giovedì 4 agosto 2011

La farsa e la guerra commerciale.


Nei giorni scorsi, a proposito della crisi economica è andata in scena l’ennesima farsa stomachevole condita da dibattiti finti in parlamento, in cui l’unica novità è consistita nel sentire Berlusconi che faceva piangere intenzionalmente, invece delle solite barzellette con cui vuol  far ridere, sempre nelle intenzioni. Certo Bersani una sola cosa ha detto bene quando ha lascito intendere che il discorso di Berlusconi non era farina del suo sacco. A parte queste sciocchezze, per il resto è stato un abominio repellente. Tutti o quasi a dire che Berlusconi se ne deve andare, in nome dei mercati; figuriamoci che è intervenuto pure Marchionne e la cosa è spaventosa. Cos’altro vuole Marchionne che non abbia già avuto? Il sospetto è che si voglia un governo con tutti dentro, per far sputare altro sangue ai soliti noti, visto che Berlusconi non sarebbe in grado di fare più di tanto e poi rompe con le sue beghe personali. E quindi in nome dei mercati, deve andare a casa. Una volta tanto ho sentito da destra una cosa che condivido, quando qualcuno si è ribellato all’idea che siano i mercati a eleggere i presidenti del consiglio, sia pure con buona dose di ipocrisia. Del resto l’ho già detto in questo blog: ma perché si fanno politiche di   alto debito pubblico come se ciò fosse ineludibile,  e  addirittura ci si lamenta di mancate liberalizzazioni come farneticano i vari  Bersani, Bonino, Pannella e via dicendo?. Cui prodest si direbbe una volta?. Queste politiche non giovano ai capitali privati che speculano sul debito degli stati?. E’ il cane che si morde la coda in un certo senso, solo che questa volta c’è qualcosa in più e onestamente, lo dice pure Cacciari, che vista la sua involuzione è tutto dire. Si tratta della speculazione contro l’euro, e in tutto ciò Berlusconi e le sue vicende c’entrano come il fico a merenda. Mai come in questa occasione Berlusconi è apparso per quella comparsa che è e che è sempre stato, altro che “grande comunicatore”. Ora si tenta il gioco di somministrare  un’ altra e più pesante dose di macelleria sociale, per “far fronte alla crisi” come se non fosse endemica, e come se si fossero mai tentate soluzioni diverse. Il vero problema è che gli Usa fanno la guerra all’Euro, all’Europa, e alla possibilità che si costituisca come un autentico stato federale, cosa che sarebbe del tutto auspicabile. Ma non si può fare. Perché le ingerenze Usa in Europa sono fortissime, e quindi non si può fare. Una volta le guerre commerciali si facevano con le dogane, ora si fanno con le borse. Cambiano gli strumenti ma la sostanza resta, e le guerre commerciali sono spesso i prodomi di guerre “tout court” . Ma questo, sostanzialmente,  non si può dire davvero, non appare credibile, per cui tutto continua come prima in questa. Ma a proposito di guerre leggevo di altri quattro soldati italiani feriti  in Afganistan. Ma davvero vogliamo credere che i Talebani, da soli reggono lo scontro contro le più grandi potenze del mondo? Una guerra strisciante, per ora, è già in atto da tempo, ma  chiudiamo gli occhi e non la vediamo, anzi c’è qualche sciocco a sinistra che addirittura la invoca, come nel caso della Libia, questo per dire che la follia è molto estesa, ma cesserà mai? Ai posteri l’ardua sentenza.

martedì 2 agosto 2011

La crisi dell’En.A.I.P. e il suo superamento, forse.


Con un accordo siglato il 29 Luglio u.s. sembra, con tutte le cautele del caso, che la crisi dell’En.A.I.P sia in via di soluzione. L’accordo intervenuto tra sindacati, provincie pugliesi, e Regione Puglia, pare fondarsi sulla convinzione che l’En.A.I.P. possa riprendere un normale cammino funzionale. Va detto subito che l’accordo, insoddisfacente per molti che hanno esternato il loro malcontento, è, come spesso accade, l’unico accordo possibile nelle condizioni date, atteso che il potere contrattuale reale dei lavoratori dipendenti, di questi tempi, è pari o una approssimazione dello zero. Per questo non mi accodo alle critiche politiche verso la gestione sindacale della trattativa. Le modalità di gestione sindacale di questi processi sono note e consolidate, e comunque non possono non risentire della debolezza della categoria, divisa, sostanzialmente subalterna agli enti di appartenenza. Va anche detto che proprio in questa occasione, sono emerse aree di dissenso autentiche dalle impostazioni datoriali, e tuttavia il movimento che si è sviluppato nell’occasione non è stato sufficientemente esteso, dovendo fare i conti con presenze, al suo interno, di emanazioni dirette dell’EnA.I.P. Onestamente, nelle condizioni date, lo ripeto, era difficile una soluzione diversa. Io, forse, raggiungerò la pensione e recupererò, forse, e con tutti gli scongiuri del caso, un po’ alla volta, gli stipendi non percepiti e che mi sono costati scoperti in banca che non mi verranno mai risarciti. Per i colleghi dei Centri per l’Impiego, paradossalmente, coloro che sembravano i più garantiti, in vece c’è la concreta prospettiva di vedersi decurtate le retribuzioni di tutte quelle voci che la C E non riconosce. E’ l’ennesimo non senso di questa situazione kafkiana. Perché mai i dipendenti, e solo loro, devono pagare le contraddizioni si un sistema che è privato sul versante degli incassi degli enti, ma pubblico sul versante delle spese.? Insomma gli enti (il privato)  incassano soltanto, mentre i dipendenti, la   Regione, Provincie, Comunità Europea,  (il pubblico) pagano, in nome del libero mercato, o della sua modificazione mostruosa al tempo del postmoderno.  E’ anche vero, e in questo ho mancato anch’io, che si è persa l’occasione di consolidare i rapporti tra colleghi per altro sparsi lungo tutta la Puglia, per cercare di consolidare i rapporti. Una ultima riflessione mi tocca fare sul ruolo delle Provincie. In questo contesto sono semplici intermediari, perché prendono somme di denaro destinate in modo giuridicamente vincolante, alla specifica retribuzione di quella categoria di dipendenti che pur lavorando per la Provincia, sono dipendenti dell’En.A.I.P. . Ebbene hanno svolto un ruolo centrale in questa vicenda, pur essendo, in teoria, coinvolti in un semplice lavoro di “collegamento” . Le Provincie, per essere chiari, fruiscono del lavoro di questi dipendenti degli  Enti di Formazione professionale, senza neppure un euro di esborso dalle loro casse. Per me è una questione scandalosa che avrebbe solo e soltanto una possibile soluzione accettabile, che riguarda un contesto, mi ripeto, kafkiano, assurdo e paradossale. Infatti se la formazione professionale fosse gestita direttamente dalla Regione,  e se provincie fossero abolite, avremmo un servizio, almeno in ipotesi, assai migliore, con costi di gran lunga più contenuti. Ma questo è eresia, non è tra le ipotesi praticabili, è una utopia del postmoderno, nel senso che è una utopia vera in quanto a concrete prospettive di realizzazione, e al tempo stesso è ridotta rispetto a ciò che il novecento ci consentiva di configurare come utopia.  Siamo messi male, e ho davvero  difficoltà psicologiche ad accettare tutto questo, ma tant’è.