sabato 10 novembre 2012

Obama, L’America e l’Imperialismo.



Noi tutti, credo, siamo vittime della rivoluzione postmoderna del linguaggio, una  rivoluzione sostanzialmente heideggeriana, da  Heidegger, (1889-1976) filosofo tedesco molto amato a sinistra, al punto da rimuovere, in sede di valutazione critica coerente e generalizzata, il fatto che fosse nazista delle peggiore specie, perché pur avendo scritto moltissimo, nessuna riflessione seria ebbe a fare sulle vicende dell’intellettualità tedesca, completamente stravolta da Hitler, senza neppure un gesto di solidarietà nei confronti del suo maestro Husserl,  filosofo di pari spessore, estromesso dall’università perché ebreo.  Comunque lo cito perché una delle sue caratteristiche consiste appunto nel aver rielaborato un linguaggio tutto suo, per cui ogni volta doveva spiegare il significato che conferiva ai termini che usava, in quanto si discostavano dall’uso comune. Un po’ come ci succede oggi, quando siamo costretti a rinominare concetti una volta assai noti ma con altro nome. Ma sin qui è ancora poco, perché vi sono parole che invece sono state estromesse dal linguaggio comune, e con essa i concetti che volevano esprimere. Il termine imperialismo è tra questi, e così pure il concetto sottostante. Oggi non esiste nessun altra parola che  possa spiegare il concetto e  chi si volesse cimentarsi deve ricorrere necessariamente a circonlocuzioni, perché è innegabile la sua consistenza e la sua attualità, salvo a credere davvero che i conflitti in atto in più parti del mondo, in aggiunta a quelli sempre più minacciosi che si profilano all’orizzonte, siano una effettiva esigenza di “esportare la democrazia”.  La notizia di qualche giorno addietro, dominante su tutti i massmedia è che Obama è stato rieletto presidente degli Stati Uniti. In altri post di questo blog mi sono già intrattenuto sull’argomento Usa come sistema di potere e di apparato politico, economico e militare, in grado di sottomettere, con chiara tendenza a farlo, tutto il resto del mondo. Ecco tutto ciò una volta lo si poteva dire con una sola parola,   imperialismo  appunto, che per la verità implicava anche dei meccanismi economici, solo che ora è un termine demodé , ed il pronunciarlo suscita ripulsa o derisione. Ma oggi Obama è stato rieletto e quasi tutta la sinistra italiana festeggia, perché la nostra è una sinistra prevalentemente obamiana. Sia chiaro che se fossi un cittadino americano avrei votato Obama anch’io, perché tra Obama e i repubblicani c’è poco da scegliere, e dirò di più, se a noi italiani fosse concesso di votate per le presidenziali americane sarei quasi contento, perché sotto il profilo della democrazia reale sarebbe un passo avanti rispetto alla possibilità di contribuire seriamente agli assetti di potere che ci riguardano direttamente; invece siamo una colonia e possiamo votare solo quelli che i presidenti Usa voglio che si voti. E’ così che mentre  su RaiNews24 vedevo la diretta del discorso di Obama che festeggiava sostanzialmente se stesso per la sua vittoria, ammiravo la sua retorica e il suo eloquio davvero brillante, e mi veniva da paragonarlo ai discorsi dei nostri Monti, Napolitano, per tacere della Fornero, capaci solo di irritare e di dire bugie evidenti. Obama invece non dice bugie, o comunque non basa la sua retorica sulle bugie come si usa fare da noi, tutt’al più tace verità incombenti.  Quel che a sinistra in Italia non si vuol capire è che le bugie italiane sono funzionali alle verità obamiane. Il caso più clamoroso e sintomatico è il caso Marchionne: cognome italiano, che appare come l’amministratore delegato di una società italiana, la Fiat appunto, che sta per Fabbrica Italiana Automobili Torino. Peccato che di italiano la Fiat ha ben poco. Sfido chiunque, dopo le note vicende sindacali e gli interventi pubblici di Marchionne a scorgere una qualsivoglia tensione o attenzione per la vendita di automobili del marchio Fiat nonostante questo dovrebbe essere il suo mestiere principale. Invece il suo massimo sforzo sta nel destabilizzare i rapporti sindacali in Italia, in modo conforme a quelli statunitensi. Notoriamente Marchionne è impegnato anche nella Chrysler che invece va a gonfie vele, grazie anche alle sovvenzioni di Obama. Peccato che tra tutti i commentatori che hanno rilevato questa apparente contraddizione nessuno, almeno tra quelli che mi successo di leggere, ha rilevato che è una contraddizione apparente, perché il dato è voluto. Obama ha vinto non solo perché sa parlare, ma perché ha effettivamente invertito un trend occupazionale in Usa che stava diventando davvero insostenibile per gli alti tassi di disoccupazione, incentivando la reindustrializzazione del Paese, dopo la ubriacatura delle delocalizzazioni, tra cui quella dell’automobile, e in questo avere una concorrente in meno come la Fiat, fa gioco.  Inoltre Obama ed è tornato ad cercare il consenso dei ceti medi, anche immigrati da ogni dove ma soprattutto latinos, quei ceti medi che le amministrazioni Bush avevano penalizzato pesantemente il cui consenso non era ritenuto necessario per la stabilità del potere in grazie alle folgoranti vittorie sul campo, che invece si sono tramutate in sconfitte. In definitiva Obama ha vinto perché ha superato una terribile crisi finanziaria, foraggiando le banche e scaricando la crisi sull’Europa, potendo lui avere libertà di spesa, mentre noi dobbiamo rientrare obbligatoriamente dal debito, per costituzione. Ma Obama, come fenomeno simbolico, come personaggio liberal , di colore, come esponete di quelle forze progressiste americane interessate più allo sviluppo della nazione che alla conquista del mondo, deve il suo successo non solo alle sue indubbie capacità politiche e culturali, alle sua capacità di manipolazione massmediatica, ma anche e soprattutto alle sconfitte sul campo rimediate da Bush e dalle forze economiche che lo appoggiavano. Ma noi abbiamo contribuito pesantemente a quella politica di aggressione senza riuscire a coglierne i significati più autentici, abbiamo versato il sangue di diversi nostri giovani, e l’abbiamo sostenute economicamente, mentre da noi si tagliano i posti letto negli ospedali  e si distrugge la scuola pubblica perfino nelle sue strutture edili. Comunque giovi ricordare che tali politiche aggressive poi sono continuate con Obama, si veda la Libia e la Siria, perché in politica estera le differenze tra i partiti che si alternano negli Usa sono praticamente inesistenti. Obama si è limitato a “scalare la marcia” mantenendo però la stessa direzione.  Ma noi abbiamo finanziato, quota parte, per il resto si  vedano Grecia e Spagna ma non solo,  la ripresa americana e la vittoria di Obama col taglio delle nostre pensioni, con una politica iperliberista buona in Europa ma cattiva in Usa  come in Germania. Peccato che le cose sono interconnesse e funzionali le une alle altre sulla base dei dati di cronaca, non di complicate analisi bocconiane. Così Obama esalterebbe la democrazia perché conta su un sistema elettorale assai discutibile per più versi, ma almeno consolidato, mentre da noi si modifica ogni volta il sistema in funzione del vincitore designato, e in questi giorni la legge di modifica di tale sistema pare un cantiere aperto. Come giustamente osservava Santoro, nella sua fortunata trasmissione “Servizio Pubblico” in onda su “La 7”  giovedì 8 u.s. succede che  in America il sistema elettorale è certo e tutta l’incertezza si riversa sull’esito, per cui Santoro usava il termine “pedalare” riferito alle fatiche elettorali di Obama, mente da noi di da per certo l’esito elettorale, nel senso che nessuna delle forze ora in parlamento si sogna di ridimensionare Grillo, e pertanto si accingono a truccare le carte nel gioco elettorale per l’ennesima volta, onde vanificare le scelte dell’elettorato.  Notizia commenta sulla stampa del 7 u.s.  è che in parlamento si sta una modifica della legge elettorale, che paradosso dei paradossi, in teoria sarebbe più democratica perché sposta in alto la soglia per il premio di maggioranza, ma in pratica lo sposta così in alto, da determinare, nella situazione data, la impossibilità pratica di raggiungerlo. Con la legge ancora vigente, come dice opportunamente Travaglio, su “Il fatto Quotidiano” dello stesso giorno, il vincitore più probabile,  sarebbe Grillo appunto, che già capeggia  il primo partito  Sicilia,   ma non raggiungerebbe il 42% previsto dalle novità introdotte dalla vecchia maggioranza più Casini. Così l’unica soluzione obbligata sarebbe ancora un Monti con una coalizione di tutti tranne Grillo, con la benedizione di “Re Giorgio” come ormai viene chiamato Giorgio Napolitano.  Su questa vicenda il giornale “La Repubblica” pubblica un articolo di Gianluigi Pellegrino dal titolo significativo “Il porcellun ingrassato”. Il senso è il medesimo di quello di Travaglio, con l’aggravante che “La Repubblica”  non è sospettabile di pregiudizi contro Monti. Ma noi, la sinistra italiana,  oggi festeggiamo stupidamente la vittoria di Obama, pagando così, al suo successo oltre a un deficit ormai insostenibile della nostra democrazia, anche un deficit culturale e intellettivo davvero preoccupante.