domenica 27 febbraio 2011

La scuola e le colpe di Gianni Rodari e don Milani, ovvero un libro che non comprerò.


Leggo sul “Corriere della sera” di venerdì 25.02.2011 un articolo di Cesare Segre dal titolo “La scuola facile, un modello che non va”. Si tratta della recensione del libro “Togliamo il disturbo, saggio sulla libertà di non studiare ” di Paola Mastrocola. Dice il Segre che l’autrice spiega l’attuale svuotamento dello studio anche per la didattica alternativa di Gianni Rodari e Don Milani che privilegiavano la scuola del fare alternativa a quella del sapere. L’avreste detto mai che “Lettera ad una professoressa”    fosse responsabile di tanto macello? Francamente, io no. Combinazione vuole che sia di questi giorni una invettiva di Berlusconi contro la scuola pubblica, oltre che contro ogni cosa non gradita al Santa Romana Chiesa, che ovviamente come tutti sanno, anche coloro che fingono di non sapere, di santo non ha proprio nulla, essendo essa, a voler prendere in considerazione i suoi insegnamenti dottrinali, un inno continuo al peccato. Ma tornando all’articolo, esso riporta i dati oggettivi del disastro della scuola   Mi chiedo come si possa  dar prova di tanta pochezza. Il problema della scuola italiana, non è relativo a scelte didattiche, ma alla soppressione di qualsiasi didattica, e di qualsiasi concezione di scuola pubblica, perché essa toglierebbe, a detta del ministro Maristella Gelmini, la libertà alle famiglie di scegliere il tipo di insegnamento per i propri figli. C’è una scelta che viene da lontano, di cui la sinistra a partire dalla riforma Berlinguer, assolutamente corresponsabile, che comporta lo “stato debole” uno stato che ha solo polizia, forze armate, apparati a carattere  politico e  istituzionali, che comporta lo smantellamento tendenziale di un apparato produttivo all’altezza dei tempi e dei bisogni del paese, nonché di un apparato giudiziario , così come della scuola , appunto.  Un giorno scriverò un libro per ripercorrere passo dopo passo tutta la tragedia della scuola italiana, che è la tragedia delle nuove generazioni, le quali vivono in parte consistente, un disagio sconosciuto nel passato recente. Loro sono tra le vittime privilegiate di questo regime, che non va confuso  col berlusconismo, perché si accredita il signor Berlusconi, di una capacità  e di un ruolo politico che obiettivamente non ha. Questo, come ho già cercato di argomentare su questo blog, è regime che si è instaurato in modo postmoderno, cruento e strisciante al tempo stesso. Col fascismo il paragone è improprio, mi ripeto, perché questo sicuramente non è un regime a partito unico, e trova il suo punto di forza  nel controllo tendenzialmente assoluto dei mezzi di comunicazione di massa. Scriveva Lyotard nel 1979  “ L’antico principio secondo il quale,  l’acquisizione  del sapere è inscindibile dalla formazione del (Bildung) dello spirito, e anche della personalità, cade e cadrà sempre più in disuso. “   e ancora  “Come gli Stati-Nazione si sono battuti per dominare i territori, e in seguito  per controllare l’accesso e lo sfruttamento delle materie prime e della mano d’opera a buon mercato è ipotizzabile che in futuro essi si batteranno per dominare l’informazione. Così viene ad aprirsi un nuovo campo alle strategie industriali e commerciali ed alle strategie militari e politiche.”   E più avantiLa mercificazione del sapere non potrà infatti lasciare intatto il privilegio che i moderni Stati-nazione detenevano e detengono ancora in materia di produzione e di diffusione delle conoscenze. Che queste ultime dipendano dallo Stato come <cervello> o come <spirito> della società, è una idea che diverrà obsoleta in rapporto al rafforzamento del principio inverso secondo il quale la società può esistere e progredire solo se i messaggi che circolano in essa sono ricchi di informazione e facilmente decodificabili. Lo Stato incomincerà ad    apparire come un fattore di opacità e di <rumore> per una ideologia della < trasparenza> della comunicazione, che si sviluppa parallelamente ad una commercializzazione del sapere. E’ da questo punto di vista che il problema dei rapporti fra istanze economiche e istanze statuali rischia di porsi con acutezza sconosciuta.”  Questo credo sia la descrizione  di quanto avverrà poi nella politica italiana, nel momento della sua evidentemente già progettata americanizzazione dell’Italia.  Le sottolineature delle citazioni sono mie. Altro che Rodari e Don Milani. E quindi non posso che confermare il proposito di non comprare il libro della Mastrocola, Non perché ritengo che la cosa sia punitiva, anche perché, è mia convinzione che  bisogna leggere prevalentemente i testi non condivisi, a patto di non buttare via i soldi per raccogliere spazzatura.

martedì 22 febbraio 2011

MicreoMega 1/2011. Continua.


Quando si fanno paragoni tra il fascismo e i regimi che sono succeduti, si compiono degli errori. Credo che uno di questi errori l’abbia commesso, il pur validissimo Flores D’Arcais, consistente nel confronto con il metodo della sovrapposizione meccanica, per verificare poi coincidenze e dissonanze. Ciò ha il limite, a mio modestissimo parere, di decontestualizzare i due fenomeni presi in esame, col rischio, quello che poi credo si sia verificato di rendere inconcludente la comparazione o giungere a conclusioni fuorvianti.  In realtà se si considerano i contesti storici relativi e il diverso sviluppo della tecnologia e della comunicazione massmediatica, una serie di elementi di confronto perdono di significato. Il diverso uso della coercizione fisica, che D’Arcais raffrontava tra fascismo è berlusconismo, è ormai del tutto fuorviante, perché non implica necessariamente una più spiccata sensibilità umana di Berlusconi rispetto a Mussolini. Al contrario, il cinismo di Berlusconi e la sua spregiudicatezza sono perfino superiori, come stanno a dimostrare i contatti, le vicinanze o altro con la mafia peggiore. Ma a parte questo, và detto che le due figure non sono  granché raffrontabili perché sono figure profondamente diverse. Mussolini aveva una centralità reale nel sistema fascista, che ruotava essenzialmente intorno alla sua figura e agli interessi degli industriali e del patronato agrario che lo sostenevano. Berlusconi non ha la stessa centralità nel regime che, impropriamente, attribuendogli più capacità e potere personale di quanto non ne abbia, prende il suo nome. Intanto gli interessi che lo sostengono sono in effetti interessi criminali. Ne fa fede la composizione e le vicende delle figure che lo circondano, che hanno un ruolo mediaticamente meno rilevante, ma in concreto non è ben chiaro il loro ruolo. Da  Marcello Dell’Utri, a Cosentino, per non parlare del dato per cui, mentre il fascismo si reggeva su un partito unico,  l’attuale regime ha più stampelle. Ma il problema principale è la televisione, che è un mezzo di condizionamento del pensiero assai più efficace dell’olio di ricino, e lo rende in buona sostanza, superfluo. Il discorso è assai complesso ma il problema è complesso e centrale, ma neppure a sinistra se ne dibatte a sufficienza, perché prevale una accettazione fatalistica dello sviluppo “naturale” della tecnologia applicata ai mezzi di comunicazione  di massa, e come tale non criticabile in concreto. E così come ho cercato di argomentare nei post precedenti, la lega di Bossi ha un ruolo preminente nell’elaborazione delle linee di governo, che, altro fatto notevole, non ha in testa la creazione di un nuovo e inedito regime a carattere nazionalistico, così come avvenne per il fascismo,   ma al  contrario di  “americanizzare” l’Italia.  Succede così paradossalmente che, perfino sotto il profilo del welfare e delle politiche industriali, e soprattutto per ciò che riguarda la “pubblica istruzione ” le politiche di quello che impropriamente, secondo me, viene chiamato, berlusconismo,   hanno carattere recessivo rispetto a quello del fascismo. Pefino nei rapporti con il Vaticano le cose vanno peggio. Durante il fascismo, i vescovi non avevano alcun potere di nomina di docenti della scuola pubblica, così come avviene oggi, anche se per effetto di una politica “bipartisan” . Ma questa considerazione non è consolante. L’unico terreno di confronto possibile, ritengo va per temi. Il tema della concezione dello stato è un raffronto possibile, ma pur tra due concezioni di fatto aberranti dello stato per le concrete conseguenze che ne derivano, il fascismo di Mussolini è addirittura meno esiziale, di quello predominante oggi tra il ceto politico dominante. Anche qui il riferimento a Berlusconi è complicato, perché questo cd presidente del consiglio, non ha nessuna concezione dello stato se non come sua proprietà personale. Onestamente nemmeno Mussolini arrivava a tanto. Oggi prevale la concezione dello stato “piano”  liberista che per le sue conseguenze sociali è del tutto equivalente se non peggiore dello stato “forte” , di mussoliniana memoria. Anche il profilo “imperiale” tra i due sistemi è possibile. Con un uso combinato tra forza militare, uso condizionante dei mezzi di comunicazione di massa, e penetrazione economica, l’Albania e la Libia all’alba del XXI sec. sono più “italiane” di quanto non lo fossero all’alba del XX. E gli sconvolgimenti del Nord Africa, meritano sicuramente una riflessione specifica.    

venerdì 18 febbraio 2011

Democrazia, unità d’Italia, indipendenza


In questi giorni si discute molto della ricorrenza dei 150 anni dell’unità di Italia. Se ne discute perfino al festival di San Remo, grazie a Benigni, che è un grande uomo di spettacolo, forse tra i più grandi in assoluto per la capacità di trattare argomenti complessi entro i canoni dello spettacolo, senza banalizzazioni sminuenti. Si discute anche del  ritorno nel PDL di personaggi recentemente fuoriusciti per entrare in FLI. Si discute ancora del caso “Ruby” al secolo El Mahroug Karima, caso che sta arrecando danni davvero irreversibili al nostro sistema parlamentare, e ciò non solo per i tentativi di Berlusconi di sottrassi a qualsiasi controllo di legalità me perché, per la prima volta, è emerso la totale dimensione proprietaria della maggioranza del parlamento della repubblica, e di conseguenza dell’intera istituzione, per aver sostenuto che Berlusconi sia intervenuto per telefono sulla questura di Milano all’unico scopo di evitare una crisi diplomatica tra Italia ed Egitto. A parte,  ancora una volta, l’emergere di una concezione proprietaria dello stato, per cui si tratta di una colossale ed evidente bufala da non potersi prendere in nessuna considerazione. Invece è questa la posizione del Parlamento italiano.  Quel che emerge è la totale assenza di senso dello stato, ad ogni livello, per cui non viene  neppure percepita nella sostanziale totalità del Paese, l’enormità della questione. Ora vien da riflettere sul fatto se ci sia o meno un rapporto tra tutto ciò, e i festeggiamenti del 150° anniversario dell’Unità di Italia. Credo si debba convenire che tra le due questioni vi sia un nesso evidente, perché in Italia non c’è senso dello stato perché nessuna generazione ha sperimentato positivamente la struttura dello stato in Italia. Infatti l’unità di Italia ha un peccato originario che la marchia indelebilmente, perché essa è stata realizzata a vantaggio del Nord e a spese delle regioni meridionali, che hanno pagato un prezzo di sangue, ma anche  economico,  altissimi alla suddetta unità. Né l’esperienza del fascismo con i successivi sviluppi di grande criminalità può aver fatto cambiare idea alle popolazioni sui vantaggi di appartenere all’Italia unita. Durante la cd prima repubblica la questione era attenuata e mascherata dalla funzione dei grandi partiti di massa che soddisfavano il bisogno di appartenenza, e mediavano con il funzionamento dello Stato. Quei partiti sono scomparsi e sostituiti da partiti proprietà di leader. Il Pd sembrerebbe l’eccezione ma se lo è riesce a confermare la regola. Il Pd, è una partito finto, in quanto partito, è una confederazione di gruppi e potentati con a  base i governi locali, senza nessuna identità né programmatica né ideale. Incorpora in sé i difetti di un federalismo all’italiana. Inoltre risulta sempre più difficile sottrarsi al sospetto che una parte di questi potentati siano del tutto collegati a Berlusconi e svolgano attività esterna al PDL solo per “coprire le spalle” per fare in modo che nulla intralci il percorso di Berlusconi. Basti solo pensare al prodigarsi per l’inefficacia prima e per la successiva vacanza poi, di una vera legge sul conflitto di interesse. Solo una improponibile supponenza di ingenuità a favore dei vari D’Alema, Veltroni, Rutelli e via discorrendo, compresi i Bertinotti, i Pecoraro Scanio e così via, può indurre a credere che la mancata regolamentazione di un così devastante conflitto di interessi fosse casuale. Né è un caso che oggi sempre lo stesso gruppo dirigente, sostanzialmente, non vuole la candidatura della Bindi . Ecco perché credo che il pur grande Benigni abbia fatto retorica sul palco di Sanremo. Del resto, a voler essere coerenti, la Lega non avrebbe titolo a governare una Italia che non vuole unita. Queste sono le grandi e manifeste contraddizioni dell’Italia Unita. A tutto ciò si deve aggiungere la questione dell’indipendenza. Che senso della sovranità dello stato può esservi nell’ ospitare basi militari sul proprio territorio poste al di fuori della propria sovranità? E accanto a ciò, la partecipazione attiva e sostanziale, a tutti  conflitti che accesi dagli stati Uniti in ogni parte del mondo?. E nel consegnare agli Usa una industria di automobili come la Fiat, nata e cresciuta grazie ai soldi pubblici e al sudore di generazioni di operai, o contadini divenuti operai e consentire l’applicazione dei residui stabilimenti italiani le norme del diritto americano?. Leggo sul giornale “La Repubblica” di oggi 18.02.2011 virgolettato a sua volta  Berlusconi danneggia l’Italia, ma ci è utile e va aiutato: Obama deve salvarlo al G8 dell’Aquila.  Questa frase viene riportata come contenuto di documenti raccolti da WikiLeaks, e pronunciati dall’ ambasciatore americano dell’Epoca in Italia. Concludeva uno spot pubblicitario  di Renzo Arbore: “Riflettete gente, riflettete.”   

martedì 15 febbraio 2011

I figli, la famiglia, lo Stato.


Sui giornali di oggi 15.02.2011, con lo spunto fornito dalla Corte di Cassazione, che apre sulle adozioni da parte di singoli, abbondano riflessioni sul problema del rapporto con le nuove generazioni. La cosa non può che far piacere, anche perché tra banalità o riflessioni di basso profilo, ve ne sono alcune pongono il problema vero. I bambini sono le prime vittime della crisi sociale che a partire dagli anni ’80, ma si potrebbe risalire anche più indietro nel tempo, sta alterando irrimediabilmente “l’abitat” l’ambiente adatto ad accogliere e far crescere adeguatamente i bambini. Le famiglie in crisi, soprattutto per motivi economici, ad effetto del brusco calo del potere d’acquisto delle retribuzioni, sono costrette a dedicare più tempo al lavoro. E poco cambia se si sale più in alto nella gerarchia sociale. Poiché il problema è, per così dire, travasato nella psiche, e quindi nel costume e nei modelli sociali di riferimento. Cosi ché anche le famiglie benestanti, sono costrette a dedicarsi alla carriera e al lavoro, o ai problemi derivati dalla necessità di confrontarsi nel contesto sociale con esibizioni di status, che stritolano la possibilità di prestare attenzione ai bambini. Per cui succede che essi, mi ripeto, non hanno più abitat, e peggio si fa ricorso a surrogati terribili , quali la televisione , almeno in alcunne fasce d'età. . L’effetto combinato di queste situazioni protratte nel tempo, ha determinato l’effetto della scomparsa sostanziale, (non totale e assoluta, per fortuna) di capacità genitoriali, capacità che consistono nel prestare attenzione costante e privilegiata ai figli, a prescindere dalle sollecitazioni a farlo che provengono da loro stessi, e dalla capacità di dialogare,   che non è solo eloquio,  ma dimostrazione di coerenza tra le cose che si dicono e le cose che si fanno, in modo da fornire modelli da imitare e da introiettare. E i dialogo in questo contesto, si sviluppa a partire dalla capacità di porre divieti e paletti di confine, perché i bambini dalla più tenera età  hanno bisogno di sicurezze, che si concretizzano nella ricezione di messaggi che aiutano a capire che vi sono cose che si possono fare e cose che non vanno fatte.   Questo è un lavoro faticoso ma fondamentale, essenziale per il benessere psichico. Per i bambini è traumatico essere lasciti soli a decidere, pèrché non ne hanno la capacità che verranno col tempo se assistiti in questo. Oggi i genitori non hanno tempo, né pazienza. Nel migliore dei casi rimandano alla scuola, che viene investita di problemi che non le competono in toto, e che intralciano il percorso di apprendimento. In un altro post di questo blog parlavo di “anomia”. Da qui trae origine l’ anomia dei nostri giorni, che ha effetti devastanti soprattutto sulla vita dei giovani delle grandi periferie urbane, sui percorsi di apprendimento dei nostri giovani. Ora viene da chiedersi se tutto ciò ha un senso politico, in senso stretto. La mia risposta è assolutamente affermativa. Le scienze moderne si sono sviluppate anche grazie alle specializzazioni crescenti. Solo che oggi si è andati oltre la specializzazione, oggi siamo di fronte alla frammentazione dei saperi. Occorre capacità di sintesi, capacità di non perdere di vista quello che accomuna in origine i vari specialismi. Questo è un elemento portante della crisi dei nostri giorni. A voler sviluppare il discorso oltre gli spazi di un post, su un blog, si può argomentare sulla connessione tra questi discorsi e la crisi dello stato moderno, così come lo abbiamo conosciuto sino ad alcuni decenni addietro, che più specificamente ha prodotto la crisi irreversibile della nostra democrazia parlamentare, se è vero come è vero che si discute perfino della possibilità del capo dello stato di sciogliere il parlamento pur in presenza di una maggioranza formale. Qualche tempo fa una ipotesi del genere avrebbe fatto gridare al “Golpe” .  Oggi invece, proprio sui giornali di oggi, si discute se la firma del presidente del consiglio affianco a quella del Presidente della Repubblica, nel decreto di scioglimento delle camere sia formale,, un semplice atto dovuto, o sostanziale, e così via.  La questione che non si coglie, è che non c’è più un parlamento, o perlomeno non c’è più il parlamento così come fu concepito nella costituzione del ’48. Sono incompatibili sia il premio di maggioranza che la nomina di parlamentari non  designati dalla preferenza degli elettori. Sembra che abbia affrontato due temi diversi in questo post, invece tutto si tiene.  L’argine è già stato rotto, per cui ora è possibile che passi di tutto.  

domenica 13 febbraio 2011

La crisi e i partiti comunistri in italia



Ho militato per i migliori anni  della mia gioventù, nel tentativo, o nell’illusione di costruire, o di contribuire a costruire, un partito comunista, e poi nell’  ‘ 80 mi sono iscritto,per ripiego, all’unico partito comunista con qualche giustificazione di esistere quale era il vecchio PCI.  Poi l’ ’89, il crollo del muro di Berlino con quel che segue, ha imposto delle riflessioni. Solo che le mie sono andate in direzione diametralmente opposta a quelle della quasi totalità dei miei compagni di lotta, poi diventati magari amici, qualcuno anche nemico acerrimo, ma non più compagni di militanza, che finirono, devo dirlo, per omologarsi con il pensiero di coloro che sino a quel momento avevamo avversato. Insomma da quelle vicende, grosso modo, nasce il “pensiero unico”, la difficoltà di distinguere tra destra e sinistra, che tanto inchiostro ha fatto scorrere.  Dall’ ’89 è sostanzialmente originata, anche se vi erano già tutte le premesse politiche e culturali,   la deriva del postmoderno, contro cui mi dedico in questo blog.  Ora vedo sulla mia posta elettronica il sorgere di una serie di partiti comunisti. Spuntano come funghi, spesso sono gli stessi dirigenti che fondano e rifondano partiti comunisti, come fossero piantine di un orticello. Sono disgustato.  Dal crollo del muro di Berlino si è fatta derivare la fine del marxismo, nonostante bastasse essere appena animati da un minimo di onestà intellettuale, a mio modestissimo parere, per concludere che tra la costruzione del muro di Berlino, il suo abbattimento e il pensiero di Karl Marx e Friedrich Engels,  non v’è rapporto alcuno. E francamente nemmeno con le peggiori vulgate reazionarie di quanto  Stalin ha detto, scritto o fatto, può essere colto un nesso. Eppure così è stato rappresentato la svolta dell’ ’89. In realtà la svolta, obiettivamente c’è stata, ma a parer mio riguarda appunto gli apparati ideologici che furono creati a partire dalla esaltazione farneticante di questi personaggi della storia, da dirigenti del tempo che sfruttando il bisogno di appagamento del senso di appartenenza, connesso con le crisi economiche dei vari periodi della storia, hanno prodotto apparati di massa, che non erano previsti da nessuna elaborazione teorica dei personaggi citati, i quali hanno dato vita a complessi organismi di orientamento sostanzialmente regressivo nella vita delle comunità in cui si sono sviluppati. Il partito di massa di Togliatti, come il “Socialismo in un paese solo” di Stalin  nulla hanno a che fare col pensiero di Marx, al contrario lo contraddicono platealmente. Marx ha sempre pensato e agito in termini di “internazionale” mai di singoli stati. Questo comunque è un discorso assai grossolano, che meriterebbe un approfondimento e una dettagliata analisi caso per caso. L’esperienza di Tito in Jugoslavia, costituisce una esperienza a sé come l’esperienza dello stalinismo  in Unione Sovietica, come l’esperienza dei paesi dell’estremo Oriente, a partire dalla Cina di Mao, o di Castro a Cuba, e così via. Solo che il discorso è troppo lungo e complicato per esaurirlo nello spazio di un post. Quel che mi viene da ribadire che il marxismo, il materialismo dialettico, lungi dall’essersi esaurito, può e deve ritrovare vitalità ed efficacia, se praticato al di fuori di ogni senso di appartenenza. Marx può essere oggetto di studio e di lavoro politico e intellettuale, con il massimo di senso critico, mai più, mi auguro, strumento  di lavoro di propaganda e di esaltazione acritica. Comunque al di fuori di qualsiasi senso di appartenenza. Insomma richiamarsi al marxismo, di per sé non dice nulla, né bisogna consentire che la cosa abbia implicazioni di sorta, né deve  poter instaurare, di per sé, un rapporto privilegiato tra coloro che dicono di richiamarsi ad esso. Insomma la solidarietà va praticata sempre e comunque, a prescindere dai richiami ideologici e culturali.  In definitiva il marxismo non può essere la riproposizione di riti chiesastici, così come è avvenuto in una parte del mondo, a partire dagli anni trenta del novecento in poi. Con questo non voglio disconoscere quanto di positivo hanno significato, sia pure con questi limiti di fondo, che minano la coerenza rispetto al marxismo, non altro, le esperienze dell’ Europa dell’est, come di tanti paesi dell’ estremo oriente. Né può valere una concezione chiesastica appunto, per cui  tutto ciò che non è marxismo è, ipso facto, perdizione dell’anima. Io credo, e penso di poggiare questa convinzione su dati di fatto perfino evidenti,  che quei regimi  per quei popoli, al netto della propaganda ideologica, siano preferibili a quelli di oggi, che hanno portato in moltissimi casi perfino alla perdita di identità statali, con conseguente precipitazione in basso, delle condizioni di vita, per tanta parte di quelle popolazioni. Ma non si tratta solo di questioni a dimensione locale. Non so dire quanta coerenza vi sia nel marxismo di Tito ma credo di poter affermare che egli fu un protagonista positivo tanto della lotta al nazifascismo quanto del movimento degli stati  “ non allineati” del dopoguerra.  Questa è per me, la lezione dell’ ’89.  Soprattutto , il marxismo non va usato strumentalmente per creare organizzazioni di massa che in realtà si reggono sulla loro capacità di appagare il bisogno infantile perfino, del senso di appartenenza, di obbedire ad un capo per bisogno psicologico, a prescindere da una analisi distaccata, razionale e obiettiva delle tesi e degli atti compiuti da questi personaggi. Insomma credo che questa stagione, per fortuna, sia chiusa per sempre, ed è il motivo per cui non credo alle rifondazioni, o a qualsiasi partito abbi ancora la falce e il martello su bandiera rossa come simbolo, per presentarsi alle elezioni e lucrare, possibilmente i vantaggi connessi.  Certo, mi piacerebbe che Sinistra, Ecologia e Libertà, si chiamasse Lavoro, Ecologia e Libertà, perché il senso di Sinistra va ripensato nel profondo, e non dato come fatto acquisito. Il fulcro delle battaglie di progresso, per il futuro, dovrebbero avere, e verosimilmente avranno, i temi del lavoro, con protagonismo operaio, e del senso di un nuova concezione dello sviluppo economico, che incorpori in sé tanto i temi della giustizia sociale e della eguaglianza dei diritti tra gli appartenenti al genere umano, a prescindere dalle appartenenze di sesso e di luogo d’origine, quanto quella della salvaguardia della natura. Sono temi profondamente interconnessi tra loro, perché ormai lo “sviluppo”  capitalistico entra sempre più in rotta di collisione con le possibilità stesse di sopravvivenza del genere umano.  Il termine “sviluppo” va messo tra parentesi, perché anche questo è un termine il cui significato consueto e consolidato, ormai, abbisogna di una profonda rivisitazione.