Questo post è stato predisposto, in origine, per
dedicarlo a due amiche di Fb, che
indipendentemente l’una dall’altra, evidentemente, hanno postato la notizia di
una ricerca divulgata dal sito eaffini.com
con un articolo intitolato “GLI ANSIOSI SONO PIU’ INTELLIGENTI” . Intanto i fatti si susseguono, e prendono la
mano, e il nesso che lega tutte le vicende di cui voglio parlare è dato proprio
dagli effetti del dominio dei media cui tutti dobbiamo sottostare. Ieri 1° giugno è stata dimessa dall’Ospedale Selene, la ragazza ferita nella
stessa circostanza in cui è morta Melissa Bassi a Brindisi nell’attentato del 19
maggio 2012, solo che ormai è caduto il
silenzio mediatico sulla vicenda. La fiaccolata a Salerno organizzata
dall’Unione degli Studenti per ricordarla è andata pressoché deserta. E’ una
sconfitta per tutti, perché vuol dire che il messaggio intimidatorio
sottostante l’attentato ha, in buona misura, raggiunto l’obiettivo
prefissato. Credo che a noi vecchi tocchi proteggere
queste vite, perché loro ne hanno diritto, mentre dall’ altro canto, non c’è
nessuno che lo faccia. Credo davvero tocchi a noi raccogliere la sfida. Infatti le prese di posizioni governative,
circa le indagini, insistono a parlare
di terrorismo anarchico, comunque aggettivato non fanno presagire nulla di
buono. E’ vecchia storia, e se ne dovrà parlare ancora, certamente. Comunque l’attenzione mediatica è caduta sul terribile
terremoto in Emilia, che tra le altre cose mi ha dato, e continua a darmi ansia
per le persone a me care che quelle zone abitano. A Reggio Emilia ci sono mio fratello, mia cognata, una nipote,
miei cugini e loro figli e nipoti, un’altra nipote che vive a Bologna, esponenti, quasi tutti di
quelle generazioni di meridionali che lì hanno trovato lavoro, si sono
integrati, e hanno costruito famiglie. Quest’attenzione
mediatica, sia chiaro, è più che opportuna, e spero non si attenui di molto. Quel
che contesto è l’effetto disastroso di una legge non scritta sul funzionamento
dei massmedia, che pare ispirata al criterio del “chiodo scaccia chiodo”, per
cui mentre si susseguono servizi sul terremoto su tutte le emittenti televisive
e sulla carte stampata, ci scordiamo di Melissa. Ora, sempre in tema di
dittatura mediatica, come altro esempio dei suoi effetti, anche se di
tutt’altro genere, torno al primo tema ispiratore di questo post, ossia i post
delle due amiche che hanno, a loro volta, postato su fb il link di eaffini.com, sull’ansia
in rapporto con l’intelligenza. Dicono “Gli scienziati
del Baylor college di medicina – uno dei centri in cui sono stati condotti i
test – hanno identificato, tramite scan al cervello dei volontari, il
componente chimico cerebrale associato sia alle preoccupazioni ansiose sia una
alta intelligenza: nei volontari con entrambi i fattori è stata infatti
osservata una misurabile diminuzione della colina (un nutriente essenziale)
nella materia bianca cerebrale. Il rapporto pubblicato sulla rivista Frontiers
in evolutionary neuroscience spiega che
tra i pazienti sofferenti di ansia quelli con un elevato quoziente intellettivo
avevano ansie più intense dei meno intelligenti.” Sin qui
il sito menzionato. Il problema per conto mio, è che questo tipo di
ricerca non è attendibile, e si inserisce in una vecchia diatriba tra diverse
scuole di pensiero, ossia tra coloro che sostengono come il comportamento umano, le leggi che lo
sottendono, siano rilevabili attraverso
elementi della biologia prima, e dalla genetica ora, oppure a scienze diverse
come la psicologia, la sociologia, la psicosociologia, insomma alle scienze umanistiche. Io da vecchio
filosofo nonché sostenitore di Freud e della psicanalisi, vengo preso da un
moto di contrarietà quando vedo la pubblicazione di queste ricerche, che più
opportunamente andrebbero diffuse in modo più circoscritto, onde evitare
banalizzazioni dannose. La ricerca in campo genetico e biologico,
auspicabilmente, dovrebbero rendersi complementari con quelle delle scienze
umane. Altrimenti si ha la sensazione che qualche secolo di ricerca in abito
sociologico, o psicologico, vengano spazzati via con un tratto breve. Questa
preoccupazione, per fortuna non è solo mia, ci mancherebbe, ma preoccupa
esponenti di rilievo della ricerca genetica e biologica. Cito la rivista n 53 di
“Quaderni di
Sociologia” Vol. LIV a. 2010 ed. da Rosemberg & Sellier che ha
ospitato una tavola rotonda con Vittorio
Gallese del dipartimento di Neuroscienze- sezione di Fisiologia dell’Università
di Parma, Rosaria Conte del LABBS (
Laboratorio di Simulazione Sociale basata su agente), nonché dell’Istituto di
Scienze e Tecnologie della Cognizione, CNR Roma, Sergio Manghi del Dipartimento
di Psicologia, Università di Parma, e Vincenzo Pavone (Institute of Public
Policies – CSIC, Madrid) sul tema del
rapporto tra neuroscienze
e scienze sociali che
costituisce il titolo del numero della rivista. In sintesi, sostiene il moderatore nella
presentazione a questa tavola rotonda per conto della rivista diretta da
Luciano Gallino,
dal 1960 si assiste ad un ritorno di
studi sul cervello umano e che da una decina d’anni, queste ricerche hanno una
vistosità notevole sui media, soprattutto se attengono al nesso tra la gli
elementi biologici del cervello e le componenti emozionali e comportamentali
della personalità. Il rischio che si
corre è che si diffonda una convinzione di rapporto stretto e meccanico tra
queste sfere. Tant’è che cito testualmente: “Dall’interno
stesso delle neuroscienze, di recente sono venuti forti segnali di
preoccupazione, per il rischio che il successo divulgativo degli studi sul
cervello umano conduca a facili semplificazioni, alimentando attese
miracolistiche”. “ L’equivoco
possibile è data dal neuroimaging, una tecnica di laboratorio che consente di
vedere riprodotte su grafico tutte i cambiamenti del cervello opportunamente
stimolato, sostiene sempre la rivista, tant’è che il neuro scienziato francese Jean –
Pierre Changeaux giunge ad affermare che con la neuroimaging si sia aperta una
finestra sulla fisica dell’anima. Da questa situazione, nasce un contrasto tra
chi ormai ritiene superata la barriera tra scienze fisiche e sociali, essendo
le prime capaci di dare una spiegazione anche ai comportamenti umani, che
renderebbe superflue le seconde, e chi ritiene invece complementari e non
sovrapponibili i due campi di ricerca.
Va da sé che la rivista si esprime per la seconda ipotesi, tant’è che,
si dice ancora: “ il cervello non spiega chi siamo” citando con ciò un
altro testo ancora (Legrenzi, Umiltà 2009). Il che non vuol dire che gli studi
neurologici siano privi di senso, ne sono un esempio gli studi dei cd neuroni
specchio, i quali dimostrano che gli individui riflettono comportamenti altrui.” Posso aggiungere di
mio che intelligenza e ansia appartengono a sfere diverse della psiche, e che
il rapporto tra ansia e intelligenza è assai più complesso di quanto non si
dica nella ricerca che sto criticando. Innanzitutto, va detto, il campione di
26 persone che si sono volontariamente sottoposte all’ esperimento, che soffrono di “forte ansia” difficilmente
possono essere rappresentativi della popolazione che soffre d’ansia o comunque
sarebbe interessante capire i criteri con cui si è scelto il campione,
contrapposti a un numero di 16 persone sane, perché l’articolo di eaffini non spiega bene. Comunque, l’ansia distorce
sicuramente la percezione della realtà in varia misura, ma che possa incidere in modo specifico
sull’intelligenza è discorso tutto da dimostrare. Forse ignoro del tutto una
possibile letteratura a riguardo, ma trovo difficile individuare con facilità
persone del tutto prive di ansia. Di sicuro nell’ambiente in cui viviamo
esistono moltiplicatori d’ansia con effetti immediati. L’ignoto e l’incertezza,
le novità improvvise, ad esempio, sono potenti moltiplicatori di ansia per tutti, e questo è provato da ricerche
ben più consistenti e antiche, insomma sono i contesti i principali fattori che
condizionano la gestibilità dell’ ansia, per cui le stesse persone possono
risultare più o meno ansiose, a seconda dei momenti e delle circostanze, mentre
l’intelligenza è un corredo che appartiene in misura più stabile alla
personalità dell’individuo, ossia è difficile che nel nostro ambiente vi siano
fattori in grado di mobilitare la nostra intelligenza, con la prontezza e la
reversibilità con cui invece viene stimolata l’ansia, proprio perché, dicevo
sopra, i due fattori comparati appartengono a sfere diverse della psiche. Capita
pure che l’intelligenza venga scambiata con i riflessi, ma non è così. Io per
primo ho riflessi lentissimi, ma non mi ritengo un idiota integrale. Inoltre è sicuramente possibile che l’ansia
acuisca la sensibilità in determinati campi, e stimoli per questa via l’intelligenza,
ma in modo selettivo, poiché è sempre possibile, in ipotesi, che la medesima
ansia non lascia intravedere altri aspetti della nostra realtà. In definitiva, l’essere umano è persona viva,
magmatica e cangiante, sempre immersa in dinamiche relazionali con il prossimo,
in grado di indurre cambiamenti continui della personalità. Queste ricerche
invece tendono a consegnarci una realtà ingessata, con dati acquisiti una volta
per tutte, ma la nostra stessa esperienza, se ben considerata, ci dovrebbe
portare a dire che così non è, perché al contrario, hanno ragione Legrenzi e
Umiltà quando sostengono : il cervello non spiega chi siamo.