domenica 30 gennaio 2011

La crisi e i poteri del Presidente della Repubblica

Oggi ho letto sbrigativamente su "La Repubblica" on line un articolo in cui si sosteneva che il Presidente della Repubblica, può sciogliere le Camere e indire elezioni anticipate, anche senza le dimissioni di Berlusconi. Credo che l'articolo sia ne più e ne meno che l'invocazione di un "golpe" presidenziale. Va da sè che in Italia il capo dello stato non ha molti poteri esecutivi che può gestire discrezionalmente solo l'invio di messaggi alle camere e poco altro , a parte la presidenza del CSM.  Ora che la crisi istituzionale sia grave, anzi gravissima, è certo. Ma la soluzione non è il golpe del presidente, al contrario è l'ulteriore avvitamento della crisi su se stessa. Dal lato pratico nessuno ci garantisce che elezioni anticipate di tal fatta non siano vinte da Berlusconi, il cui governo comunque gestirebbe le elezioni, e dai brogli non cisalverebbe nessuno. Il problema istituzionale credo sia irrisolvibile. Tecnicamente credo che la nostra costituzione abbia  una lacuna nel non aver esplicitato il sistema elettorale connesso col suo impianto. Infatti il premio di maggioranza è una lesione della sovranità popolare così come organizzata nella costituzione. Il danno è stato fatto da tempo, e porre rimedio ora è dura. La crisi si risolverebbe solo con l'elaborazione di una nuova costituzione che tenga conto di questo periodo di crisi, paragonabile per tanti versi a quello del facismo. In realtà , per contenuti sociali e altri aspetti  nella situazione italiana, liberismo e fascismo sono due facce della stessa medaglia. A tal proposito la lettura dell'ultimo numero di MicroMega   è sicuramente illuminante e mi propongo di torarci sopra in prossimo post.

domenica 23 gennaio 2011

L’Anomia e Berlusconi.


Sino a una ventina d’anni addietro, se qualcuno m’avesse chiesto cosa fosse l’anomia, avrei risposto che si tratta di una parola che viene dal greco antico e a significare l’assenza di legge. Giusto perché, all’occasione, mi piaceva rivendicare, per pura vanagloria, la capacità di ricordare quanto studiato al liceo, e per conseguenza,   l’impegno scolastico profuso a dispetto delle mie numerose bocciature al liceo. Infatti mi hanno bocciato ad anni alterni, e per questo poi probabilmente divenni un “sessantottino”. La pregnanza psicosociale del termine l’ho appreso grazie ad uno dei miei migliori maestri che risponde al nome di Vincenzo Pesichella. L’ anomia è un fenomeno psicosociale dei nostri giorni, che tuttavia fu studiato per la prima volta da Emile Durkheim a proposito del problema del suicidio, ma poi ripreso in criminologia in quella che si chiamo “ la scuola di Chicago” se ben ricordo. Si sostiene, in parole povere che tra i fattori di devianza minorile, vi sia l’assenza di  regole, ovvero l’assenza della mancata introiezione dell’infanzia delle regole comportamentali, che nella normalità vengono trasmesse ai bambini attraverso la presenza affettiva del padre. Il discorso è lungo e molta, moltissima letteratura esiste a riguardo, che qui non serve ripercorrere. Quel che a me pare evidente, è che ormai, la figura del padre e delle sue funzioni normative, tanto nello sviluppo psicosociale delle nuove generazioni, quanto nelle funzioni sociali a valenza genitoriale, a partire da quella docente. Questo genera, a mio parere, il diffuso disagio  di ci soffrono le nuove generazioni, l’appiattimento narcisistico degli individui sul presente, e la perdita di capacità di elaborazione collettiva di tutto quanto abbia spessore, ossia capacità di introspezione e di analisi che si immerga nel profondo tanto della storia collettiva e sociale quanto dei singoli individui.  Questo è uno degli esiti del postmoderno, su cui mai cesserò di polemizzare su questo blog, e ne è un motivo fondante. La vicenda  Berlusconi, e soprattutto, la deficiente reazione alla sue nefandezze morali e alla conseguente sua impossibilità materiale  e clinica a svolgere le funzioni che appartengono alla prassi e alla quotidianità di un qualsiasi capo di governo, comunque orientato politicamente testimonia di ciò che vado dicendo. Infatti le attuali vicende  sino agli anni settanta, avrebbero scandalizzato innanzitutto, i conservatori moralisti e benpensanti, con in testa i cattolici praticanti, che oggi, al contrario, stando ai sondaggi, sono quelli più refrattari a menar scandalo   per le vicende di cronaca di questi giorni, e soprattutto a delegittimare la magistratura. Insomma se sono scomparse le “regole” comunque intese, dal panorama psicosociale del nostro tempo, tutto è possibile e tutti sono indifferenti a tutto. E’ per questa strada che maturano le grandi tragedie della storia, su cui occorrere riflettere seriamente, e senza strumentalità di sorta.

martedì 18 gennaio 2011

Guerra e pace.

“Un soldato italiano, il 33enne caporalmaggiore Luca Sanna, è morto in uno scontro a fuoco in Afghanistan, nella zona di Balamurghab. Stando al ministro della Difesa, Ignazio La Russa, la…”  Questa notizia la riproduco col copia e incolla dalla pagina iniziale di Google che riporta una notizia del TGCOM che leggo sullo schermo del mio computer. In Italia si è appena spenta l’eco suscitato dalla morte dell’ultimo militare di alcuni giorni orsono.   La domanda da porsi per ottenere risposte coerenti da chi si schiera in battaglie di sinistra e di progresso, è la seguente. L’Italia è in guerra o in pace? Ho già lamentato che i giochi linguistici del postmoderno hanno prodotto come aberrazione estrema lo scambio dei significati delle parole GUERRA e PACE .  Per cui sembra che l’ultima guerra combattuta dagli italiani sia l’ultimo conflitto del ‘ 39 – ’45. E che poi siamo vissuti in un clima di pace costante. In realtà abbiamo aggredito e contribuito a smembrare un paese neutrale ad opera del governo di sinistra, quale era l’ex Iugoslavia. Tra le tante conseguenze, e solo per esemplificare ricorderò che per opera della rivista Limes il Montenegro, di fatto autonomo dalla Serbia è definito uno stato criminale, uno stato le cui entrate principali sono determinate da attività criminali a partire dal contrabbando delle sigarette con l’Italia. Uno degli argomenti più tristi da affrontare per chi si schiera politicamente a sinistra in questo momento, è proprio questo. Che lo  si sia fatto per motivi umanitari, è argomento che dovrebbe far accapponare la pelle alla sola supposizione. Abbiamo usato gli aerei e bombardato persone inermi per impossessarci indirettamente del territorio o per determinarne in modo stringente le politiche. Del resto non è un caso che Marchionne minacci il trasferimento degli stabilimenti Fiat in quei territori, giovi ripeterlo.  Di tutte le c.d. “missioni all’estero” si possono vedere chiaramente gli interessi e i giochi retrostanti. Ragion per cui mi viene da ribadire la domanda: siamo in guerra o in pace?. La notizia che ho riportato prima risponde da sola. Se vogliamo tornare a chiamare le cose per il loro nome dobbiamo dire che siamo in guerra. E purtroppo lo siamo nel solco della tradizione militare dell’Italia unita. Sono guerre d’aggressione improntate per lo più a scopi di colonialismo (possiamo distinguere in altra sede le diverse fasi del colonialismo), spesso al servizio di potenze che al momento sembrano assolutamente invincibili, salvo poi a rivelarsi perdenti sul campo, esattamente come sta avvenendo ancora in questi giorni. Che in Afganistan si stia combattendo la guerra al terrorismo è argomento risibile a chiunque dotato del più elementare buon senso. Chi sono i terroristi,  del XX e XXI sec.? Chi ha iniziato e usato con una certa continuità  nel tempo  la tecnica del terrore, ossia la strage improvvisa e inaspettata a danno di persone del tutto inermi e minimamente coscienti del pericolo incombente allo scopo appunto di incutere terrore e per suo effetto modificare situazioni di carattere politico e/o militare?.  Ora pigrizia e disordine nelle mie cose non mi permettono una citazione più precisa ma sono in possesso di una intervista pubblica al Dr. Niels Harrit ricercatore danese, se non sbaglio,  che testimonia del ritrovamento di residui di  nanotermite,  esplosivo a uso militare di ultima generazione tra le macerie delle torri gemelle, saltate in aria il famoso 11 settembre del 2001. Questo a coronamento di una sostanziosa letteratura che propende alla ipotesi di  attentato con esplosivo,  assai più verisimile, a mio modestissimo parere, della storia degli aerei che vanno a schiantarsi. La versione ufficiale, se si esclude il fascino delle riprese dal vivo che di per sé possono non significare niente, non è minimamente credibile.

Berlusconi e il caso Ruby


Le psicopatologie che attengono direttamente la sfera sessuale fanno parte della condizione umana e non deve meravigliare l’identità delle persone che ne sono afflitti.  Il fatto che ne sia afflitto pure Berlusconi, così come pubblicamente asserito  dalla ex moglie Veronica Lario, non dovrebbe suscitare scalpore. La questione è politica, come al solito e ha due aspetti fondamentali. Il primo attiene al dato che Berlusconi è presidente del consiglio della Repubblica Italiana, e ciò dovrebbe significare che almeno potenzialmente, a prescindere dagli orientamenti politici e dalle questioni di merito, sia in grado di far fronte al lavoro che appartiene alla quotidianità di un presidente del consiglio. Eppure bisogna chiedersi come sia  possibile ritenere che un  uomo afflitto da una patologia così evidente,  costretto  a coazioni  così  contrari ai più banali motivi di opportunità,  sia materialmente in grado di svolgere le sue funzioni. Una persona “normale” , che avesse una minima consapevolezza del problema cercherebbe aiuto e sollievo negli strumenti che la scienza mette a disposizione per chi soffre di simili disturbi, ma Berlusconi non è consapevole neppure del problema, anzi uniforma la sua esistenza alla possibilità di alimentare la patologia oltre misura. Usa disponibilità finanziarie e status per compensare in modo pubblico e spettacolare la probabile impotenza sessuale. Non solo non cura la sua patologia ma la esibisce sulla scena internazionale. Ebbene una persona di tal fatta è il nostro presidente del consiglio. Il problema che si pone è sul perché questa situazione non stride con il contesto in modo tranciante così come sarebbe lecito attendersi se vivessimo una situazione di “normalità”.  Con tutta evidenza questa situazione normale non è. Credo che sia paragonabile, sotto il profilo psicologico, alla situazione tedesca che precedettero l’avvento del nazismo, con un aggravante, se si vuole. La follia di Hitler si mascherava dietro  alibi più consistenti, mentre la follia di Berlusconi si manifesta per quella che è, senza nessun alibi politico. Questo è il motivo per cui, mi ribello all’idea che si parli, anche a sinistra di berlusconismo.    Come se fosse l’interprete di chissà quali fenomeni sociali. Invece egli è li a rappresentare nel governo di occupazione gli interessi di una parte della grande criminalità, con funzioni di supervisione. Non è artefice né esecutore di nessun progetto politico, e neppure il garante della americanizzazione dell’Italia che è l’unico progetto politico che ha seguito in questo momento in Italia. Come già detto in questo blog, è la Lega di Bossi che ha questo compito. Berlusconi è una pedina, che potrebbe rivelarsi persino troppo ingombrante. Alto motivo di aberrazione è l’acquiescenza del papato a questa situazione. La circostanza è, di per sé , rivelatrice più di diecimila indagini di qualsivoglia natura.

venerdì 14 gennaio 2011

Marchionne e l’occupazione americana.


Sarà certamente antipatico,  ma non resisto alla tentazione di asserire : “ L’avevo detto”. Quando parlavo di occupazione americana, mi riferivo anche ad una serie di processi complessi che non apparivano come tali ad un primo approccio, ma la vicenda Fiat ha il pregio della chiarezza.  Voglio sperare che nessuno si faccia abbagliare dal cognome e dai natali italiani, perché Marchionne è un manager che presta la sua opera al miglior offerente. Nessuno, evidentemente lo ha pagato e lo paga, in modo del tutto trasparente, di quanto non lo paghi Obama, che gli ha affidato l’incarico di rilanciare la Chrysler , a danno di qualsiasi concorrente. La Fiat, per decisione della famiglia Agnelli, soprattutto Umberto, ha smesso di occuparsi seriamente di automobili, o comunque  senza farne un asse portante degli investimenti della famiglia, adeguandosi ad una scelta “postmoderna” di operare nella finanza piuttosto che nella produzione. Il “ritorno” della Fiat alla produzione di automobili, è stata una finta. La sostanza è che ora in Italia gli operai Fiat, devono produrre prevalentemente automobili Chrysler secondo normative contrattuali made in USA. Ecco un effetto vistoso degli effetti dell’occupazione americana. Del resto la cd “delocalizzazione”  nei Balcani a condizioni così vantaggiose, non sarebbe stata possibile senza una occupazione territoriale del tutto esplicita da parte di truppe Nato, o comunque di paesi che di quel sistema fanno parte. Ora nessuno mette in relazione i due fatti la cui connessione è del tutto evidente. Si preferisce credere che i vantaggi  per investimenti nei Balcani sia opera della “modernità”.  In verità è solo la crisi dell’Occidente che avanza, e purtroppo in modo assai doloroso anche e soprattutto per gli operai di ogni nazione,  i quali avrebbero tutto l’interesse a coalizzarsi per una normativa contrattuale omogenea in zona €. Sarebbe, in prospettiva la migliore risposta possibile all’ intrusione dei dollari di Marchionne.

lunedì 10 gennaio 2011

Ancora sugli Usa

Recentemente su Fb, si è sviluppato un dibattito sugli Usa. Lo ha proposto un caro amico e un compagno serio che risponde al nome di Antonino Di Stefano, che ha dato origine ad uno scambio di opinioni interessanti con Denny Sivo, che è pure un compagno importante, che appartiene ad un’altra generazione rispetto a quella mia e di Antonino. Credo che le sue posizioni siano assolutamente generalizzabili. Le sue posizioni sono molto più condivise delle mie in tutta la sinistra di qualunque generazione. Anche i vecchi come me pensano che la civiltà anglosassone sia la migliore civiltà del nostro tempo. Così conclude Sivo e ho tanti altri riscontri più o meno analoghi dal dibattito su Puglia Ribelle. Difficile argomentare in senso contrario, anche perché, - almeno questa è la mia convinzione – la forza di queste posizioni sta nella moda culturale del momento.  Le mode culturali, (anche quelle disegno opposto in auge sino all’ ’89) poggiano su elementi psicologici e irrazionali, attengono più al senso di appartenenza e di identità che non ad una elaborazione culturale in senso stretto. Esse elaborazioni invece non sono quasi mai originali, perché sono il condensato dei rapporti di forza tra le classi, e resistono perfino all’evidenza. Di questo sono convinto anche a proposito della moda sessantottina, quel marxismo di maniera, appunto così poco introiettato da essere cancellato con tratto breve, senza confutazione alcuna.  Ritengo sia un corto circuito culturale e politico creatosi nel ’89, con la caduta del muro di Berlino che ha travolto ogni bagaglio culturale della sinistra sotto le sue macerie, anche elementi di razionalità . Diceva Marx che le idee della classe dominante sono le idee dominanti, e che nessuno si offenda, ma la cd civiltà anglosassone è la civiltà dominante. In realtà il suo dominio economico e politico è declinante, e –  quando si dice “ i paradossi della storia”- proprio ad opera di quella Cina che ha nel suo statuto formale ancora la fedeltà al marxismo leninismo. Ora poco importa vedere quanta coerenza abbia questo richiamo, ma è così. Quello che auspico, ribadisco su questo blog, non è un ritorno di una moda, ma il superamento delle mode culturali come forza omologante, insieme all’insorgere di un più diffuso spirito critico, in grado appunto di sottrarsi a qualsiasi omologazione. Un ritorno quindi allo spirito o, se si vuole, agli spettri di Marx. Tutto ciò in premessa per tentare invece di argomentare su come si è concretamente snodata questa vicenda intellettuale e politica che ci coinvolge, su come, per esempio, ad un certo punto, intorno agli anni ‘90 appunto, nelle università italiane, all’improvviso cessò lo studio del gettonatissimo Marx  e si diffuse a dismisura lo studio di Heidegger. Da lì ebbe origine, ritengo, quella corrente di pensiero che va sotto il nome di “postmoderno” che, sempre nelle mie convinzioni, ha conosciuto la sua celebrazione e il suo manifesto ne La condizione postmoderna” di Jean- François  Lyotard, che ha stravolto tutti i canoni culturali di quella tradizione, si badi bene, che non riguarda solo Marx, ma destruttura tutta la tradizione culturale dell’occidente a radici greche e  latine, che derubrica a livello di narrazione fiabesca, tutta la scienza prodotta in quel solco culturale, che include anche, -  e con ciò voglio rispondere anche ad una precisa argomentazione di Sivo – tanta parte della produzione ,  made    in Usa. Insomma la stessa, non può essere tutta intera usata a legittimare il sistema di potere Usa, e che al contrario, una parte nient’affatto trascurabile è una elaborazione inscrivibile proprio nei canoni di civiltà che oggi gli Usa vogliono materialmente distruggere, o comunque sviluppatasi per contrasto, per cui non si può fare dell’erba un fascio, quando si parla di produzione culturale che ha sempre e comunque una connotazione dialettica.  

domenica 2 gennaio 2011

Sempre a proposito del Poa, Partito d’Occupazione Americana.

Così, mentre la cronaca di questi giorni ci parla del rifiuto del Brasile di estradare Battiti in Italia e di un altro militare italiano ucciso nella  guerra non dichiarata,  nonchè del discorso di fine d'anno di Napolitano, a carattere davvero governativo, vorrei approfondire il concetto appunto del Poa, per cercare di dimostrare che non è quel che sembra, ossia una banale formula retorica fondata solo su un preconcetto antiamericanismo, non certo alla moda, ma comunque serpeggiante più per l’effetto dell’immaginario polemico della destra che nella realtà politica della sinistra italiana (quello sì certamente retorico e ideologico). Credo invece che esso  sia una realtà concreta del nostro Paese, confermata quotidianamente dalla cronaca, compresa, e in modo assolutamente fortuito, quella cui accennavo. Certo invece che is può banalizzare e sostenere che tutto sommato, l’Italia nel dopoguerra è sempre stato una nazione dell’Occidente sviluppato, e palesemente nella sfera di influenza e dichiaratamene alleata degli Usa. Anche se i rapporti non sono perfettamente  paritari ma asimmetrici, non dovrebbe essere un problema, perché la cosa è insita della differenza oggettiva, nel dislivello di potenza  tra le due Nazioni. E infatti fossero così le cose non sarebbe un gran danno, perché così le cose sono effettivamente state così almeno fino agli anni ‘ 70 ma diciamo grossolanamente sino alla durata della cd prima repubblica. Poi c’è stata una svolta, probabilmente legata al ritiro americano dall’Indocina a seguito di una bruciante sconfitta militare, che tra l’altro, fa giustizia del mito trionfalistico americano, che è certamente sopravissuto alla vicenda Vietnamita, ma in perenne sfregio della realtà dei fatti, perche tutte le guerre americane dopo il ’45 si sono concluse disastrosamente. Gli americani sono stati clamorosamente sconfitti  in Cina nel ‘49, ( e quanto pesa oggi quella sconfitta) in Corea nel ‘52(almeno politicamente anche se territorialmente ci fu un pari, ma sempre con eserciti tecnologicamente più deboli, almeno in apparenza) così come in Iraq e in Afganistan.  In realtà gli Stati Uniti accendono conflitti unilateralmente sicuri di vincerli ma poi li perdono. A questo modo hanno causato un numero sterminato di vittime inermi, ma contro gente armata gli Usa si sono rivelati perdenti. Queste cose vanno dette, perché è in atto una grande opera di propaganda a livello divulgativo. In una recente trasmissione su Rete 4 “Apocalyps” ho sentito la conclusione che asseriva addirittura che  la Germania nazista ha vinto la battaglia di Stalingrado, e queste cose non vanno banalizzate. Comunque la impotenza militare Usa nel dopoguerra deve aver creato una specie di sindrome di accerchiamento, che ha con ogni evidenza creato una nuova strategia di dominio tesa a stringere tutti i legami di supremazia anche quelli più consolidati. Unitamente al fatto della crescente incapacità a mantenere una supremazia economica a livello mondiale, incontrastata almeno sino agli stessi anni. I golpe del Cile, del Portogallo della Grecia sicuramente rientrano in questa strategia. In Italia invece nello stesso periodo, grosso modo, si è sperimentato un golpe  diverso e postmoderno, l’unico tollerabile anche dalla ex Unione Sovietica che pure aveva interessi in Italia. Ossia un golpe che non ha fatto dell’erba un fascio, come solitamente avviene nei golpe tradizionali, con l’ uso dei carri armati. Questo tipo di golpe in Italia ebbe a muovere i primi passi, e la circostanza è arcinota,  ma poi è misteriosamente rientrato. Quello che si è visto è una operazione diversa con bersagli selezionati individualmente. Tre nomi su tutti: Moro soprattutto, ucciso nel ’78; Bachelet, capo di fatto della magistratura italiana nel febbraio dell’80, e il generale Mino, comandante dei carabinieri   morto in “incidente” aereo nell’ottobre del ’77 . Faccio solo questi tre nomi anche se ovviamente le vicende di quel periodo sono molto più complesse di quanto mi sia possibile descrivere in un post di questo blog. La questione è che non si può, o meglio la sinistra italiana non può, se vuol davvero essere conseguente forza di governo, ( altro luogo comune da superare e altro merito di Vendola) deve smettere di avallare la doppia lettura della storia italiana a partire perlomeno dal ’45 . Salvo poi a chiedere retoricamente ciò che non si può ottenere in occasione di ricorrenze di stragi e omicidi eccellenti, e che sia la magistratura o governi con troppi scheletri nell’armadio a “far luce” su cose su cui, almeno sotto il profilo politico, non c’è altra luce da gettare salvo a credere agli asini che volano. Credo che ne vada della vita di tutti noi e soprattutto, ciò che più mi angoscia, di quella dei nostri figli.