mercoledì 23 novembre 2016

Il referendum. //NO


Il prossimo referendum del 4 dicembre costituisce effettivamente un momento cruciale nella vita politica di questo sventurato Paese. Do per scontato che le ragioni siano davvero tutte dalla parte del NO. Per convincersene basta far caso al dato di fatto incontrovertibile che la propaganda del Si ricorre frequentemente alle menzogne, o a divagazioni improntate a pragmatismo demenziale tipo “se non la si cambia ora non la si cambia più” e simili stupidaggini, oppure ai tagli delle spese ai “politici”, che è un fatto vero ma assolutamente marginale, e fattibile che lo si voglia senza toccare la costituzione. Renzi e i suoi ripetono incessantemente che i nuovi senatori saranno eletti, per non dire che il senato proposto non sarà elettivo. La necessità di cambiare poi fa parte, della più pura retorica futurista, tanto l’imperativo è cambiare poco importa come, per essere poi destinati ad un moto perpetuo, impossibile in ambito istituzionale.  Del resto anche il quesito referendario medesimo che è stato elaborato in funzione di una volontà estrema di ingannare gli elettori, ragion per cui è stato contestato sino in vario modo e in tutte le forme possibili. Non sto a riepilogare le ragioni del NO, abbondantemente e dettagliatamente spiegate da tutto il fronte che si oppone alla riforma. Rilevo che all’interno di questo fronte, il punto di debolezza, è proprio quello della minoranza del Pd che ha esaltato l ‘aspetto pur fondamentale della legge elettorale nota come “italicum” (ogni tanto si ricorre pure al latino invece che al solito inglese). E la pantomima di Cuperlo si consuma proprio in questo ambito.  Se non che la riforma costituzionale resta improponibile per moltissimi aspetti soprattutto per come è stato concepito il nuovo senato, e questo prescinde anche dal “combinato disposto”, che è sicuramente un dato di fatto incontrovertibile, perché, vigente l’Italicum il potere risulterebbe concentrato in modo inaccettabile nelle mani del Pd se vincesse le elezioni. Ma probabilmente la legge elettorale cambierà di nuovo proprio perché Renzi non è così sicuro di vincere da solo le prossime elezioni. Tuttavia anche senza l’Italicum, la riforma del senato, che è l’asse portante di tutta la riforma resta inaccettabile, perché gli effetti resterebbero disastrosi anche ipotizzato di maggioranze diverse. In un caso ci sarebbe una concentrazione di poteri eccessiva, nell’altro un potere davvero eccessivo alle opposizioni in caso di maggioranze diverse. Il nuovo senato avrebbe tutte le possibilità di mettere il bastone tra le ruote in modo pregnante senza nessuna possibilità istituzionale di composizione dei conflitti. In questo caso potrebbero sorgere conflitti infiniti, aggravati dal fatto che il senato non dà la fiducia, e quindi la sua maggioranza non ha responsabilità di governo. Immagino che se a presiedere i governi ci saranno personaggi come gli ultimi che si sono succeduti, e penso soprattutto a Berlusconi e a Renzi, gli “strappi” istituzionali sarebbero, come ora all’ordine del giorno.   Quindi, in questa ipotesi, si rivelerebbe un disastro in barba alla tanto sbandierata “semplificazione” tanto sbandierata. Il Paese cadrebbe nell’anarchia e nella più assoluta ingovernabilità, e, credo, sia questa l’aspettativa più attraente dal punto di vista di J.P.Morgan, la banca americana che sta gestendo l’operazione. Certo il famoso “complottismo” è stato bandito dai media, e tuttavia sono i complotti che governano il mondo, nonostante sui media questa “teoria” che è in realtà un dato di fatto, viene spesso ridicolizzata stupidamente sui media. Neppure il buon Travaglio si sottrae a questa prassi. Bisognerebbe spiegarsi allora, perché il sindaco di Firenze e non un altro ha avuto tutto il favore dei media sino a risultare, nella percezione delle persone comuni, l’effettivo vincitore di primarie anche le prime perse con Bersani, tanto da indurre lo stesso a comportarsi come se le avesse perse, e consentire ad altre primarie con regole modificate nella direzione voluta dal perdente.  Tuttavia l’aspetto che mi preme sottolineare è che la battaglia per il Si si avvale di una prassi consolidata che vede una crescente disapplicazione della attuale carta costituzionale, a partire dall’art. 1° che suona “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Ora la prima parte, quella che vorrebbe l’Italia una repubblica fondata sul lavoro non è mai stata applicata. E non lo è stata in modo pacifico. Si sapeva sin dal primo momento che questa parte del primo art. era una mera petizione di principio che non avrebbe mai avuto un seguito nella realtà. Di fatto l’Italia è sempre stata una Repubblica organizzata in modo funzionale al grande capitale e agli interessi Usa. Così era stato deciso a Yalta, e tuttavia è proprio questo articolo che dà fastidio a J.P. Morgan, almeno secondo un documento della stessa banca che circola in rete, e citata anche in Tv senza smentite di sorta. Eppure, in teoria, questa prima parte del primo articolo non si è toccato. La seconda parte del primo art. invece non ha più trovato applicazione da quanto si è introdotto il sistema maggioritario. La sentenza della Corte Costituzionale che sancisce questo è arrivata tardi in modo assolutamente colpevole. Si sono susseguite diverse legislature su base maggioritaria, che consente la elezione di un certo numero di parlamentari non eletti dal popolo sovrano. Su questo strappo si è consumata l’intera vicenda berlusconiana, che in un sistema proporzionale, verosimilmente non avrebbe mai potuto aver luogo. Quindi l’assalto alla costituzione non è una prerogativa di Renzi, anche se la sua megalomania da strapazzo lo porta a datare ogni vicenda “positiva” della nostra vita politica dalla sua apparizione sulla scena politica. Apparizione legata agli ambienti medesimi che hanno favorito Berlusconi, e la continuità politica tra loro è perfino evidenziata dallo stesso, anche nel frangente della campagna referendaria, in cui Berlusconi dice a parole di votare NO, ma schiera apertamente le sue reti per il Si. E’ una concessione che deve pur fare al suo seguito che tutto si aspettava tranne che la sua eredità sarebbe finita a un personaggio assolutamente nuovo, estratto dal cilindro di quelle congreghe segrete o meno che governano di fatto l’Italia da molto tempo. E’ inutile che ripeta ciò che ho argomentato ripetutamente su questo blog. E’ possibile, anzi per me evidente, che i piani veri, perfino al di là dell’articolato, sono quelli di smembrare l’Italia, così come è stata smembrata a suo tempo la Cecoslovacchia, la Jugoslavia e via dicendo. Questi processi si consumano a tappe se ci si fa caso. Ragion per cui è ingenuo illudersi che la vicenda si concluda con questo referendum, come si vuol far credere. Comunque a proposito di smembramento dell’Italia una traccia vi è già in questa riforma. Ne ha parlato per primo Michele Ainis ne “La Repubblica” di domenica 23 ottobre 2016 in un art. dal titolo 5 Super Stati, le Regioni speciali che voglio riportare integralmente. “C’è una norma, nascosta fra le disposizioni transitorie della riforma Boschi, che è più potente d’un cannone. Perché inventa la suprema fonte del diritto, superiore alla Costituzione stessa. Perché le norme transitorie transitano, mentre questa si proietta sull’eternità. Perché infine, grazie ai suoi stessi incantesimi, la riforma dello Stato genera cinque superStati: le Regioni speciali. Per raccontare questa storia, dobbiamo partire per un triplo viaggio nel tempo. Il primo fino al dopoguerra, quando per un complesso di motivazioni politiche, etniche, geografiche, viene concessa una particolare autonomia a Sicilia, Sardegna, Val d’Aosta, Trentino (il Friuli s’aggiunse nel 1963). Il secondo viaggio approda nel 2001, l’anno della riforma federalista varata sotto il governo Amato: una sbornia di competenze per le 15 regioni ordinarie, che a quel punto passano le cinque sorelle maggiori, le fanno retrocedere in autorità e poteri. Tanto che, per evitare il paradosso di Regioni speciali che in realtà diventano subnormali, la legge costituzionale numero 3 del 2001 introduce la “clausola di maggior favore”, stabilendo che il nuovo Titolo V della Costituzione di s’applichi anche a loro, nelle parti in cui sia più vantaggioso rispetto agli statuti speciali. Il terzo viaggio a ritroso è altresì il più breve. Un anno fa, ottobre 2015: l’oscillazione del pendolo, che di volta in volta converte gli italiani da giustizialisti a garantisti, da proporzionalisti a maggioritari, da federalisti a centralisti, stavolta gira contro gli enti regionali. E infatti in Senato si sta perfezionando la riforma che taglierà le unghie alle Regioni. Mica tutte, però: le autonomie speciali rimangono fuori dalla giostra. Perché mai? Semplice: perché dispongono ad un fuoco di sbarramento che può fucilare la riforma. 19 fucili, quanti sono attualmente i senatori (perlopiù eletti in Val d’Aosta e Sud Tirolo) del gruppo per le autonomie. Siccome però le garanzie non sono mai abbastanza, siccome oggi va bene ma “di doman non v’è certezza”, gli autonomisti pretendono (e ottengono) la fideiussione perpetua. Il 9 ottobre 2015 il Senato approva l’emendamento 39.700, primo firmatario Karl Zeller, ovvero il presidente del Gruppo per le autonomie. Da qui il comma 13 dall’articolo 39, da qui la regola che vieta per tutti i secoli a venire di sforbiciare le competenze delle Regioni speciali, a meno che non siano loro stesse a decretarlo. Cambia infatti il procedimento di formazione degli statuti, dove per l’appunto s’ elencano tali competenze: nel caso delle cinque regioni ad autonomia differenziata, servirà una legge costituzionale adottata dallo Stato “sulla base di intese con le medesime Regioni”. Diciamolo: è la novità più innovativa della nuova novella. Non tanto per l’uso dello strumento pattizio, quanto per il suo grado d’efficacia, per il condizionamento che poi ne deriva. Difatti la costituzione in vigore ne contempla già un paio d’applicazioni: nell’articolo 8 (intese fra lo Stato e culti acattolici) e nell’articolo 116 (intese fra Stato e regioni). In entrambe le ipotesi, però, le intese precedono una legge ordinaria, non una legge costituzionale. Dunque lo Stato può sempre disattenderle, può insomma decidere da solo, purché intervenga con legge di revisione costituzionale, modificando l’articolo 8 articolo 116. Ma in questo caso no, non è possibile. Il comma 13 detta una regola procedurale, né più né meno dell’articolo 138 della Costituzione, di cui è figlia la riforma Boschi. Se domani si correggesse lo statuto del Trentino senza rispettare il comma 13 sarebbe come approvare una riforma Boschi bis senza rispettare l’articolo 138. Vabbè, è dura da capire. Ma è ancora più dura da spiegare, ed è durissima da concepire. Anche perché la concezione del concetto è una e trina, come Dio. Primo: aumenta la forbice tra Regioni ordinarie e speciali, benché in partenza è l’idea fosse quella di verificarle. Secondo: di statuti speciali sono più garantiti dalla costituzione medesima, giacché nel loro caso occorre un passaggio in più (l’intesa), con un procedimento ultra rafforzato. Terzo: l’autonomia delle Regioni speciali non verrà mai più ridimensionata, a meno che esse stesse decidano di fare harakiri. Risultato: ci sbarazziamo del Senato, per liberarci dei suoi poteri di veto. E lo sostituiamo con cinque veto players , le Regio- Stato . Evviva. Michele Ainis non appartiene alla mia cultura dietrologica, eppure da buon tecnico ha evidenziato questo problema che i più considerano secondario ma che secondario, a parere mio non è perché è da ingenui pensare che le contraddizioni di questo pessimo testo di riforma costituzionale sia attribuibile alla cattiva penna dei suoi estensori apparenti, come se a Renzi, alla Boschi, o a Verdini qualcuno lascerebbe scrivere qualcosa di più di un post o un twitter o una slide. Il sistema maggioritario ha portato il peggio della classe politica in parlamento ed ora raccogliamo i risultati.  Abbarbicati al loro potere senza sufficiente e legittimo consenso si sentono in diritto di stravolgere la costituzione per conto terzi. Sono davvero spaventato da ciò che può succede per un altro effetto combinato. Questa riforma Sarebbe disastrosa anche perché contempla la possibilità di un senato fuori dal controllo della maggioranza risultante dalle elezioni politiche vere e proprie e della ingessatura del potere delle regioni a statuto speciale. Francamente temo che davvero possa vincere il Si, nonostante tutto, e mi fa specie leggere di personalità di spessore che si pronunciano per questa riforma. Non c’è nessuna buonafede possibile, e la crisi che attraversiamo, il lungo tempo in cui l’approfondimento e lo spessore culturale sono stati aboliti sia dal nostro sistema formativo che mediatico possono portare una maggioranza di cittadini a votare per questa “riforma”. E’ incredibile ma può succedere, comunque voto NO