determinare, nella situazione data, la
impossibilità pratica di raggiungerlo. Con la legge ancora vigente, come dice
opportunamente Travaglio, su “Il fatto Quotidiano” dello
stesso giorno, il vincitore più probabile, sarebbe Grillo appunto, che già capeggia il primo partito Sicilia,
ma non raggiungerebbe il 42% previsto dalle novità introdotte dalla
vecchia maggioranza più Casini. Così l’unica soluzione obbligata sarebbe ancora
un Monti con una coalizione di tutti tranne Grillo, con la benedizione di “Re
Giorgio” come ormai viene chiamato Giorgio Napolitano. Su questa vicenda il giornale “La Repubblica” pubblica un articolo di Gianluigi
Pellegrino dal titolo significativo “Il porcellun
ingrassato”. Il senso è il medesimo di quello di Travaglio, con
l’aggravante che “La Repubblica” non è
sospettabile di pregiudizi contro Monti. Ma noi, la sinistra italiana, oggi festeggiamo stupidamente la vittoria di
Obama, pagando così, al suo successo oltre a un deficit ormai insostenibile
della nostra democrazia, anche un deficit culturale e intellettivo davvero
preoccupante.
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