Sono
stato, in gioventù, di quella scuola la cui appartenenza implicava anch’essa
una liturgia di feste “sacre”. Tali feste erano sostanzialmente due: 25 aprile
e 1° maggio. Siccome da ragazzino e da adolescente ho militato attivamente in
Azione Cattolica, ho vissuto, all’interno di quel marasma che fu il ’68 una conversione
radicale, per cui, in fatto di liturgie procedetti ad una sorta di sostituzione
in quanto a collocazione mentale tra le due categorie di feste; quelle
religiose, che sia chiaro, tornavano sempre utili per alleggerire periodi di
lavoro, anche se ho avuto esperienze in cui ho lavorato anche la notte di
Natale e proprio alle dipendenze di un ente di ispirazione cattolica quale era
l’Enaip. In ogni caso non ho mai, nell’età adulta, subito passivamente
imposizioni ideali, per cui ho sempre cercato di approfondire il significato di
queste feste. Come in un risveglio improvviso, grazie anche ai fatti poco
edificanti di cui ero testimone nel mondo delle parrocchie, ho percepito per
intero la stupidità nel credere ai miti della religione cattolica quali la
credenza in un Gesù figlio di Dio e nato da una vergine e poi morto e risorto e
così via. M’è parso con violenza quanto fosse insensato, (ma si badi bene non
stupido) credere a queste sciocchezze senza senso in cui, privatamente, non
crede neppure tantissima parte del clero o dei cattolici cd. praticanti e cui,
sono convinto, non credono neppure i papi, visto che per esserlo, devono
gestire un potere enorme esercitato con ogni mezzo, e questo comporta un
cinismo e una spregiudicatezza, se non di peggio, incompatibili con l’ingenuità
sottostante le credenze di cui sopra. Insomma ritengo che sia la storia della
chiesa cattolica ad offrire gli argomenti più incontrovertibili sulla
inconsistenza delle sue credenze. Così in tarda età, ho sottoposto a vaglio
critico anche le ricorrenze laiche. Ora il 1° maggio ha una storia
incontrovertibile, tant’è che nessuno la contesta, ed ha un significato
profondo e irriducibile, perché il rapporto tra umanità e lavoro è un rapporto
inscindibile, e le condizioni del lavoro costituiscono un tracciato preciso dei
progressi dell’umanità. Oggi sono in atto tentativi di ridurre a schiavitù di
tipo postmoderno i prestatori d’opera e questo ha riflessi negativi su tutta la
popolazione ad esclusione ovviamente, di una ristretta cerchia di privilegiati.
Costoro allargano a dismisura il loro potere fino a rendere progressivamente
impossibile la vita materiale ad una parte crescente della popolazione, per non
parlare della loro capacità di svuotare la democrazia e saturare la politica di
privilegi crescenti, grazie ai quali riescono a svuotare di significato sia le elezioni
politiche che il sistema giudiziario, infarcito di cavilli tali da rendere
incondannabili lor signori qualunque cosa facciano, che beninteso deve essere
provato adeguatamente in un “giusto processo” salvo a rivendicare la pena di
morte inflitta privatamente senza alcuna formalità giuridica ai ladruncoli da
quattro soldi. Il 25 Aprile invece si
presta a ragionamenti diversi. Che la ricorrenza sia assai importante e non
sminuibile in nessun modo mi pare certo. Mi sono però cresciute nel tempo
perplessità per il significato politico che gli viene attribuito. Insomma
ritengo sia una ricorrenza importante sul piano storico ma non una festa. La
festa dà l’idea di una ricorrenza chiusa in sé, come se non ci fosse un seguito
in quella storia. Ma non solo c’è un seguito, c’è pure una riflessione
importante sulla portata storica di quell’avvenimento. Insomma una vittoria
completa e definitiva sul nazifascismo non c’è mai stata. La continuità negli
organismi dello Stato sia italiano che tedesco del potere di quei funzionari
attivi nei regimi precedenti, soprattutto nel campo militare e dei servizi
segreti. E questo ha avuto un seguito politico. Nel dopoguerra furono gli
operai comunisti e partigiani ad essere depurati dal lavoro nelle grandi
industrie, e poi via via sino ad arrivare ai giorni nostri. Oggi si ripropongono
in grande le stesse politiche degli anni trenta, comprensivi dei crescenti
pericoli di guerra atomica e totale, perché sul piano delle armi convenzionali
siamo già in guerra da tempo, e con un intreccio ormai inestricabile tra guerra
e politica. Comunque sul piano politico siamo al ricalco quasi pedissequo delle
politiche naziste. Il ruolo che negli anni trenta in Germania svolsero gli “ebrei”
oggi lo svolgono gli immigrati “clandestini” per norme che li trascendono
completamente, e il gli islamici, che se “radicalizzati” sono sicuramente
terroristi. Ovviamente il ruolo delle religioni col terrorismo è assai
complesso e delicato ma è sicuramente strumentale. Tutti hanno usato il
terrorismo col pretesto della fede. Lo hanno fatto i cattolici, gli “ebrei”
popolo di dio che per diritto appunto divino devono cacciare i palestinesi
dalle loro terre, e data la superiorità militare concessa dalle grandi potenze
compiono massacri inenarrabili sui palestinesi. Se non che quest’anno, per la
prima volta si noti bene, gli israeliti romani pongono, come condizione per
partecipare al corteo dell’ Anpi del 25 aprile la condizione che non vi
partecipino i palestinesi. Ora gli “ebri” rivendicano persino l’esclusiva sull’antifascismo.
Il prof. Umberto (non Paolo, presidente del consiglio in
carica)
Gentiloni, che sicuramente ha un passato politico di “sinistra” ed è docente di
storia moderna, ha scritto un art. su “La Repubblica” del 21 Aprile che giustifica
il gesto con l’episodio del 1941 in cui Haj
Amin al Husseini Mufti di Gerusalemme incontra Hitler e gli manifesta
apprezzamento per la sua politica. E tuttavia duole dover essere io ad
obiettare a questa tesi con parole ben più prestigiose che dicono così, (con riferimento
alla situazione in Germania nei primi anni ’40 compreso l’episodio ripreso dall’art.
di Gentiloni): “Ma la verità vera era che sia sul piano locale che su quello
internazionale c’erano state comunità ebraiche, partiti ebraici, organizzazioni
assistenziali. Ovunque c’erano ebrei, c’erano stati capi ebraici riconosciuti,
e questi capi, quasi senza eccezioni, avevano collaborato con i nazisti,” da Hannah Arendt,. La banalità del male: Eichmann a
Gerusalemme (Italian Edition) (posizioni nel Kindle 2073-2075). Feltrinelli
Editore. Ora servirebbe chiarire perché solo quest’anno si fa
ricorso a tale episodio. Ora sto rileggendo appunto “La banalità del male” opera
che secondo me torna di grande attualità, proprio perché rievoca come negli
anni del nazismo il carattere del male assoluto era così diffuso da non essere
percepibile per nessuna forma di contrasto, e perciò stesso definibile come “banale”.
A rifletterci seriamente occorre rilevare come questa situazione si stia
riproponendo. Per gli immigrati non c’è ancora una “soluzione finale” attiva ma
ce n’è una passiva, che consente agli immigrati di morire a migliaia nel
mediterraneo. Se poi la traversata per caso si conclude felicemente ci sono
campi di concentramento (per carità si chiamano diversamente ma la sostanza è
uguale) in quanto ritenuti potenziali “terroristi” ma soprattutto “invasori”,
dimenticando quando rendono dal punto di vista economico. Intanto c’è chi
lavora alacremente perché la situazione internazionale precipiti per
giustificare poi ogni crudeltà sui malcapitati, ma noi di tutto questo male
percepiamo poco, perché tanto tocca agli altri, e pertanto anche per noi
diventa “banale”. Questi sono i nodi che dovrebbero essere sciolti sul
significato del 25 aprile. Altrimenti è vuota retorica.
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