Sarebbe opportuno che i politici e gli
intellettuali “di sinistra” si ponessero il problema di una verifica seria sul
fatto che tutti i problemi caratterizzanti e connessi alla seconda guerra
mondiale abbiano trovato soluzione, ovvero se ne ve ne siano alcuni tuttora
aperti e presenti sullo scenario internazionale atti a riproporre conflitti
armati non limitabili a livello locale, e a sottendere, nel frattempo, le
dinamiche politiche ed economiche in atto. Quel che mi preme scalfire è un
ottimismo tanto cieco quanto imperante per cui le guerre totali non siano più
possibili, e questo nonostante una crescente tensione internazionale e gli
innumerevoli conflitti, il cui localismo, per altro così esteso, deve essere
considerato come dato poco rassicurante, perché gli attori di questi conflitti
sono attori globali. Certo l’equilibrio del terrore legato all’uso di armi
atomiche o non convenzionali c’è ed è reale, ma si sta lavorando col massimo
impegno ad alterarlo. Tutto ciò non certo per pessimismo cosmico o per ridurre
a poca cosa tutti le novità intervenute, dalla fine dell’ultimo conflitto
mondiale molte delle quali sono di portata davvero epocale, per abusato che sia
questo aggettivo, ma per riequilibrare una visione della storia tutta
ideologicamente schiacciata sulle novità, sino al punto da resettare la storia stessa
quasi fosse un computer. Invece ogni guerra lascia tracce che piace chiamare veleni in coda e per spiegarmi meglio
farò un passo indietro e parlerò della pace di Versailles, che concluse la
prima guerra mondiale, su cui voglio aprire una parentesi, proprio per il
valore paradigmatico della vicenda, a proposito di veleni in grado di favorire
guerre successive. A volte le valutazioni degli storici su fatti del genere non
sono e non possono essere esaustive, proprio perché le vicende belliche hanno
implicazioni in tutti i campi molti dei quali sfuggono agli storici di
professione. Per questo riporto integralmente un passo tratto da Gregory
Bateson, famoso antropologo e psicologo, la cui fama non è dovuta certo a
lavori di storia. Da “Verso una ecologia della mente” nella versione italiana pubblicata da Adelphi nel
1999 traggo il passo che comincia a pag. 489 che ripoterò più avanti, ma con un
avvertimento. Non condivido molto di Bateson come psicologo, perché le mie
opzioni in materia privilegiano alte scuole di pensiero; inoltre anche come
storico lascia molto a desiderare, per questo la citazione che faccio serve a
me solo a sottolineare l’importanza dell’aspetto morale e psicologico di
fondamentali vicende della storia che raramente, a quel che mi consta, gli
storici di professione colgono in pieno, come ripeto, mentre Bateson, certamente
non da solo nel novero dei personaggi notevoli, lo sottolinea con enfasi
particolare, non a caso la citazione che segue è un capitolo intitolato
significativamente “Da Versailles alla Cibernetica”,
ed eccolo:
“ I più, tra voi, non sanno come si giunse a stipulare il trattato di
Versailles. La storia è molto semplice:
la prima guerra mondiale continuava a trascinarsi; era abbastanza evidente che
i tedeschi stavano perdendo. A questo punto George Creel che si occupava di
pubbliche relazioni (e vorrei che non dimenticaste che costui fu uno dei primi
nonni delle moderne pubbliche relazioni) ebbe un idea: L’idea era che forse i
tedeschi si sarebbero arresi se avessimo concesso loro condizioni armistiziali
leggere. Egli preparò allora un pacchetto di condizioni leggere, che non
contemplavano provvedimenti punitivi. Queste condizioni erano articolate in 14
Punti; ed egli comunicò questi 14 Punti al presidente Wilson. Se avete
intenzioni di ingannare qualcuno, come latore del messaggio dovete scegliere un
uomo onesto; il presidente Wilson era uomo di onestà quasi patologica e di
sentimenti umanitari. Egli sviluppò i punti in un gran numero di discorsi: non
dovevano esserci “ne annessioni, né riparazioni di guerra, né distruzioni
punitive….” E così via. E i tedeschi si arresero. Noi, inglesi e americani (specialmente
gli inglesi) continuammo ovviamente a tenere la Germania sotto embargo, perché
non volevamo che i tedeschi si ringalluzzissero prima della firma del trattato;
e così per un altro anno, essi continuarono a patire la fame. La conferenza di
pace è stata vivacemente descritta da Maynard Keynes in the Economic Consequences
of the Peace (1919). Il trattato fu finalmente redatto da quattro uomini,
Clemenceau, “la tigre”, che voleva schiacciare la Germania, Lloyd George che
riteneva fosse politicamente vantaggioso ottenere dalla Germania molte riparazioni
di guerra, e imporle qualche ritorsione; e Wilson, che doveva essere
continuamente menato per il naso. Ogni volta che Wilson aveva dei ripensamenti
su quei 14 Punti, essi lo portavano nei cimiteri di guerra e lo facevano vergognare
di non sentirsi in collera con ii tedeschi. Chi era l’altro? L’altro era
Orlando, un italiano. Si trattò di una delle più grandi svendite della storia
della nostra civiltà, un evento tra i più straordinari, che portò di filato e
inevitabilmente alla seconda guerra mondiale. Portò anche (e questo è forse più
interessante che non la prima conseguenza) ad uno scadimento morale della
politica tedesca. Se voi promettete qualcosa a vostro figlio, e poi vi
rimangiate la promessa, inquadrando però tutta la faccenda su un piano etico
elevato, la conseguenza sarà non solo che egli sarà in collera con voi, m che i
suoi atteggiamenti morali peggioreranno, in quanto egli sentirà l’ingiustizia
della canagliata che gli fate. Non soltanto la seconda guerra mondiale è stata
la risposta appropriata di una nazione che era stata trattata proprio in questa
maniera; ciò che è più importante e che era lecito aspettarsi, da questo tipo
di trattamento, uno scadimento morale di quella nazione. Lo scadimento morale
della Germania ha causato il nostro scadimento morale. Ecco perché dico che il
trattato di Versailles nell’ambito degli atteggiamenti morali.” Cito questo testo, solo e soltanto perché è
l’unico che sono riuscito a trovare, attribuibile ad un personaggio importante
della cultura internazionale, che analizza quell’avvenimento davvero
significativo, da un punto di vista morale e psicologico, e non solo
strettamente storico, come avviene nella più parte dei casi, anche se trovo
l’accostamento tra il trattato di Versailles e la cibernetica improponibile, e
tuttavia, ribadisco, le questioni psicologiche e morali lasciano il segno nella
storia, anche se condivido il classico principio per cui la storia la fanno gli
uomini, ed in sé non ha nulla di deterministico. Ragion per cui mi tocca
ribadire che i giudizi morali e psicologici non dovrebbero prescindere dai
fatti della storia così come sono accaduti. Per farla breve ritengo che il
trattato di Versailles sia stato un grande imbroglio sotto ogni profilo e che
questo fatto non è assolutamente privo di conseguenza sullo sviluppo successivo
degli avvenimenti. Poi non condivido più nulla della ricostruzione storica di
Bateson anzi ritengo che abbia falsato quegli avvenimenti ma in modo non
strumentale rispetto ai fini che si prefiggeva, solo che, trattandosi di un
pensatore liberale ha assunto senza troppo riflettere una certa vulgata su come
andò effettivamente la storia del trattato di Versailles, perché non risponde
al vero, (avete mai visto un capo stato ingenuo)
che Wilson fosse quella personalità pura da partecipare al trattato per scopi
eminentemente turistici, che egli vuol far credere che sia stato. La vicenda
dell’entrata in guerra degli Usa e il ruolo che ebbe Wilson nel rendere
popolare una guerra così lontana dal vissuto degli americani, a tal punto da
arruolare su base volontaria, un numero che raggiunse gradualmente i due
milioni di soldati, è una prova di scaltrezza. La vicenda prova oltre ogni dubbio la doppiezza di Wilson, il
quale fu rieletto per un secondo mandato sfruttando la convinzione generale che
mai avrebbe condotto il Paese in guerra. Di tale doppiezza dà prova anche nella
vicenda del trattato di Versailles. Infatti Bateson dice il falso quando
asserisce che il ministro italiano Orlando fu tra gli estensori del trattato di
pace, e lo condisce con una buona dose di irritante razzismo antitaliano con
quella frase: Chi
era l’altro? L’altro era Orlando, un italiano. De resto egli è un
tipico intellettuale postmoderno. Il problema è che Orlando, notoriamente non
partecipò per protesta alla fase conclusiva del trattato, perché all’Italia non
vennero riconosciute le annessioni territoriali, l’Istria e la Dalmazia così
come previsto dal trattato di Londra del 26.4.1915, per altro segreto, in base
al quale l’Italia cambiò schieramento, e così da essere alleata degli imperi
centrali, Austria e Germania, dichiarò loro guerra al fianco di Francia e
Inghilterra. Il tradizionale e storico asservimento dei Savoia e del ceto
politico italiano quasi sempre corrotto, agli interessi anglosassoni costò
all’Italia liberale, anche la beffa oltre al danno, e che questo abbia avuto un
suo specifico peso sulla crisi italiana sfociata nel fascismo. Il guadagno
realizzato con quell’imbroglio fu enorme, senza il quale le sorti della guerra,
con tutto quel che ne seguì, sarebbero state diverse, verosimilmente. Ma
nessuno si sofferma su questo. Non credo sia opinabile il dato che l’entrata in
guerra dell’Italia a fianco degli imperi centrali avrebbe completamente
sovvertito i rapporti di forza tra i due schieramenti, rendendo perfino
impraticabile l’intervento Usa, che nel 1915 non avevano un apparato militare
di forze terrestri in grado di intervenire tempestivamente sul teatro europeo.
Ma tornando invece a focalizzare il trattato di Versailles, va ribadito che i
famigerati 14 Punti di Wilson, il vero dominus della situazione, per via dei
prestiti di guerra concessi agli alleati europei dissanguati dalla guerra,
furono usati a “forchetta” sull’Italia e sulla Germania, perché ingannarono “di
dritto” prima la Germania per indurla alla resa, come dice Bateson, e poi “di
rovescio” l’Italia. Quindi i 14 Punti furono applicati a danno dell’Italia ma
furono bellamente ignorati a danno della Germania. Ma tutto questo a Bateson,
che non è uno storico, giovi ribadirlo, non interessa, perché, semmai dovrebbe
interessare di più l’Italia e gli italiani, che ancora oggi, ad esclusione di
Gramsci, non riflettono su come si formano i ceti politici che hanno dominato e
ancora dominano l’Italia, producendo governanti derisi sempre la stessa fatuità
oggi come allora. Invece dice una verità incompleta Bateson quando afferma che: “Si trattò di una
delle più grandi svendite della storia della nostra civiltà, un evento tra i
più straordinari, che portò di filato e inevitabilmente alla seconda guerra
mondiale. Portò anche (e questo è forse più interessante che non la prima
conseguenza) ad uno scadimento morale della politica tedesca. La
vicenda italiana non viene presa in considerazione ma conferma e aggrava ulteriormente
il quadro e non lo contraddice. Comunque ho ripreso la vicenda del trattato di
Versailles perché costituisce a mio parere, l’esempio più macroscopico del
fenomeno che mi piace definire dei veleni
in coda, perché anche il secondo conflitto ne ha lascito più di uno. Il
ruolo di “nemico” e quello di “alleato” sono più ambivalenti di quanto non si
creda, e anche questa è una delle lezioni di Versailles Si combattono nemici
conclamati sapendo che si mettono in difficoltà gli alleati per un proprio
vantaggio. Gli Usa sono avvezzi a questa tattica. I disastri in Europa hanno
sempre creato profitti in Usa, e poco importa se la responsabilità fu
interamente europea sino alla guerra ’14-18, ma d’allora in poi gli Usa hanno
sempre manipolato l’Europa a loro vantaggio, grazie proprio alla china
determinatasi con i prestiti di guerra prima e poi con l’occupazione militare e
il dominio politico esercitato con ogni mezzo dopo, grazie ad un ceto politico
in vario grado succube e corrotto, come quello italiano, obbediente prima degli inglesi e poi degli Usa. Tuttavia non
solo corruzione e sottomissione fu, ci furono anche ricatti e minacce. Pensare
che eventi come l’attentato a Togliatti del 14 luglio 1948, e più ancora
l’omicidio di Aldo Moro di trent’anni dopo siano proprio come ce li hanno
raccontati e che siano stati avvenimenti appunto evenemenziali, passati senza
lasciare un segno profondo per quanto impercettibile ad occhio nudo significa,
a parer mio, peccare di una ingenuità nient’affatto veniale. Non c’è congresso
o elezioni come ogni manifestazione di vita politica civile in grado di
imprimere svolte politiche come gli attentati, intrighi opachi e via dicendo,
solo che non se ne parla mai, ovviamente.
Ma torno ora agli esiti dell’ultimo conflitto. Il primo dei veleni in
coda deriva appunto nella sconfitta di Hitler a Stalingrado, e si chiama Unione
Sovietica. Il fatto che nel dopoguerra l’Urss sia addivenuta al rango di grande
potenza internazionale non fu di estremo gradimento degli Usa, i quali
avrebbero preferito una Unione Sovietica comunque logorata al pari degli altri
partecipanti al conflitto stesso, se non del tutto soccombente nel conflitto,
invece in concomitanza della guerra questa nazione realizzò davvero un grande
balzo sotto ogni punto di vista, e così non andava bene e la questione andava
comunque risolta. Il secondo veleno, o forse il primo, è dato dalla questione
ebraica, che, ha dato una giustificazione morale e storica e psicologica, per
quanto strumentale allo Stato d’Israele, facendo così pagare ai palestinesi lo
scotto di una tragedia che li riguardava alla stregua di come riguardava tutti
noi. Invece per loro i guai seri si aggravarono in misura esponenziale. In
realtà alla seconda guerra mondiale non è mai veramente succeduto un periodo di
pace nel mondo. La guerra si è come attenuata nelle sue manifestazioni più
eclatanti almeno nel teatro europeo, per il resto è proseguita in una modalità
di punteggiamento spaziotemporale del globo. Infatti non cessò in Palestina, in
Cina, e in Grecia, e poi in Corea, e poi in Vietnam e così via sino a quelle in
corso, in un crescendo che sta toccando livelli assai pericolosi. La drammaticità
di questa situazione è oggetto di cronaca, per quanto i media che dovrebbero
fare cronaca si sono trasformati ormai in organi di propaganda. Poi c’è il
terzo veleno in coda per quanto attiene alla situazione europea, anche la loro
stretta concatenazione rende difficile metterle in un ordine di importanza. Non
a caso la questione tedesca, che i media ci ripropongono in modo assai parziale
e mistificante oggi, si è evoluta di pari passo con quella dell’Unione
Sovietica, infatti il suo crollo è collegato con la riunificazione tedesca, e
il mitico crollo del muro di Berlino, che tanto continua a far parlare di sé,
con un corredo abnorme di falsità. A
livello di cronaca le due questioni oggi possono essere sintetizzate dalla
guerra in Ucraina, guerra vera ed autentica, dai risvolti imprevedibili, e
comunque rappresentata dai media come una delle tante guerre locali nonostante
questa implichi uno scontro ormai diretto con la Russia di Putin. Comunque ora
la collocazione della Germania nello scacchiere internazionale è fonte di
problemi di grande portata, anche se sui media compare, come sola traccia dei
contrasti con gli “alleati” Usa, le polemiche relative allo spionaggio della
Cia ai danni della Merkel, poi subito rimossa dalle pagine dei media, come
fosse cosa di poco conto. Poi c’è il più sottile, cui più si addice il termine
veleno, è dato dal rogo dei libri e dalla persecuzione degli intellettuali, in
stragrande maggioranza di orientamento politico progressista, con moltissimi
comunisti, anche ebrei. Erano in molti ad essere ebrei e comunisti. Il fenomeno
ebbe la sua manifestazione più plateale con il rogo dei libri avvenuto nella
Bebelplatz di Berlino il 10 maggio 1933.