mercoledì 23 marzo 2011

Le celebrazioni, lo Stato, la Libia, la vittoria e la sconfitta


Lamentavo nel precedente post,  che la ricorrenza dell’unità d’Italia andava celebrata il  20 settembre, a ricordo della presa di porta Pia e la conquista di Roma raffigurato nelle icone relative alla retorica risorgimentale della mia infanzia scolastica, con la carica dei bersaglieri. Solo che col tempo la ricorrenza ha acquisito un sapore troppo anticlericale, ed ecco che, per non dispiacere al Papa abbiamo retrocesso di dieci anni la data conclusiva del processo risorgimentale. E successo così che abbiamo festeggiato l’ unità di una  Italia senza Roma capitale. Del resto di che stupirsi? Nel silenzio generale il giudice Luigi Tosti è stato estromesso dall’ordine giudiziario per essersi rifiutato di tenere udienza in un aula con il crocifisso. E tuttavia di questi tempi il successo della giornata dei festeggiamenti, è cosa ottima. Ho visto sventolare tricolori dove mai me lo sarei aspettato. Di questi tempi, da queste parti, c’è da essere contenti perché sembra sia rinata un’altra stagione di partecipazione democratica. Non è cosa da poco. Comunque, come spesso succede, o meglio come sempre succede, i movimenti di progresso, intrinsecamente proiettati verso il nuovo e il futuro, si servono di simboli rivenienti dal passato. La nostra carta costituzionale, e il tricolore, per nobilissimi che siano come simboli, rivengono dal passato, è in questo non ci sarebbe nulla di male, ma il dato da cogliere, per tentare di analizzare la questione è essi sono simboli provvisori e mobili, rivenienti dalla cronaca più che dalla storia.   Se volessimo chiederci quali sono i simboli della  nazione italiana,  connotati sul versante della democrazia, e resistenti ad ogni accidentale contingenza sarebbe un problema. A riguardo condivido del tutto un articolo di fondo sul quotidiano “ La Repubblica” del 14 marzo u.s. di Curzio Maltese: “Nei 150 anni di unità, l´Italia, al prezzo di immani tragedie, è riuscita a darsi una sola vera e grande patria. Questa patria è la Costituzione antifascista. Le altre idee di patria, dal fascismo in su o in giù, sono state piccole, miserabili e funeste.”  Peccato che l’atmosfera creatasi dal successo delle manifestazioni del 17 marzo, è stata presto sopraffatta dalla guerra di Libia. Tra i due fatti, e volendo ancora prolungare la serie degli avvenimenti della cronaca, anche la sciagura giapponese presenta le sue interconnessioni. Il tutto si tiene alla luce di un discorso sulla ciò che si può  chiamare, e alcuni chiamano, (io tra questi ), “ Il tramonto dell’Occidente”. Certo il titolo risente di un fascino, (esclusivamente letterario, per ciò che mi riguarda) di una opera di Spengler che ebbe successo negli anni ’20, e che tuttavia solo ed esclusiva mentre nel titolo evoca un dato vero di cui non ci si vuol rendere conto, sebbene tutti i fatti di cronaca degli ultimi giorni ne sono l’ennesima prova evidente. L’Occidente è al Tramonto, almeno l’Occidente sin qui vissuto come assolutamente egemone. Mi dispiace per i vari Cohn-Bendit, Rossana Rossanda e tanti altri compagni, anche a me vicini, che di tutto questo non hanno voluto capire nulla. E’, con tutta evidenza, in crisi la strategia per il controllo e la produzione dell’energia, è in crisi la leadership militare dell’Occidente, sin qui saldamente in mano Usa, è in crisi il concetto di stato sovrano e la pratica attuazione, che è stato asse portante della sua egemonia, ed è in crisi la sinistra tout-cours. Non esiste, nemmeno a sinistra, più il concetto di stato sovrano, di diritto internazionale, che sono stati, in altri tempi parte costitutiva della  sua cultura. Certo con l’aspirazione a superare lo stato di diritto borghese, ma riconoscendo che la sua costituzione fu un fatto assolutamente progressivo. Ora non esiste nulla di tutto questo, ed ecco perché temo la intrinseca debolezza dei discorsi fatti intorno al 17 marzo, i cui presupposti poggiavano proprio su questi concetti. La costituzione italiana, la stessa osannata il 17 marzo è carta straccia il 21 successivo,  quando si va a bombardare un paese che non ci ha aggredito, e annegano con essa il diritto internazionale. I discorsi su chi è o chi non è Gheddafi sono aria fritta, perché il suo unico giudice è il popolo libico, che ora appare diviso, ma che tale divisione è l’esito evidente di manipolazioni dei paesi occidentali, che devono discutere al loro interno come dividersi le risorse energetiche, essendo chiaro, dopo i fatti del Giappone, che l’energia atomica non costituisce più una risorsa effettivamente disponibile in prospettiva. Ho già “argomentato” su questo blog,  anche se credo si tratti di un dato di fatto poco riducibile, che l’Italia sia un paese in guerra, a proposito dell’Afganistan. Ora si aggiunge la situazione di guerra in Libia. E’ la stessa guerra per il controllo dell’energia, solo che ora il fronte si avvicina, non è più una cosa lontana. Un’ultima riflessione a carattere militare. Tutti questi interventi militari dell’occidente in crisi, iniziano tutti sul dato per cui vi è una supremazia militare indiscussa e indiscutibile, con un unico esito militare possibile. La storia recente ci dice  che queste guerre producono soltanto lacerazioni, miserie, frantumazione di entità statali  con sconfitte sul campo nemmeno troppo taciute, o se si vuole, perfino amplificate ad arte per nascondere che in realtà l’unico obiettivo che ci si prefiggeva, è stato raggiunto, ma è poco confessabile. L’obiettivo di queste spedizioni è esattamente in ciò che hanno prodotto: distruzione, morte, povertà endemica, arretramento economico di tutte le aree del mondo che ormai non si possono più controllare.  

giovedì 17 marzo 2011

Unità d’Italia, 17 marzo o 20 settembre ? Una grande presa in giro.


Oggi si festeggiano 150 anni di unità d’Italia. Ora bisogna essere onesti, e in più consentirmi dell’autobiografia,  fatto sempre antipatico. Non sono un docente  e tutto quello che studio rientra nella mia passione  per la politica e la conoscenza in genere ma soprattutto per le cd scienze umane. Ora devo confessare  che ho seguito con distrazione per i dettagli  tutta la vicenda connessa alla decisione di proclamare il 17  marzo come festa nazionale. Ma in realtà a me i conti non mi tornavano. Non mi occupo delle date concernenti il risorgimento italiano da quando ero studente di scuola media. Certo poi mi sono occupato di tutte le questioni in sede critica della vicenda ma di date non me ne sono più occupato. E non me ne sarei occupato se non fosse che volevo prepararmi questo post. Dopo di che qualche ricerca ha contribuito al risveglio di memoria. Quando andavo a scuola la data simbolo annessa all’unità d’Italia era il 20 settembre e non il 17 marzo. Perché ? E’ molto semplice, il 17 marzo 1861 l’Italia era si un regno unitario ma non è l’Italia Unita, quella dei tanto proclamati eroi Garibaldi, Mazzini e perfino Cavour e Vittorio Emanuele II. I protagonisti del risorgimento non ritennero conclusa l’unità d’Italia il 1861 perché mancava un “piccolo”  ( si fa per dire) particolare. Mancavano Roma e Venezia.  Per questi motivi, ai tempi in cui ero scolaro la data simbolo del’Unità di Italia era il 20 settembre, data commemorativa del 20 settembre 1970 giorno della presa di Porta Pia, evento una volta celebrato nei libri di storia, come data conclusiva del processo  di unificazione della nazione italiana che non poteva non avere Roma capitale per tutti i motivi di questo mondo, a partire da quelli retorici sicuramente. Vi sembra cosa da poco? Non credo.   Torniamo ad occuparci del risorgimento e del processo di fondazione dello Stato italiano. Si rimarca generalmente in tutte le sedi storiografiche che il processo di unità dello stato italiano è giunto secoli dopo quello dei paesi dell’Europa Occidentale che dello strumento dello stato nazionale ne hanno fatto strumento di progresso e di modernità.  Ma noi italiani no, perché? La risposta, a partire da Gramsci, ma non solo, è che il processo di unità di Italia è stato sempre contrastato dalla Chiesa. Ora, per motivi politici più contingenti vi sono tante polemiche e tante considerazioni sul risorgimento italiano. Io propendo per la tesi, che credo storicamente dimostrata, per cui furono gli inglesi a “sponsorizzare” l’Unità d’Italia con la complicità dei Savoia che intesero l’Unità come mera estensione del regno di Sardegna, tant’ è che una volta era anche viva la polemica sul perché Vittorio Emanuele si proclamò Re d’Italia conservandosi la dicitura “Vittorio Emanuele II Re d’Italia” mentre oggettivamente era il 1° Re d’Italia dai tempi di Arduino d’Ivrea, ma stiamo tornado indietro di molti secoli. Del resto è storico il fatto che senza l’aiuto della flotta inglese, la spedizione dei “Mille” avrebbe avuto qualche problema in più a sbarcare a Marsala. La flotta borbonica era perfettamente in grado di affondare il naviglio garibaldino. Questo per dire che tutta la partecipazione popolare all’ Italia Unita è stata un po’ esagerata, o forse molto esagerata, mentre il numero dei contadini meridionali uccisi nel corollario necessario all’ Unità non è esagerato, al contrario, è stato a lungo sottaciuto in sede critica. Così come a lungo è stato taciuto delle crudeli repressioni di Nino Bixio in Sicilia a danno di contadini a tutela di interessi britannici.  Mi piace ricordare anche per motivi del tutto autobiografici che non sto qui a ripetere, il bellissimo film  di  Florestano Vancini    “ Bronte, cronache di un massacro”  del 1972. Ora a proposito di stati nazione e del loro qualificarsi come importanti strumenti  per lo sviluppo della borghesia a danno della nobiltà feudale credo sia piena ogni tipo di storiografia. Un ragionamento compiuto sul perché del ritardo italiano o comunque di uno stato unitario in Italia credo vadano considerate, simbolicamente parlando, due date: settembre 1130 data in cui Ruggero d’Altavilla fu nominato Re di Sicilia,  che costituì il primo stato unitario in terra italiana e meridionale in particolare; e poi  il 13 ottobre del 1066  data della battaglia di Hastings in cui Guglielmo duca di Normandia conquistò l’Inghilterra. In parole povere i Normanni, col loro corredo di capacità di gestire “modernamente”  stati unitari, ci provarono tanto in Inghilterra quanto nell’Italia meridionale ma con esiti del tutto contrapposti. Ebbero in ogni caso,  a  contrastare ogni modernizzazione,  la chiesa di Roma, ma la differenza fu nel fatto che mentre in Inghilterra la Chiesa di Roma risultò soccombente di volta in volta, in Italia  meridionale risultò vincente. Ecco la differenza. Alla luce di tutto questo può  essere che sia un dettaglio da poco l’alternativa tra il 17 marzo e il 20 settembre come data simbolo dell’unità d’Italia? Non credo.

Trasformismo postmoderno


Così mentre si susseguono avvenimenti in cronaca che stimolerebbero riflessioni continue e defatiganti, voglio intrattenermi, ancora sui problemi del nordafrica, perché credo che la mia definizione della situazione libica come “ciambella senza buco” che davo giovedì 17 marzo 2011 su questo blog si sono confermate. A seguire le cronache di un po’ tutti i giornali e telegiornali, sono scomparse le notizie di mercenari stranieri che, nei giorni scorsi, sembravano essere  gli unici sostenitori di Gheddafi. La manovra “imperiale” è evidente.  Ora al contrario, sta emergendo in tutta evidenza che sono i cosiddetti “insorti” che sperano in aiuti esterni per sopraffare Gheddafi, e  che qualche “aiutino”  (la presenza di truppe inglesi ) intanto già l’abbiano avuto, eppure è stato insufficiente. Intendiamoci , non che fosse difficile intuirlo. L’esodo degli immigrati che tornavano in Egitto e in Tunisia era un sintomo preciso del fatto che non vera una autentica sollevazione popolare. Il problema  semmai è chiedersi  com’ è  che questo sia sfuggito ad osservatori   attenti alla maniera di Rossana Rossanda, solo per citare il prototipo di una intera categoria di intellettuali di sinistra. Confesso la mia irritazione a riguardo. Spero che non stia diffondendo l’ esempio della Cederna, grande giornalista di sinistra che, nell’ultima parte della sua esistenza, eroica, per certi versi,  ha avuto un grande successo editoriale, con il semplice espediente di ripetere banalità di segno opposto,  politicamente parlando, a quello che era lecito aspettarsi da un personaggio così importante. E’ il trasformismo postmoderno. Il sapere come merce da vendere al mercato ogni volta, senza che vi sia un nesso tra le diverse “performans” culturali.  Ogni capitolo è in sé chiuso, non c’è bisogno di un nesso o di una consequenzialità, non si deve approfondire, bisogna cavalcare un’onda emotiva e poi aspettare la prossima, sperando nel successo e nei conseguenti  benefici economici. E così sia.

sabato 12 marzo 2011

Attualità, leggi ad personam, potere criminale, e indipendenza.

Ormai le vicende del Nordafrica hanno perso le prime pagine dei giornali, altri fatti incombono, la cd “riforma della giustizia” prima e poi il terribile terremoto in Giappone. Sul trremoto voglio inserire un piccola digressione. Ho ascoltato facendo  zapping ieri su "La 7" , Chicco Testa che magnificava la magia del nucleare, che a suao dire, era  resistente anche ad un terremoto di quelle proporzioni. Oggi i giornali danno la notizia della rottura di una centrale nucleare in Giappone, con buona pace degli idioti made in Italy. Ma è della riforma della giustizia che mi preme trattare. Alcune considerazioni preliminari mi paiono necessarie. Alla domanda ipotetica di un ipotetico interlocutore sul bisogno di riformare la giustizia in Italia, risponderei di si per tutti i motivi di questo mondo. Non può esservi democrazia senza giustizia. Un sistema giudiziario efficiente e “giusto” è uno dei cardini portanti della democrazia. Per la semplice ragione che essa serve a chi è  un po’’più indietro  nella gerarchia sociale. Sia nel civile che nel penale, chi è che ha  più bisogno di giustizia se non chi subisce un torto?.  Si pensi alle cause di lavoro ma non solo.  Chi ha bisogno di riscuotere un credito per vie legali? Provate a non pagare una banca e vi accorgete come è facile per una banca riscuotere un credito, ma se tocca ad un comune cittadino, la riscossione di un credito diventa una via crucis. A grandi linee è la parte socialmente più debole che ha maggior bisogno di giustizia. Ora se si passasse ad una domanda successiva e dovessi rispondere all’interrogativo se questo sistema giudiziario è soddisfacente risponderei di no senza esitazioni. E non lo è proprio perché chi ha bisogno di giustizia con questo sistema deve attendere tempi biblici. Ne so qualcosa avendo subito un licenziamento per 5 anni, mentre in ipotesi la cosa si sarebbe potuta risolvere in pochi mesi. Solo che questa situazione è voluta in modo mirato proprio dai vari governi che si sono succeduti, perché una giustizia efficiente porterebbe come corollario inevitabile una maggiore stabilità economica, ma anche una maggiore mobilità sociale e politica nel paese che, al contrario è stagnante, se non in recessione reale. L’inefficienza giudiziaria intanto premia chi infrange la legge con tutte le conseguenze annesse. Nessuno nega che la corruzione e la criminalità organizzata costituiscono il vero laccio della crescita economica. E faccio questa riflessione astraendomi completamente dal giudizio di merito sul sistema economico, ma assumendo la perfetta convenienza del sistema così com’è. Ora Berlusconi, o meglio il suo governo, avanza una proposta di riforma. Il sistema attuale è un sistema ibrido e immobile. La riforma della giustizia in si è fatta in Italia dall’ ‘89 , anno in cui si è riformato il codice di procedura penale, trasformando il nostro ordinamento da inquisitorio ad accusatorio. Dopo di che si sono avuti  una serie di provvedimenti ispirati al cosiddetto garantismo, dando per scontato che l’imputato sia una parte “debole” del processo, e che i giudici abbiano un interesse precipuo a far condannare un imputato, ma nel nostro ordinamento non è così. La carriera di un giudice non è legata alla condanna o alla assoluzione degli imputati, perché è effettivamente neutra rispetto a questo.  Allora perché criminalizzare il sistema politico criminalizza  la magistratura? . La risposta è semplice, perché i nessi tra sistema politico e criminale sono sempre più stretti. Le leggi ad personam     di Berlusconi, sono certamente la rivendicazione di un potere assoluto del personaggio, ma al tempo stesso l’alibi con cui il sistema diventa sempre più permeabile dagli interessi della grande criminalità e della corruzione. Quindi una riforma ci vuole, e tuttavia il mio parere assolutamente controcorrente, è che il vecchio sistema inquisitorio è preferibile. E’ perfino più garantista in sostanza. In definitiva è preferibile che la focalizzazione dell’azione giudiziaria avvenga sul momento delle indagini a ridosso dei fatti su cui si indaga. Il dibattimento serve solo a dare assoluta trasparenza e pubblicità a tutto il procedimento. Non è garantismo quello in cui un criminale commette un reato e poi ,  a seconda della sua disponibilità economica , può contare su cavilli procedurali appositamente predisposti per ottenere la impunità. In definitiva una persona è innocente o colpevole a seconda se abbia commesso o non commesso un reato, e questo a prescindere dal fatto che sia stato condannato o assolto. Difficile essere condannati con il sistema attuale. Non è un caso che le nostre carceri sono sovraffollate da immigrati o da persone  in attesa di giudizio o da persone in qualche modo angariate per vicende legate al consumo di stupefacenti. I grandi criminali sono o latitanti, o assolti , o prosperano indisturbati, o siedono in parlamento. La riforma di Berlusconi serve a codificare in  modo irreversibile questa situazione.  Perché il PD o alcune frangi sono possibilisti nei confronti  del provvedimento? Anche a questa domanda la risposta è semplice per me e si ricava da tanti dei miei post in questo blog. Perché il PD è fortemente condizionato da un sistema di corruttela e di criminalità, infatti non produce una opposizione intransigente a riguardo , nonostante sia un tema che non consente mediazioni di sorta. Di criminalità si muore in Italia in misura eccedente i paesi sviluppati. Inoltre la recente proposta di riforma costituzionale è anche il segno ulteriore, al pari di tutte, le altre a partire dalla scuola, sono all’insegna della americanizzazione dell’Italia. Infatti manca solo l’elezione dei procuratori per completare l’opera così come chiesto dalla Lega. Ovviamente le imitazioni, in fatto di istituzioni, sono tragicomiche, per il semplice fatto che l’Italia non è come gli Usa. Ciò che può avere una ragion d’essere da una parte non ne ha per ciò stesso anche dall’altra. Le leggi americane sono di una severità estrema spinta sino alla pena di morte,  e questo costituisce l’altro aspetto del sistema americano, che ne è tuttavia una parte integrante. I nostri servi sciocchi vogliono importare un aspetto del sistema ma non vogliono l’altro. Sono ridicoli. Pare che la giornata del cd C-day ( a proposito di imitazioni americane) di oggi sia andata bene per il concorso di gente. E almeno questa è una cosa buona

giovedì 10 marzo 2011

La Libia, il Nordafrica e gli scherzi della storia.


Man mano che passano i giorni, col susseguirsi di notizie anche contrastanti tra loro, ma anche e soprattutto per il succedersi degli eventi, è possibile maturare convinzioni più solide e documentare sulla natura di quegli avvenimenti. Intanto credo che vada fatta una distinzione tra le situazioni createsi nei vari paesi, e la prima che salta agli occhi, è come al solito una diversa piega degli avvenimenti a seconda dei giacimenti petroliferi del sottosuolo.  Questa considerazione mette già in primo piano gli eventi libici, che stanno assumendo una importanza prioritaria proprio per effetto della sua ricchezza petrolifera, connessa con una grande estensione territoriale rispetto ai numeri della popolazione. A proposito della Libia vale la pena di leggersi il fondo del “Corriere della Sera “ di oggi 10.03.2011 firmato da Franco Venturini. “L’agghiacciante risata di Gheddafi echeggia ancora negli incubi di Barack Obama” cosi inizia l’art. e prosegue con un virgolettato di Gheddafi sulla sua capacità di resistere perché è amato dal popolo. Poi continua ed il senso di tutto l’articolo risiede nella constatazione del fatto che gli Usa in testa e tutto  l’Occidente si troverebbe in un imbarazzo di grandi dimensioni se non riuscisse a disarcionare Gheddafi, atteso che all’interno è più forte di quanto non si supponesse, e che sono impraticabili gli strumenti solitamente usati in queste situazioni. Non è disponibile, l’Onu per sanzioni a causa del veto di Russia e Cina, e gli interventi militari risultano di difficile esecuzione a causa dei precedenti Iraq e Afganistan oltre all’opposizione di Turchia e Iran, e alle perplessità di paesi come la Francia e così via. In somma si è in un vicolo cieco, ossia l’Occidente è in un vicolo cieco. Dal mio punto di vista questo è il significato più vero e profondo degli avvenimenti libici e del Nordafrica in genere, che l’articolo coglie senza volerlo, e che faccio mio in ottica rovesciata.  Nel mondo globalizzato c’è una crisi di “assestamento” per un passaggio di testimone del comando. Non è la prima volta che accade, è accaduto a ridosso delle due guerre mondiali quando il primato economico mondiale  e quindi politico passò dal Regno Unito agli Usa. Solo che ora sono gli Usa a dover cedere il passo alla Cina, che detiene il controllo dell’immenso debito pubblico Usa, causato, per buona parte, dalle dissennate politiche liberiste di Reagan e proseguite dalla dinastia Bush, che né Clinton né Obama sono riusciti né riescono a invertire e rimediare per quanta buona volontà possano impiegare.  Ecco cos’è il caso della Libia, una “ciambella senza buco”, un tentativo di riconquistare un territorio che già faceva affari con l’occidente, ma li faceva con l’Europa e con l’Italia in modo particolare, e questo per gli usa i Usa non è buono, perché devono rastrellare tutto il potere e il controllo energetico che possono, perché i tempi sono duri.   Il sogno americano è cessato, credo per sempre. Temo che ora incominci l’incubo con buona pace di coloro che anche e soprattutto a sinistra vedono nella  democrazia liberale, un modello di riferimento cui tenderebbero ad uniformarsi, perfino, anche le masse dei paesi  del Nordafrica.  A scanso di equivoci, non faccio il tifoso. Ho smesso da decenni di fare il filocinese e non ho intenzione alcuna di riprendere adesso, me ne guardo bene, tuttavia bisogna prendere atto che i cinesi si sono adeguati velocemente ai modi di produzione capitalistici, opportunamente modificati, per ciò che attiene alla configurazione giuridica del sistema; ossia, con un decisionismo di fondo nelle mani di un partito-stato e non di singole imprese. Per questa via sono cresciuti, secondo i parametri propri del capitalismo, a ritmi esponenziali, ed ora di fatto controllano il debito pubblico Usa, che in passato hanno dominato il mondo. E lo hanno dominato proprio grazie al controllo del debito pubblico dei paesi del terzo mondo, curando che non si eliminasse mai. Ora  lo stesso  meccanismo si ritorce contro di loro, e questi sono gli scherzi della Storia.     
Ps Apprendo sullo sviluppo del dibattito all’interno della sinistra e dei suoi giornali , e dico subito che non mi appassiona. Non credo che il problema sia schierarsi, ma capire. E se non capisco bene non mi schiero. Non faccio il “tifo” né per Gheddafi né per gli insorti, (altro discorso è la Tunisia e l’Egitto, e manterrò il giudizio a prescindere dagli esiti futuri di queste rivolte.) almeno che non riesca a comprendere cosa ci fanno i reparti del SAS (truppe speciali inglesi) sul terreno libico. Il principio che voglio tener fermo è l’autodeterminazione dei popoli. Se il popolo libico vuole liberarsi di Gheddafi ha tutte le ragioni per farlo, se se ne vuol liberare Obama è tutta un’altra storia. Non a caso trovo più istruttiva la lettura dei giornali “borghesi” che quelli di “sinistra”. Questi ultimi sono tropo autoreferenziali, e vi si scrive a beneficio di cerchie ristrette di militanti. In definitiva sono inutili dal mio punto di vista, consolato dal fatto che Gramsci, al tempo della nascita dell’Unità si preoccupò proprio di evitare di fare un giornale per soli comunisti, sarebbe stato un fallimento.