Ormai,
consumati i ballottaggi, le elezioni
amministrative determinano ancora un dibattito politico stanco e francamente
nauseabondo, destinato ad esaurirsi per essere rimpiazzato con qualunque cosa
serva da alibi al governo per continuare a fare il peggio, tipo le riforme
istituzionali e il presidenzialismo “alla francese” che in Italia, come tutto ciò che viene importato a riguardo, trova una applicazione sempre parziale, per la
singolarità della nostra posizione socioeconomica e geopolitica, che rende
nulli tutti gli assetti non originati da una riflessione conseguente su di
essi. A parte ciò, continua la trasformazione della costituzione informandola
progressivamente a principi opposti a quelli per cui fu a suo tempo promulgata.
Invece un ceto politico “compradores” si
sarebbe chiamato un tempo, perpetua lo scambio a vantaggio della grande finanza
made in Usa nonché della delegata Germania, tra il proprio
personale benessere e le condizioni di vita della generalità del Paese, e la
crisi attuale dei grillini eletti in parlamento attiene proprio a questo
tema. Comunque le elezioni ormai stando ai dati
sulla partecipazione interessa un numero decrescente di persone, mentre il
disincanto coinvolge senza dubbio anche chi ha votato. Tuttavia serve, credo,
tornarci sopra. I maggiori interessati infatti, a questi responsi erano i personaggi e le forze
attualmente al governo delle “larghe
intese” e quindi Letta, Berlusconi e Guglielmo Epifani. Sembrerebbe che
l’interpreazione di questo esito elettorale abbia indotto il gruppo dirigente
del Pd a tirare un sospiro di sollievo, ascrivendo alle loro capacità un esito
che a una prima lettura sembrerebbe positivo per il medesimo Pd. Certamente a
guardare gli esiti sulla base dei sindaci eletti, tale ottimismo pare del tutto giustificato, ma
solo in sede di valutazione dell’esito del voto sotto il profilo
amministrativo, perché sotto il profilo squisitamente politico il discorso pare
diverso, e comunque certamente degno di ulteriori approfondimenti. Intanto pare
che come al solito la logica fa difetto in grande misura ai chi occupa cariche
di rilievo politico e istituzionale. Infatti Epifani, che nella sua lunga
militanza politico-sindacale non ha mai vinto granché ora si sente vincitore,
perché ritiene che abbia pagato la
politica delle larghe intese, si presenta a Roma e proclama la vittoria del Pd
mentre il vero vincitore, Marino, in quanto esponente del Pd è certamente
eterodosso, è un “battitore libero” sempre in tema di nostalgia del linguaggio.
Non a caso tutti i sindaci di cs delle grandi città sono eterodossi rispetto
alle segreterie nazionali del Pd. Ora,
che Letta ed Epifani dicano di essere vincitori a beneficio dei creduloni, è pure comprensibile, ma sarebbe
grave se ci credessero davvero. Chi non vuol essere annoverato tra i creduloni
deve pur trovare il modo di dire che le cose non possono essere viste a questo
modo. Il dato ormai quasi statistico, ci dice che le elezioni amministrative
non sono più, da qualche tempo, un fenomeno omologabile alle politiche, per cui
trarre conclusioni politiche da vicende amministrative diventa un esercizio di
mera propaganda, nel caso in cui si pensi che il medesimo risultato possa
essere traslato sul piano di ipotetiche elezioni nazionali. Invece merita molta più attenzione di quanto
non facciano i media alla ormai irreversibile, spero, liquidazione della Lega
Nord, che deve continuare ad essere considerata una costola del Pdl, o meglio
la sua testa politica pensante, perché Berlusconi, notoriamente ha passioni poco politiche o politiche di risulta, tant’è
che sul piano amministrativo è assente, grazie anche e soprattutto alle
autentiche razzie ai danni delle amministrazioni locali sin qui governate dai
suoi emuli. La Lega invece, quella che ha dettato “l’agenda politica”
come si sul dire degli ultimi vent’anni, ha ispirato le leggi razziali ancora
vigenti, ha elaborato sia la cd “devolution” che è il vero buco perenne nel
bilancio dello Stato sia, in una
operazione a tenaglia, il cd “patto di stabilità” . Questa tenaglia ha una
forte responsabilità nel depauperamento in atto dell’economia italiana insieme alle politiche
recessive di Monti, volute da tutti anche se poi ipocritamente misconosciute, come in uno dei tanti giochi della politica
italiana che per l’occasione mi ricorda “lo schiaffo del soldato”. La Lega in
oltre, sul piano amministrativo, per buttarla in propaganda, atteso che i
margini economici di manovra dei comuni sono da tempo, assai ridotti, per i motivi che
prima ricordavo, ha inventato la figura del sindaco moralizzatore o sindaco
sceriffo, insomma tutto un riversarsi su delibere liberticide attinenti a un
malinteso senso della moralità e della sicurezza, una volta appannaggio del
ministero degli interni, e in salsa razzista. Tale impostazione, sicuramente
attenuata, è stata fatta propria anche da sindaci di cs e dispiace che anche
Pisapia a Milano si sia incartato sulla questione dei gelati notturni. Questo
modello di amministrazione locale è, credo, in crisi irreversibile, e questo è
l’ esito più importante di questa tornata, sottaciuta dai masmedia. Certamente
esce penalizzato il M5S e Grillo ha
accusato il colpo. Ora i media stanno
spettacolarizzando oltre misura la sconfitta di Grillo, che ha reagito da
quell’istrione che è, attribuendo “la colpa” del mancato successo agli elettori. Questo difetto non è una sua prerogativa esclusiva,
perché anche a sinistra si sente incolpare gli elettori del mancato successo
della lista Ingroia, per esempio. Il
problema è che quanti assumono questo punto di vista non colgono il dato di
realtà per cui gli elettori, genericamente intesi, ossia una loro larga
maggioranza, sono le principali vittime del sistema elettorale medesimo, e che
colpevolizzare le vittime, per quante responsabilità abbiano, vere o presunte,
è una operazione vana, improduttiva di qualunque effetto positivo. Dirò di
più, dal mio punto di vista il “dagli
all’untore” in corso contro Grillo su tutti i media o quasi, con l’eccezione
notevole del solito Travaglio, è una
operazione di bassissimo profilo, per
due ordini di motivi: il primo, riferito all’atteggiamento della “sinistra che
non c’è” è perché Grillo e il suo
movimento hanno nel loro DNA una debolezza intrinseca che dovrebbe indurre i
più a non scommettere sulla longevità del fenomeno, che a dirla tutta, ha una
portata ridotta al di là del successo alle ultime politiche. Grillo ha parecchi
difetti di cui ho già parlato in precedenti post, ma ne posso aggiungere ancora
uno, che consiste nella semplificazione eccessiva delle sue analisi e delle
conseguenti debolezze intrinseche nelle sue proposte, alcune delle quali
restano condivisibili, purché si tenga conto della portata modesta di fronte
alla drammaticità della crisi che stiamo attraversando; il secondo è che
sarebbe, potenzialmente, se uscisse dai blog e diventasse un movimento radicato
nella realtà sociale, un po’ migliore
del Pd e del Pdl, che in ordine alla situazione attuale hanno responsabilità
storiche e, sotto certi profili , esclusive, e comunque M5S ha avuto un ruolo
positivo, sotto il profilo culturale, nell’affossamento della Lega. Resta il
problema dell’astensionismo, che tutti rilevano ma che nessuno o quasi, valuta
correttamente. Eppure il fenomeno da spazio a diverse riflessioni. Il
principale e il più frequentato dai commentatori, attiene alla qualità della
democrazia, ossia se un astensionismo così alto possa o meno inficiare la
legittimazione politica del sistema. Peccato che le risposte prevalenti siano
inspirate a quella che mi piace chiamare “naturalizzazione” del fenomeno contraddicendo magari
l’importanza attribuita al momento del voto sul piano formale . L’argomento
ricorrente è che nel sistema liberale non è essenziale partecipare al voto
tant’è che negli Usa, tradizionalmente, i presidenti sono eletti con un
consenso assolutamente minoritario. Su questo ho già argomentato su questo
blog. Il problema di fondo, è la concezione liberale della democrazia, che da
un lato fa della libertà di voto il suo manifesto più essenziale, e dall’altro
teorizza la non necessità della
partecipazione al voto. Per i liberali è sufficiente che vi sia la teorica
possibilità di recarsi al voto, a prescindere da tutte le condizioni che
rendono di fatto superfluo l’espressione di voto medesimo. Per chi, come me si rifà a Marx la democrazia
non può essere un fatto formale, deve essere una condizione di realtà generale
nella vita di tutti. Posso concepire forme di democrazia partecipata
che derubricano l’importanza del voto,
ma trovo estremamente contraddittorio esaltare il momento del voto come condizione imprescindibile di democrazia e poi derubricare la
partecipazione al voto medesimo. Solo che nelle condizioni date l’astensionismo
è una forma di protesta del tutto comprensibile, per quanto improduttiva ed è
tale perché acefala e priva di sbocchi. Invece credo abbia delle potenzialità che
la sinistra che non c’è non riesce a cogliere . Avendo, essa, ridotta quel che una volta si chiamava “lotta di
classe” ormai innominabile, declassata a mera ideologia nonostante l’ evidente
crudezza delle sue manifestazioni ad ogni livello, a competizione elettorale, ne
è nata, sempre a sinistra, una sopravvalutazione accecante dell’importanza del
momento del voto, col risultato di alienare da sé quelle aree sociali di non
voto che verosimilmente sono le più sofferenti sotto il profilo socioeconomico.
Fosse per me tenterei di organizzerei il
non voto con forme da studiare con attenzione, in un voto di protesta, che deve
comunque partire dal presupposto che da detto voto di protesta nessuno debba
trarre benefici personali, atteso che è proprio questa lla principale ragione
del non voto, ossia nessuno debba essere
eletto in parlamento. Deve essere un voto simbolico finalizzato a contare,
possibilmente l’area del disagio sociale e per organizzarla sul piano della
partecipazione e della lotta politica, che modifichi, nel contesto
socioeconomico, i rapporti di forza. Ora non so quale esito avranno le prossime
elezioni in Turchia, quel che è certo
che risentiranno, per un verso o per l’altro, delle manifestazioni di piazza di
questi giorni. L’assenteismo comunque, è questo che i commentatori di
ispirazione liberale rifiutano di considerare, non è un fatto meramente
quantitativo, ma dice pure della qualità del consenso. Il raffronto con i
sistemi anglosassoni non regge, per la semplice costatazione che loro, Regno
Unito + Usa, hanno dominato il mondo e lo dominano ancora. Il loro potere
risiedeva del loro dominio su altri popoli e civiltà e non sull’esito di
elezioni che, per l’essenziale hanno
esiti indifferenti. Non è un caso che questa crisi non è aggredibile dai nostri
governi, comunque composti, al contrario possono solo implementarla, perché ha
radici, com’è noto, nella finanza di cui parlavo, che domina il nostro ceto politico al completo
e questa situazione non è modificabile a partire da un particolare esito di un
voto. Oggi su “La repubblica” Ilvo Diamanti ha scritto un articolo “La messa è finita” per
sostenere in estrema sintesi, che la seconda repubblica è seppellita
definitivamente da questo voto, a causa
della sconfitta netta del PDL e della Lega Nord a cui in effetti ha annesso l’importanza
che merita, e della conseguente vittoria del Pd. Ora in questo ragionamento
trovo alcune contraddizioni, perché di solito per “seconda repubblica” si
intende un sistema bipolare con coalizioni, se non partiti, che si alternano al
governo. Tant’ è che quasi tutti i
commentatori rilevavano che le ultime politiche segnarono la fine del
bipolarismo, per effetto del successo di M5S che in effetti spezzava il
bipolarismo. In queste amministrative invece sembrerebbe che sia tornato il
bipolarismo, perché M5S non è mai entrato nei ballottaggi che contano. Il fatto che tutti i sindaci o
quasi siano del Pd, non credo possa mettere in forse il bipolarismo medesimo
che lo stesso Pd ha fortemente voluto. Semmai queste elezioni esaltano il ruolo di architrave dell’intero
sistema che obiettivamente, credo, il Pd svolge. Se non ci fosse non reggerebbe il sistema così
com’è oggi, mente Pdl invece è un partito del padrone non è indispensabile al
sistema, se crollasse se ne farebbe un altro senza per questo inficiare l’intero
sistema. Questo spiega perché, nelle competizioni politiche il Pd dia l’impressione,
se mi si passa una metafora calcistica, di una squadra che non vuol tirare
nella porta della squadra avversaria, o al massimo tira nella propria porta.
Non è solo un fatto di personale politico mediocre, perché la statura di questi
dirigenti è sicuramente modesta, ma non per questo siamo autorizzati a pensare
che siano ingenui, o peggio ancora degli stupidi, perché e certo che gli
ingenui, se non gli stubidi, abitano volentieri in basso, alla base della
piramide sociopolitica, non ai vertici.
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