martedì 4 novembre 2014

La soria e la guerra. Renzi e il partito unico 2



 Sarebbe opportuno che i politici e gli intellettuali “di sinistra” si ponessero il problema di una verifica seria sul fatto che tutti i problemi caratterizzanti e connessi alla seconda guerra mondiale abbiano trovato soluzione, ovvero se ne ve ne siano alcuni tuttora aperti e presenti sullo scenario internazionale atti a riproporre conflitti armati non limitabili a livello locale, e a sottendere, nel frattempo, le dinamiche politiche ed economiche in atto. Quel che mi preme scalfire è un ottimismo tanto cieco quanto imperante per cui le guerre totali non siano più possibili, e questo nonostante una crescente tensione internazionale e gli innumerevoli conflitti, il cui localismo, per altro così esteso, deve essere considerato come dato poco rassicurante, perché gli attori di questi conflitti sono attori globali. Certo l’equilibrio del terrore legato all’uso di armi atomiche o non convenzionali c’è ed è reale, ma si sta lavorando col massimo impegno ad alterarlo. Tutto ciò non certo per pessimismo cosmico o per ridurre a poca cosa tutti le novità intervenute, dalla fine dell’ultimo conflitto mondiale molte delle quali sono di portata davvero epocale, per abusato che sia questo aggettivo, ma per riequilibrare una visione della storia tutta ideologicamente schiacciata sulle novità, sino al punto da resettare la storia stessa quasi fosse un computer. Invece ogni guerra lascia tracce che piace chiamare veleni in coda e per spiegarmi meglio farò un passo indietro e parlerò della pace di Versailles, che concluse la prima guerra mondiale, su cui voglio aprire una parentesi, proprio per il valore paradigmatico della vicenda, a proposito di veleni in grado di favorire guerre successive. A volte le valutazioni degli storici su fatti del genere non sono e non possono essere esaustive, proprio perché le vicende belliche hanno implicazioni in tutti i campi molti dei quali sfuggono agli storici di professione. Per questo riporto integralmente un passo tratto da Gregory Bateson, famoso antropologo e psicologo, la cui fama non è dovuta certo a lavori di storia. Da “Verso una ecologia della mente” nella versione italiana pubblicata da Adelphi nel 1999 traggo il passo che comincia a pag. 489 che ripoterò più avanti, ma con un avvertimento. Non condivido molto di Bateson come psicologo, perché le mie opzioni in materia privilegiano alte scuole di pensiero; inoltre anche come storico lascia molto a desiderare, per questo la citazione che faccio serve a me solo a sottolineare l’importanza dell’aspetto morale e psicologico di fondamentali vicende della storia che raramente, a quel che mi consta, gli storici di professione colgono in pieno, come ripeto, mentre Bateson, certamente non da solo nel novero dei personaggi notevoli, lo sottolinea con enfasi particolare, non a caso la citazione che segue è un capitolo intitolato significativamente “Da Versailles alla Cibernetica”, ed eccolo: “ I più, tra voi, non sanno come si giunse a stipulare il trattato di Versailles.  La storia è molto semplice: la prima guerra mondiale continuava a trascinarsi; era abbastanza evidente che i tedeschi stavano perdendo. A questo punto George Creel che si occupava di pubbliche relazioni (e vorrei che non dimenticaste che costui fu uno dei primi nonni delle moderne pubbliche relazioni) ebbe un idea: L’idea era che forse i tedeschi si sarebbero arresi se avessimo concesso loro condizioni armistiziali leggere. Egli preparò allora un pacchetto di condizioni leggere, che non contemplavano provvedimenti punitivi. Queste condizioni erano articolate in 14 Punti; ed egli comunicò questi 14 Punti al presidente Wilson. Se avete intenzioni di ingannare qualcuno, come latore del messaggio dovete scegliere un uomo onesto; il presidente Wilson era uomo di onestà quasi patologica e di sentimenti umanitari. Egli sviluppò i punti in un gran numero di discorsi: non dovevano esserci “ne annessioni, né riparazioni di guerra, né distruzioni punitive….” E così via. E i tedeschi si arresero. Noi, inglesi e americani (specialmente gli inglesi) continuammo ovviamente a tenere la Germania sotto embargo, perché non volevamo che i tedeschi si ringalluzzissero prima della firma del trattato; e così per un altro anno, essi continuarono a patire la fame. La conferenza di pace è stata vivacemente descritta da Maynard Keynes in the Economic Consequences of the Peace (1919). Il trattato fu finalmente redatto da quattro uomini, Clemenceau, “la tigre”, che voleva schiacciare la Germania, Lloyd George che riteneva fosse politicamente vantaggioso ottenere dalla Germania molte riparazioni di guerra, e imporle qualche ritorsione; e Wilson, che doveva essere continuamente menato per il naso. Ogni volta che Wilson aveva dei ripensamenti su quei 14 Punti, essi lo portavano nei cimiteri di guerra e lo facevano vergognare di non sentirsi in collera con ii tedeschi. Chi era l’altro? L’altro era Orlando, un italiano. Si trattò di una delle più grandi svendite della storia della nostra civiltà, un evento tra i più straordinari, che portò di filato e inevitabilmente alla seconda guerra mondiale. Portò anche (e questo è forse più interessante che non la prima conseguenza) ad uno scadimento morale della politica tedesca. Se voi promettete qualcosa a vostro figlio, e poi vi rimangiate la promessa, inquadrando però tutta la faccenda su un piano etico elevato, la conseguenza sarà non solo che egli sarà in collera con voi, m che i suoi atteggiamenti morali peggioreranno, in quanto egli sentirà l’ingiustizia della canagliata che gli fate. Non soltanto la seconda guerra mondiale è stata la risposta appropriata di una nazione che era stata trattata proprio in questa maniera; ciò che è più importante e che era lecito aspettarsi, da questo tipo di trattamento, uno scadimento morale di quella nazione. Lo scadimento morale della Germania ha causato il nostro scadimento morale. Ecco perché dico che il trattato di Versailles nell’ambito degli atteggiamenti morali.” Cito questo testo, solo e soltanto perché è l’unico che sono riuscito a trovare, attribuibile ad un personaggio importante della cultura internazionale, che analizza quell’avvenimento davvero significativo, da un punto di vista morale e psicologico, e non solo strettamente storico, come avviene nella più parte dei casi, anche se trovo l’accostamento tra il trattato di Versailles e la cibernetica improponibile, e tuttavia, ribadisco, le questioni psicologiche e morali lasciano il segno nella storia, anche se condivido il classico principio per cui la storia la fanno gli uomini, ed in sé non ha nulla di deterministico. Ragion per cui mi tocca ribadire che i giudizi morali e psicologici non dovrebbero prescindere dai fatti della storia così come sono accaduti. Per farla breve ritengo che il trattato di Versailles sia stato un grande imbroglio sotto ogni profilo e che questo fatto non è assolutamente privo di conseguenza sullo sviluppo successivo degli avvenimenti. Poi non condivido più nulla della ricostruzione storica di Bateson anzi ritengo che abbia falsato quegli avvenimenti ma in modo non strumentale rispetto ai fini che si prefiggeva, solo che, trattandosi di un pensatore liberale ha assunto senza troppo riflettere una certa vulgata su come andò effettivamente la storia del trattato di Versailles, perché non risponde al vero, (avete mai visto un capo stato ingenuo) che Wilson fosse quella personalità pura da partecipare al trattato per scopi eminentemente turistici, che egli vuol far credere che sia stato. La vicenda dell’entrata in guerra degli Usa e il ruolo che ebbe Wilson nel rendere popolare una guerra così lontana dal vissuto degli americani, a tal punto da arruolare su base volontaria, un numero che raggiunse gradualmente i due milioni di soldati, è una prova di scaltrezza. La vicenda prova oltre ogni dubbio la doppiezza di Wilson, il quale fu rieletto per un secondo mandato sfruttando la convinzione generale che mai avrebbe condotto il Paese in guerra. Di tale doppiezza dà prova anche nella vicenda del trattato di Versailles. Infatti Bateson dice il falso quando asserisce che il ministro italiano Orlando fu tra gli estensori del trattato di pace, e lo condisce con una buona dose di irritante razzismo antitaliano con quella frase: Chi era l’altro? L’altro era Orlando, un italiano. De resto egli è un tipico intellettuale postmoderno. Il problema è che Orlando, notoriamente non partecipò per protesta alla fase conclusiva del trattato, perché all’Italia non vennero riconosciute le annessioni territoriali, l’Istria e la Dalmazia così come previsto dal trattato di Londra del 26.4.1915, per altro segreto, in base al quale l’Italia cambiò schieramento, e così da essere alleata degli imperi centrali, Austria e Germania, dichiarò loro guerra al fianco di Francia e Inghilterra. Il tradizionale e storico asservimento dei Savoia e del ceto politico italiano quasi sempre corrotto, agli interessi anglosassoni costò all’Italia liberale, anche la beffa oltre al danno, e che questo abbia avuto un suo specifico peso sulla crisi italiana sfociata nel fascismo. Il guadagno realizzato con quell’imbroglio fu enorme, senza il quale le sorti della guerra, con tutto quel che ne seguì, sarebbero state diverse, verosimilmente. Ma nessuno si sofferma su questo. Non credo sia opinabile il dato che l’entrata in guerra dell’Italia a fianco degli imperi centrali avrebbe completamente sovvertito i rapporti di forza tra i due schieramenti, rendendo perfino impraticabile l’intervento Usa, che nel 1915 non avevano un apparato militare di forze terrestri in grado di intervenire tempestivamente sul teatro europeo. Ma tornando invece a focalizzare il trattato di Versailles, va ribadito che i famigerati 14 Punti di Wilson, il vero dominus della situazione, per via dei prestiti di guerra concessi agli alleati europei dissanguati dalla guerra, furono usati a “forchetta” sull’Italia e sulla Germania, perché ingannarono “di dritto” prima la Germania per indurla alla resa, come dice Bateson, e poi “di rovescio” l’Italia. Quindi i 14 Punti furono applicati a danno dell’Italia ma furono bellamente ignorati a danno della Germania. Ma tutto questo a Bateson, che non è uno storico, giovi ribadirlo, non interessa, perché, semmai dovrebbe interessare di più l’Italia e gli italiani, che ancora oggi, ad esclusione di Gramsci, non riflettono su come si formano i ceti politici che hanno dominato e ancora dominano l’Italia, producendo governanti derisi sempre la stessa fatuità oggi come allora. Invece dice una verità incompleta Bateson quando afferma che: “Si trattò di una delle più grandi svendite della storia della nostra civiltà, un evento tra i più straordinari, che portò di filato e inevitabilmente alla seconda guerra mondiale. Portò anche (e questo è forse più interessante che non la prima conseguenza) ad uno scadimento morale della politica tedesca. La vicenda italiana non viene presa in considerazione ma conferma e aggrava ulteriormente il quadro e non lo contraddice. Comunque ho ripreso la vicenda del trattato di Versailles perché costituisce a mio parere, l’esempio più macroscopico del fenomeno che mi piace definire dei veleni in coda, perché anche il secondo conflitto ne ha lascito più di uno. Il ruolo di “nemico” e quello di “alleato” sono più ambivalenti di quanto non si creda, e anche questa è una delle lezioni di Versailles Si combattono nemici conclamati sapendo che si mettono in difficoltà gli alleati per un proprio vantaggio. Gli Usa sono avvezzi a questa tattica. I disastri in Europa hanno sempre creato profitti in Usa, e poco importa se la responsabilità fu interamente europea sino alla guerra ’14-18, ma d’allora in poi gli Usa hanno sempre manipolato l’Europa a loro vantaggio, grazie proprio alla china determinatasi con i prestiti di guerra prima e poi con l’occupazione militare e il dominio politico esercitato con ogni mezzo dopo, grazie ad un ceto politico in vario grado succube e corrotto, come quello italiano, obbediente prima  degli inglesi e poi degli Usa. Tuttavia non solo corruzione e sottomissione fu, ci furono anche ricatti e minacce. Pensare che eventi come l’attentato a Togliatti del 14 luglio 1948, e più ancora l’omicidio di Aldo Moro di trent’anni dopo siano proprio come ce li hanno raccontati e che siano stati avvenimenti appunto evenemenziali, passati senza lasciare un segno profondo per quanto impercettibile ad occhio nudo significa, a parer mio, peccare di una ingenuità nient’affatto veniale. Non c’è congresso o elezioni come ogni manifestazione di vita politica civile in grado di imprimere svolte politiche come gli attentati, intrighi opachi e via dicendo, solo che non se ne parla mai, ovviamente.  Ma torno ora agli esiti dell’ultimo conflitto. Il primo dei veleni in coda deriva appunto nella sconfitta di Hitler a Stalingrado, e si chiama Unione Sovietica. Il fatto che nel dopoguerra l’Urss sia addivenuta al rango di grande potenza internazionale non fu di estremo gradimento degli Usa, i quali avrebbero preferito una Unione Sovietica comunque logorata al pari degli altri partecipanti al conflitto stesso, se non del tutto soccombente nel conflitto, invece in concomitanza della guerra questa nazione realizzò davvero un grande balzo sotto ogni punto di vista, e così non andava bene e la questione andava comunque risolta. Il secondo veleno, o forse il primo, è dato dalla questione ebraica, che, ha dato una giustificazione morale e storica e psicologica, per quanto strumentale allo Stato d’Israele, facendo così pagare ai palestinesi lo scotto di una tragedia che li riguardava alla stregua di come riguardava tutti noi. Invece per loro i guai seri si aggravarono in misura esponenziale. In realtà alla seconda guerra mondiale non è mai veramente succeduto un periodo di pace nel mondo. La guerra si è come attenuata nelle sue manifestazioni più eclatanti almeno nel teatro europeo, per il resto è proseguita in una modalità di punteggiamento spaziotemporale del globo. Infatti non cessò in Palestina, in Cina, e in Grecia, e poi in Corea, e poi in Vietnam e così via sino a quelle in corso, in un crescendo che sta toccando livelli assai pericolosi. La drammaticità di questa situazione è oggetto di cronaca, per quanto i media che dovrebbero fare cronaca si sono trasformati ormai in organi di propaganda. Poi c’è il terzo veleno in coda per quanto attiene alla situazione europea, anche la loro stretta concatenazione rende difficile metterle in un ordine di importanza. Non a caso la questione tedesca, che i media ci ripropongono in modo assai parziale e mistificante oggi, si è evoluta di pari passo con quella dell’Unione Sovietica, infatti il suo crollo è collegato con la riunificazione tedesca, e il mitico crollo del muro di Berlino, che tanto continua a far parlare di sé, con un corredo abnorme di falsità.  A livello di cronaca le due questioni oggi possono essere sintetizzate dalla guerra in Ucraina, guerra vera ed autentica, dai risvolti imprevedibili, e comunque rappresentata dai media come una delle tante guerre locali nonostante questa implichi uno scontro ormai diretto con la Russia di Putin. Comunque ora la collocazione della Germania nello scacchiere internazionale è fonte di problemi di grande portata, anche se sui media compare, come sola traccia dei contrasti con gli “alleati” Usa, le polemiche relative allo spionaggio della Cia ai danni della Merkel, poi subito rimossa dalle pagine dei media, come fosse cosa di poco conto. Poi c’è il più sottile, cui più si addice il termine veleno, è dato dal rogo dei libri e dalla persecuzione degli intellettuali, in stragrande maggioranza di orientamento politico progressista, con moltissimi comunisti, anche ebrei. Erano in molti ad essere ebrei e comunisti. Il fenomeno ebbe la sua manifestazione più plateale con il rogo dei libri avvenuto nella Bebelplatz di Berlino il 10 maggio 1933.