sabato 2 giugno 2012

Il cervello non spiega chi siamo


Questo post è stato predisposto, in origine, per dedicarlo a due amiche di  Fb, che indipendentemente l’una dall’altra, evidentemente, hanno postato la notizia di una ricerca  divulgata dal sito eaffini.com con un articolo intitolato “GLI ANSIOSI SONO PIU’ INTELLIGENTI”  . Intanto i fatti si susseguono, e prendono la mano, e il nesso che lega tutte le vicende di cui voglio parlare è dato proprio dagli effetti del dominio dei media cui tutti dobbiamo sottostare.  Ieri 1° giugno è stata dimessa  dall’Ospedale Selene, la ragazza ferita nella stessa circostanza in cui è morta Melissa Bassi a Brindisi nell’attentato del 19 maggio 2012,  solo che ormai è caduto il silenzio mediatico sulla vicenda. La fiaccolata a Salerno organizzata dall’Unione degli Studenti per ricordarla è andata pressoché deserta. E’ una sconfitta per tutti, perché vuol dire che il messaggio intimidatorio sottostante l’attentato ha, in buona misura, raggiunto l’obiettivo prefissato.   Credo che a noi vecchi tocchi proteggere queste vite, perché loro ne hanno diritto, mentre dall’ altro canto, non c’è nessuno che lo faccia. Credo davvero tocchi a noi raccogliere la sfida.  Infatti le prese di posizioni governative, circa le indagini,  insistono a parlare di terrorismo anarchico, comunque aggettivato non fanno presagire nulla di buono. E’ vecchia storia, e se ne dovrà parlare ancora, certamente. Comunque  l’attenzione mediatica è caduta sul terribile terremoto in Emilia, che tra le altre cose mi ha dato, e continua a darmi ansia per le persone a me care che quelle zone abitano. A Reggio Emilia ci  sono mio fratello, mia cognata, una nipote, miei cugini e loro figli e nipoti, un’altra nipote che  vive a Bologna, esponenti, quasi tutti di quelle generazioni di meridionali che lì hanno trovato lavoro, si sono integrati, e hanno costruito famiglie.  Quest’attenzione mediatica, sia chiaro, è più che opportuna, e spero non si attenui di molto. Quel che contesto è l’effetto disastroso di una legge non scritta sul funzionamento dei massmedia, che pare ispirata al criterio del “chiodo scaccia chiodo”, per cui mentre si susseguono servizi sul terremoto su tutte le emittenti televisive e sulla carte stampata, ci scordiamo di Melissa. Ora, sempre in tema di dittatura mediatica, come altro esempio dei suoi effetti, anche se di tutt’altro genere, torno al primo tema ispiratore di questo post, ossia i post delle due amiche che hanno, a loro volta, postato su fb il link di eaffini.com,   sull’ansia in rapporto con l’intelligenza.  Dicono “Gli scienziati del Baylor college di medicina – uno dei centri in cui sono stati condotti i test – hanno identificato, tramite scan al cervello dei volontari, il componente chimico cerebrale associato sia alle preoccupazioni ansiose sia una alta intelligenza: nei volontari con entrambi i fattori è stata infatti osservata una misurabile diminuzione della colina (un nutriente essenziale) nella materia bianca cerebrale. Il rapporto pubblicato sulla rivista Frontiers in evolutionary  neuroscience spiega che tra i pazienti sofferenti di ansia quelli con un elevato quoziente intellettivo avevano ansie più intense dei meno intelligenti.”   Sin qui il sito menzionato. Il problema per conto mio, è che questo tipo di ricerca non è attendibile, e si inserisce in una vecchia diatriba tra diverse scuole di pensiero, ossia tra coloro che sostengono come  il comportamento umano, le leggi che lo sottendono, siano rilevabili  attraverso elementi della biologia prima, e dalla genetica ora, oppure a scienze diverse come la psicologia, la sociologia, la psicosociologia, insomma  alle scienze umanistiche. Io da vecchio filosofo nonché sostenitore di Freud e della psicanalisi, vengo preso da un moto di contrarietà quando vedo la pubblicazione di queste ricerche, che più opportunamente andrebbero diffuse in modo più circoscritto, onde evitare banalizzazioni dannose. La ricerca in campo genetico e biologico, auspicabilmente, dovrebbero rendersi complementari con quelle delle scienze umane. Altrimenti si ha la sensazione che qualche secolo di ricerca in abito sociologico, o psicologico, vengano spazzati via con un tratto breve. Questa preoccupazione, per fortuna non è solo mia, ci mancherebbe, ma preoccupa esponenti di rilievo della ricerca genetica e biologica. Cito la rivista  n 53  di “Quaderni  di Sociologia” Vol. LIV a. 2010 ed. da Rosemberg & Sellier che ha ospitato una tavola rotonda con  Vittorio Gallese del dipartimento di Neuroscienze- sezione di Fisiologia dell’Università di Parma,  Rosaria Conte del LABBS ( Laboratorio di Simulazione Sociale basata su agente), nonché dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione, CNR Roma, Sergio Manghi del Dipartimento di Psicologia, Università di Parma, e Vincenzo Pavone (Institute of Public Policies – CSIC, Madrid)  sul tema del rapporto tra neuroscienze e scienze sociali  che costituisce il titolo del numero della rivista.  In sintesi, sostiene il moderatore nella presentazione a questa tavola rotonda per conto della rivista diretta da Luciano Gallino,  dal 1960 si assiste ad un ritorno di studi sul cervello umano e che da una decina d’anni, queste ricerche hanno una vistosità notevole sui media, soprattutto se attengono al nesso tra la gli elementi biologici del cervello e le componenti emozionali e comportamentali della personalità. Il rischio che si corre è che si diffonda una convinzione di rapporto stretto e meccanico tra queste sfere. Tant’è che cito testualmente: “Dall’interno stesso delle neuroscienze, di recente sono venuti forti segnali di preoccupazione, per il rischio che il successo divulgativo degli studi sul cervello umano conduca a facili semplificazioni, alimentando attese miracolistiche”. L’equivoco possibile è data dal neuroimaging, una tecnica di laboratorio che consente di vedere riprodotte su grafico tutte i cambiamenti del cervello opportunamente stimolato, sostiene sempre la rivista,  tant’è che il neuro scienziato francese Jean – Pierre Changeaux giunge ad affermare che con la neuroimaging si sia aperta una finestra sulla fisica dell’anima. Da questa situazione, nasce un contrasto tra chi ormai ritiene superata la barriera tra scienze fisiche e sociali, essendo le prime capaci di dare una spiegazione anche ai comportamenti umani, che renderebbe superflue le seconde, e chi ritiene invece complementari e non sovrapponibili i due campi di ricerca.  Va da sé che la rivista si esprime per la seconda ipotesi, tant’è che, si dice ancora: il cervello non spiega chi siamo”  citando con ciò un altro testo ancora (Legrenzi, Umiltà 2009). Il che non vuol dire che gli studi neurologici siano privi di senso, ne sono un esempio gli studi dei cd neuroni specchio, i quali dimostrano che gli individui riflettono comportamenti altrui.” Posso aggiungere di mio che intelligenza e ansia appartengono a sfere diverse della psiche, e che il rapporto tra ansia e intelligenza è assai più complesso di quanto non si dica nella ricerca che sto criticando. Innanzitutto, va detto, il campione di 26 persone che si sono volontariamente sottoposte all’ esperimento,  che soffrono di “forte ansia” difficilmente possono essere rappresentativi della popolazione che soffre d’ansia o comunque sarebbe interessante capire i criteri con cui si è scelto il campione, contrapposti a un numero di 16 persone sane, perché l’articolo di eaffini  non spiega bene. Comunque, l’ansia distorce sicuramente la percezione della realtà in varia misura, ma che possa incidere  in modo   specifico sull’intelligenza è discorso tutto da dimostrare. Forse ignoro del tutto una possibile letteratura a riguardo, ma trovo difficile individuare con facilità persone del tutto prive di ansia. Di sicuro nell’ambiente in cui viviamo esistono moltiplicatori d’ansia con effetti immediati. L’ignoto e l’incertezza, le novità improvvise, ad esempio, sono potenti moltiplicatori di  ansia per tutti, e questo è provato da ricerche ben più consistenti e antiche, insomma sono i contesti i principali fattori che condizionano la gestibilità dell’ ansia, per cui le stesse persone possono risultare più o meno ansiose, a seconda dei momenti e delle circostanze, mentre l’intelligenza è un corredo che appartiene in misura più stabile alla personalità dell’individuo, ossia è difficile che nel nostro ambiente vi siano fattori in grado di mobilitare la nostra intelligenza, con la prontezza e la reversibilità con cui invece viene stimolata l’ansia, proprio perché, dicevo sopra, i due fattori comparati appartengono a sfere diverse della psiche.   Capita pure che l’intelligenza venga scambiata con i riflessi, ma non è così. Io per primo ho riflessi lentissimi, ma non mi ritengo un idiota integrale.  Inoltre è sicuramente possibile che l’ansia acuisca la sensibilità in determinati campi, e stimoli per questa via l’intelligenza, ma in modo selettivo, poiché è sempre possibile, in ipotesi, che la medesima ansia non lascia intravedere altri aspetti della nostra realtà.  In definitiva, l’essere umano è persona viva, magmatica e cangiante, sempre immersa in dinamiche relazionali con il prossimo, in grado di indurre cambiamenti continui della personalità. Queste ricerche invece tendono a consegnarci una realtà ingessata, con dati acquisiti una volta per tutte, ma la nostra stessa esperienza, se ben considerata, ci dovrebbe portare a dire che così non è, perché al contrario, hanno ragione Legrenzi e Umiltà  quando sostengono :  il cervello non spiega chi siamo.