In realtà il vocabolario, o meglio ancora la
distorsione provocata dai media dei significati originari delle parole, priva
quasi del tutto chi come me, vorrebbe poter trasmettere sensazioni di rabbia,
di sgomento, per quello che accade. Trovo del tutto disarmante la capacità di
questo “sistema” di metabolizzare di
tutto, di sfornare ad ogni piè sospinto, personaggi, neologismi e perfino eventi
“non eventi” perché intrisi di nulla se
non delle chiacchiere, una volta definite da bar o sala da barba, ma che ora campeggiano
sulle prime pagine di giornali di grande tiratura, e perfino nelle sedi
parlamentari. Le tragedie vere restano sullo sfondo, sotto gli occhi di tutti,
perfino ostentate a volte, con la consapevolezza che pure l’ostentazione delle
tragedie contribuisce a “naturalizzarle” a farle apparire, cioè, come inserite
nelle pietre e nella natura che ci circonda, in modo che vengano percepite dai
più con piglio fatalistico e quindi considerati inevitabili. Non c’è antidoto a questa corrosione
strisciante, pur nella sua pervasività, di tutto ciò che di buono, e di
positivo si era fatto in Italia e nel mondo, dopo l’ultimo conflitto mondiale.
Sembra di stare su un piano inclinato su cui di deve rotolare sino ad un fondo
che, al momento non è dato intravedere. Come se fossimo in un processo a ritroso che i
più colgono come dato ineludibile e perfino progressivo. In realtà, le
coordinate della situazione politica attuale nascono, per gli aspetti di
maggior attualità, soprattutto sotto il profilo economico, a partire dalle
questioni del cd “debito pubblico”, dalle vicende già richiamate dell’ultima
guerra mondiale. Con la costruzione di quella mostruosità politica ed economica
chiamata “euro” si è di fatto invertito l’esito, acquisito drammaticamente sui
campi di battaglia di tutto il mondo, del secondo conflitto mondiale. La
Germania, sconfitta sul campo, sino alla determinazione della suo sdoppiamento,
ora è riunificata,e detta le leggi dell’economia e della politica in Europa,
seppur su delega Usa. I Paesi e le forza che determinarono la sconfitta del
nazismo, sono annientate, a partire dall’Unione delle Repubbliche Socialiste
Sovietiche, ma anche della Yugoslavia ora smembrata, che fu capace di liberarsi dei nazifascisti
senza attendere “liberatori” di sorta e per questo in grado, anche dopo il
conflitto, di perseguire politiche dette correttamente di “non allineamento”. Ora
l’Urss è tornata Russia come al tempo degli Zar, ed è gestita da dittature che
a quella del famigerato Stalin non hanno nulla da invidiare comunque la si
pensi. Si è proceduto allo smantellamento dello stato sociale con la velocità
con cui, processi analoghi, erano immaginabili solo a prezzo di eventi traumatici,
come guerre, colpi di stato e via discorrendo. In Italia le organizzazioni
legate sia alla grande criminalità organizzate,
che alle nostalgie nazifasciste, governano il paese, a dispetto di
qualsiasi esito elettorale. La sinistra è talmente smarrita da non riconoscere,
nelle sue componenti maggioritarie, nel M5S di Grillo, l’ultima flebile
resistenza al terribile “nuovo che avanza” a suon di stravolgimenti della
costituzione, che si vorrà alla fine del tutto stravolta, per codificare, ad
ogni livello, anche a quello giuridico formale, la vittoria delle forze della
grande criminalità organizzata. Ormai stufo di leggere anche su fb, post, di
pseudo militanti di sinistra, che con ogni camuffamento sostengono questo
governo delle “ larghe intese”. Stufo di
tutto ciò rinuncio, d’ora in poi, a commentare fatti di attualità politica,
consapevole che ormai non esiste più nessuna attualità in politica, se non il
rinnovarsi di recitazioni stantie con qualche personaggio “nuovo” come Renzi, che da rottamatore sedicente, si sta
trasformando nello strumento di legittimazione, sia pure nella dimensione
meramente virtuale di un sistema mediatico, della sopravvivenza di quegli
apparati, che si vorrebbero “rottamare”. Renzi, ormai, malgrado il crescente
consenso, che pare abbia, incarna
l’eterna promessa del nuovo fatto di nulla. Tutto sembra già scritto. Credo impossibile
resistere a tutto questo, ragion per cui, d’ora in poi mi sforzerò su questo
blog, di commentare, non più fatti di cronaca, ma libri,riviste, teorie, che
consentano uno sguardo più lungo, perché ormai nel breve, resta assai poco da
dibattere. Tutto questo, però se sarò capace di migliori
ritmi di lavoro “intellettuale”, atteso che l’agire politico, come insegna non
solo la storia, ma anche, se mi è permesso, la mia personale vicenda politica e
professionale, sempre stritolata tra l’ideologico imperativo del “fare” senza
riferimenti teorici di sostegno, che ho pagato a duro prezzo, sia nel corso
della militanza politica, che nelle
vicende della mia professione di “educatore” così si diceva un tempo,
ossia di un operatore che si districava, nelle contorsioni delle vicende di
vite complicate, di favorire, per il possibile, i ragazzi svantaggiati.
L’attivismo fine a sé sesso non ha mai prodotto nulla da nessuna parte, in
nessun campo. Ritengo perfino sterili, seppur doverose, le denunce di ogni
singola ingiustizia, data la loro mole complessiva,e data la incapacità di fare
sintesi da parte di chicchessia. Perfino gli atti di pura testimonianza, salvo
rare eccezioni, risultano alla fine controproducenti. Serve alzare lo sguardo e
cercare di guardare più avanti, perché nell’immediato, di questi tempi e dalle
nostre parti, temo, tutto è perduto. L’agire
deve essere volto al raggiungimento di obiettivi, e in politica questi
obiettivi, devono essere assolutamente trasparenti, coerenti, e condivisi da
coloro che affermano di volerli perseguire. Tutto ciò è mancato grandemente
nella sinistra italiana nei decenni scorsi, e credo sia il principale motivo
della sua scomparsa. Ci si è trastullati nelle vecchie pratiche del
cattolicesimo deteriore, che si possono sintetizzare nel motto: “fate ciò che
dico, ma non fate ciò che faccio”. Questa prassi inficia tutto ciò che non
deriva da un potere precostituito. Solo che intanto, voglio trascorrere questa
estate più di altre, visto che non ho più obblighi di cartellini da vidimare,
anche sotto la forma di firme da apporre su terribili registri bianchi, tra il mare della costa della Puglia
meridionale, tra Bari e Brindisi, e le pietre, le piante, il terreno di un
trullo in quel di Alberobello. Che almeno questo, insieme all’adorazione dei miei figli mi sia
concesso.
sabato 27 luglio 2013
mercoledì 12 giugno 2013
L'astensionismo
Ormai,
consumati i ballottaggi, le elezioni
amministrative determinano ancora un dibattito politico stanco e francamente
nauseabondo, destinato ad esaurirsi per essere rimpiazzato con qualunque cosa
serva da alibi al governo per continuare a fare il peggio, tipo le riforme
istituzionali e il presidenzialismo “alla francese” che in Italia, come tutto ciò che viene importato a riguardo, trova una applicazione sempre parziale, per la
singolarità della nostra posizione socioeconomica e geopolitica, che rende
nulli tutti gli assetti non originati da una riflessione conseguente su di
essi. A parte ciò, continua la trasformazione della costituzione informandola
progressivamente a principi opposti a quelli per cui fu a suo tempo promulgata.
Invece un ceto politico “compradores” si
sarebbe chiamato un tempo, perpetua lo scambio a vantaggio della grande finanza
made in Usa nonché della delegata Germania, tra il proprio
personale benessere e le condizioni di vita della generalità del Paese, e la
crisi attuale dei grillini eletti in parlamento attiene proprio a questo
tema. Comunque le elezioni ormai stando ai dati
sulla partecipazione interessa un numero decrescente di persone, mentre il
disincanto coinvolge senza dubbio anche chi ha votato. Tuttavia serve, credo,
tornarci sopra. I maggiori interessati infatti, a questi responsi erano i personaggi e le forze
attualmente al governo delle “larghe
intese” e quindi Letta, Berlusconi e Guglielmo Epifani. Sembrerebbe che
l’interpreazione di questo esito elettorale abbia indotto il gruppo dirigente
del Pd a tirare un sospiro di sollievo, ascrivendo alle loro capacità un esito
che a una prima lettura sembrerebbe positivo per il medesimo Pd. Certamente a
guardare gli esiti sulla base dei sindaci eletti, tale ottimismo pare del tutto giustificato, ma
solo in sede di valutazione dell’esito del voto sotto il profilo
amministrativo, perché sotto il profilo squisitamente politico il discorso pare
diverso, e comunque certamente degno di ulteriori approfondimenti. Intanto pare
che come al solito la logica fa difetto in grande misura ai chi occupa cariche
di rilievo politico e istituzionale. Infatti Epifani, che nella sua lunga
militanza politico-sindacale non ha mai vinto granché ora si sente vincitore,
perché ritiene che abbia pagato la
politica delle larghe intese, si presenta a Roma e proclama la vittoria del Pd
mentre il vero vincitore, Marino, in quanto esponente del Pd è certamente
eterodosso, è un “battitore libero” sempre in tema di nostalgia del linguaggio.
Non a caso tutti i sindaci di cs delle grandi città sono eterodossi rispetto
alle segreterie nazionali del Pd. Ora,
che Letta ed Epifani dicano di essere vincitori a beneficio dei creduloni, è pure comprensibile, ma sarebbe
grave se ci credessero davvero. Chi non vuol essere annoverato tra i creduloni
deve pur trovare il modo di dire che le cose non possono essere viste a questo
modo. Il dato ormai quasi statistico, ci dice che le elezioni amministrative
non sono più, da qualche tempo, un fenomeno omologabile alle politiche, per cui
trarre conclusioni politiche da vicende amministrative diventa un esercizio di
mera propaganda, nel caso in cui si pensi che il medesimo risultato possa
essere traslato sul piano di ipotetiche elezioni nazionali. Invece merita molta più attenzione di quanto
non facciano i media alla ormai irreversibile, spero, liquidazione della Lega
Nord, che deve continuare ad essere considerata una costola del Pdl, o meglio
la sua testa politica pensante, perché Berlusconi, notoriamente ha passioni poco politiche o politiche di risulta, tant’è
che sul piano amministrativo è assente, grazie anche e soprattutto alle
autentiche razzie ai danni delle amministrazioni locali sin qui governate dai
suoi emuli. La Lega invece, quella che ha dettato “l’agenda politica”
come si sul dire degli ultimi vent’anni, ha ispirato le leggi razziali ancora
vigenti, ha elaborato sia la cd “devolution” che è il vero buco perenne nel
bilancio dello Stato sia, in una
operazione a tenaglia, il cd “patto di stabilità” . Questa tenaglia ha una
forte responsabilità nel depauperamento in atto dell’economia italiana insieme alle politiche
recessive di Monti, volute da tutti anche se poi ipocritamente misconosciute, come in uno dei tanti giochi della politica
italiana che per l’occasione mi ricorda “lo schiaffo del soldato”. La Lega in
oltre, sul piano amministrativo, per buttarla in propaganda, atteso che i
margini economici di manovra dei comuni sono da tempo, assai ridotti, per i motivi che
prima ricordavo, ha inventato la figura del sindaco moralizzatore o sindaco
sceriffo, insomma tutto un riversarsi su delibere liberticide attinenti a un
malinteso senso della moralità e della sicurezza, una volta appannaggio del
ministero degli interni, e in salsa razzista. Tale impostazione, sicuramente
attenuata, è stata fatta propria anche da sindaci di cs e dispiace che anche
Pisapia a Milano si sia incartato sulla questione dei gelati notturni. Questo
modello di amministrazione locale è, credo, in crisi irreversibile, e questo è
l’ esito più importante di questa tornata, sottaciuta dai masmedia. Certamente
esce penalizzato il M5S e Grillo ha
accusato il colpo. Ora i media stanno
spettacolarizzando oltre misura la sconfitta di Grillo, che ha reagito da
quell’istrione che è, attribuendo “la colpa” del mancato successo agli elettori. Questo difetto non è una sua prerogativa esclusiva,
perché anche a sinistra si sente incolpare gli elettori del mancato successo
della lista Ingroia, per esempio. Il
problema è che quanti assumono questo punto di vista non colgono il dato di
realtà per cui gli elettori, genericamente intesi, ossia una loro larga
maggioranza, sono le principali vittime del sistema elettorale medesimo, e che
colpevolizzare le vittime, per quante responsabilità abbiano, vere o presunte,
è una operazione vana, improduttiva di qualunque effetto positivo. Dirò di
più, dal mio punto di vista il “dagli
all’untore” in corso contro Grillo su tutti i media o quasi, con l’eccezione
notevole del solito Travaglio, è una
operazione di bassissimo profilo, per
due ordini di motivi: il primo, riferito all’atteggiamento della “sinistra che
non c’è” è perché Grillo e il suo
movimento hanno nel loro DNA una debolezza intrinseca che dovrebbe indurre i
più a non scommettere sulla longevità del fenomeno, che a dirla tutta, ha una
portata ridotta al di là del successo alle ultime politiche. Grillo ha parecchi
difetti di cui ho già parlato in precedenti post, ma ne posso aggiungere ancora
uno, che consiste nella semplificazione eccessiva delle sue analisi e delle
conseguenti debolezze intrinseche nelle sue proposte, alcune delle quali
restano condivisibili, purché si tenga conto della portata modesta di fronte
alla drammaticità della crisi che stiamo attraversando; il secondo è che
sarebbe, potenzialmente, se uscisse dai blog e diventasse un movimento radicato
nella realtà sociale, un po’ migliore
del Pd e del Pdl, che in ordine alla situazione attuale hanno responsabilità
storiche e, sotto certi profili , esclusive, e comunque M5S ha avuto un ruolo
positivo, sotto il profilo culturale, nell’affossamento della Lega. Resta il
problema dell’astensionismo, che tutti rilevano ma che nessuno o quasi, valuta
correttamente. Eppure il fenomeno da spazio a diverse riflessioni. Il
principale e il più frequentato dai commentatori, attiene alla qualità della
democrazia, ossia se un astensionismo così alto possa o meno inficiare la
legittimazione politica del sistema. Peccato che le risposte prevalenti siano
inspirate a quella che mi piace chiamare “naturalizzazione” del fenomeno contraddicendo magari
l’importanza attribuita al momento del voto sul piano formale . L’argomento
ricorrente è che nel sistema liberale non è essenziale partecipare al voto
tant’è che negli Usa, tradizionalmente, i presidenti sono eletti con un
consenso assolutamente minoritario. Su questo ho già argomentato su questo
blog. Il problema di fondo, è la concezione liberale della democrazia, che da
un lato fa della libertà di voto il suo manifesto più essenziale, e dall’altro
teorizza la non necessità della
partecipazione al voto. Per i liberali è sufficiente che vi sia la teorica
possibilità di recarsi al voto, a prescindere da tutte le condizioni che
rendono di fatto superfluo l’espressione di voto medesimo. Per chi, come me si rifà a Marx la democrazia
non può essere un fatto formale, deve essere una condizione di realtà generale
nella vita di tutti. Posso concepire forme di democrazia partecipata
che derubricano l’importanza del voto,
ma trovo estremamente contraddittorio esaltare il momento del voto come condizione imprescindibile di democrazia e poi derubricare la
partecipazione al voto medesimo. Solo che nelle condizioni date l’astensionismo
è una forma di protesta del tutto comprensibile, per quanto improduttiva ed è
tale perché acefala e priva di sbocchi. Invece credo abbia delle potenzialità che
la sinistra che non c’è non riesce a cogliere . Avendo, essa, ridotta quel che una volta si chiamava “lotta di
classe” ormai innominabile, declassata a mera ideologia nonostante l’ evidente
crudezza delle sue manifestazioni ad ogni livello, a competizione elettorale, ne
è nata, sempre a sinistra, una sopravvalutazione accecante dell’importanza del
momento del voto, col risultato di alienare da sé quelle aree sociali di non
voto che verosimilmente sono le più sofferenti sotto il profilo socioeconomico.
Fosse per me tenterei di organizzerei il
non voto con forme da studiare con attenzione, in un voto di protesta, che deve
comunque partire dal presupposto che da detto voto di protesta nessuno debba
trarre benefici personali, atteso che è proprio questa lla principale ragione
del non voto, ossia nessuno debba essere
eletto in parlamento. Deve essere un voto simbolico finalizzato a contare,
possibilmente l’area del disagio sociale e per organizzarla sul piano della
partecipazione e della lotta politica, che modifichi, nel contesto
socioeconomico, i rapporti di forza. Ora non so quale esito avranno le prossime
elezioni in Turchia, quel che è certo
che risentiranno, per un verso o per l’altro, delle manifestazioni di piazza di
questi giorni. L’assenteismo comunque, è questo che i commentatori di
ispirazione liberale rifiutano di considerare, non è un fatto meramente
quantitativo, ma dice pure della qualità del consenso. Il raffronto con i
sistemi anglosassoni non regge, per la semplice costatazione che loro, Regno
Unito + Usa, hanno dominato il mondo e lo dominano ancora. Il loro potere
risiedeva del loro dominio su altri popoli e civiltà e non sull’esito di
elezioni che, per l’essenziale hanno
esiti indifferenti. Non è un caso che questa crisi non è aggredibile dai nostri
governi, comunque composti, al contrario possono solo implementarla, perché ha
radici, com’è noto, nella finanza di cui parlavo, che domina il nostro ceto politico al completo
e questa situazione non è modificabile a partire da un particolare esito di un
voto. Oggi su “La repubblica” Ilvo Diamanti ha scritto un articolo “La messa è finita” per
sostenere in estrema sintesi, che la seconda repubblica è seppellita
definitivamente da questo voto, a causa
della sconfitta netta del PDL e della Lega Nord a cui in effetti ha annesso l’importanza
che merita, e della conseguente vittoria del Pd. Ora in questo ragionamento
trovo alcune contraddizioni, perché di solito per “seconda repubblica” si
intende un sistema bipolare con coalizioni, se non partiti, che si alternano al
governo. Tant’ è che quasi tutti i
commentatori rilevavano che le ultime politiche segnarono la fine del
bipolarismo, per effetto del successo di M5S che in effetti spezzava il
bipolarismo. In queste amministrative invece sembrerebbe che sia tornato il
bipolarismo, perché M5S non è mai entrato nei ballottaggi che contano. Il fatto che tutti i sindaci o
quasi siano del Pd, non credo possa mettere in forse il bipolarismo medesimo
che lo stesso Pd ha fortemente voluto. Semmai queste elezioni esaltano il ruolo di architrave dell’intero
sistema che obiettivamente, credo, il Pd svolge. Se non ci fosse non reggerebbe il sistema così
com’è oggi, mente Pdl invece è un partito del padrone non è indispensabile al
sistema, se crollasse se ne farebbe un altro senza per questo inficiare l’intero
sistema. Questo spiega perché, nelle competizioni politiche il Pd dia l’impressione,
se mi si passa una metafora calcistica, di una squadra che non vuol tirare
nella porta della squadra avversaria, o al massimo tira nella propria porta.
Non è solo un fatto di personale politico mediocre, perché la statura di questi
dirigenti è sicuramente modesta, ma non per questo siamo autorizzati a pensare
che siano ingenui, o peggio ancora degli stupidi, perché e certo che gli
ingenui, se non gli stubidi, abitano volentieri in basso, alla base della
piramide sociopolitica, non ai vertici.
sabato 20 aprile 2013
Il Golpe e l'antifascismo
Mentre va in
onda, in occasione delle elezioni del Presidente della Repubblica, il
disvelamento evidente del carattere di
interfaccia del del Pd rispetto agli interessi reali di Berlusconi
e non solo, con buona pace di tutti i suoi sostenitori, si avvicina il 25 aprile, ricorrenza della liberazione dal
fascismo nostrano e dall’ occupazione tedesca di memoria nazista e
hitleriana. Il
tragico e al tempo stesso farsesco
regime di Salò, credo, costituisca in assoluto, il peggior fenomeno
politico e sociale mai verificatosi su quel pur martoriato suolo che ancora
oggi si chiama Italia. Ma non solo questo succede, perché succede anche il
realizzarsi di una ulteriore tappa di quel golpe strisciante che in Italia ha
avuto il suo tragico inizio simbolico, per ciò che mi riguarda, il 9 maggio
1978 giorno dell’uccisione di Aldo Moro, creando una instabilità istituzionale mai
risoltasi. Infatti la rielezione di
Napolitano è una, l’ennesima perpetuata con questo singolare personaggio, violazione esplicita
della costituzione che recita al 1° comma dell’art. 85 della parte II, titolo II “ Il presidente della Repubblica è eletto per 7 anni”. Non c’è bisogno di costituzionalisti o di
esperti che argomentino sino a stravolgere la lettera e lo spirito di questo
articolo, basta una discreta conoscenza della lingua italiana, e neppure
eccelsa, perché l'articolo si riferisce ad una persona e non ad una carica, questa ipotizzabile come ciclica. Non è un caso che durante la cd prima repubblica così era interpretato questo articolo, anche perché, si argomentava, avendo il presidente un ruolo nello scioglimento delle camere potrebbe verificarsi il caso in cui un presidente in carica potesse in qualche modo procurarsi la rielezione, attribuendosi, in un genuino spirito antifascista, alla permanenza limitata delle singole persone nei luoghi del potere un evidente significato di democrazia in quanto si contrapponeva non a caso, al regime fascista, in cui il Re e il duce erano inamovibili. E’ sin troppo elementare
argomentare che nella costituzione il termine di sette anni è il massimo
consentito per la permanenza in carica di un presidente della repubblica diversamente sarebbe ipotizzabile un presidente della repubblica a vita con mandati rinnovabili ogni sette anni. Va da
sé che il problema non è solo formale, ma anche sostanziale, perché questa
rielezione costituisce un tassello importante verso l’edificazione, in salsa
italiana ovviamente, di un regime presidenzialista, già abbondantemente iniziato
nei fatti dallo stesso Napolitano, essendo questo il vero motivo della sua rielezione.
Sorvolo sull’evidenza del fatto che si è trattato di una manovra preordinata, perché,
tanto per dirne una, si sarebbe potuto insistere con la candidatura Marini, a voler mantenere il profilo delle "larghe intese". Ma ora
voglio ragionare di antifascismo, anche se il cambiamento di argomento sarà solo
formale. La retorica imperante durante la cd prima repubblica, intendeva l’antifascismo
come un presidio, oltre che come ricordo storico, contro la rinascenza del fascismo in camicia nera, con il fez e l’olio
di ricino. Non che il problema non fosse sussistente, perché perfino io, in gioventù mi sono adoperato nella misura delle mie possibilità perché non ci fosse un simile ritorno. La questione è che oltre il fascismo tradizionale vi è un la possibilità di un regime assonante con quello fascista, che mantenga la sostanziale tutela degli interessi economici e sociali, sia pure aggiornati ai tempi che viviamo, senza che ne riproduca i tratti più esteriori. Invece la retorica tradizionale esclude questa ipotesi, e all’ombra di questa retorica, si è conservato un apparato dello
stato sostanzialmente ereditato dal fascismo, con tutte le conseguenze del
caso. E tuttavia, almeno nella retorica delle dichiarazioni pubbliche e di
circostanza l’antifascismo era un punto fermo. Nella cd seconda repubblica
anche la retorica dell’antifascismo è in buona sostanza, tramontata. Berlusconi
non ha mai taciuto la sua ammirazione per Mussolini, e tanta parte del Pdl è
composta da persone che negli anni ’60 hanno partecipato attivamente ad attività squadristiche.
Tuttavia ciò che più mi ha amareggiato,
francamente, sono tutte le esibizioni istituzionali
da parte di personaggi che sulla carta dovevano essere ancorate al campo dell’antifascismo. Si è dovuto
ascoltare negli ultimi decenni, discorsi che mi suscitano repulsione, a partire da quello che più mi colpì, quello
che fu pronunciato nella seduta della Camera
del 9/5/1996, la prima della XIII legislatura quella che vide l’insediamento di
Luciano Violante alla presidenza, in cui egli stesso nel discorso d’insediamento,
ebbe a dire tra l’altro “Mi chiedo se l'Italia di oggi - e quindi noi tutti -
non debba cominciare a riflettere sui vinti di ieri; non perché avessero
ragione o perché bisogna sposare, per convenienze non ben decifrabili, una
sorta di inaccettabile parificazione tra le parti, bensì perché occorre
sforzarsi di capire, senza revisionismi falsificanti, i motivi per i quali
migliaia di ragazzi e soprattutto di ragazze, quando tutto era perduto, si
schierarono dalla parte di Salò e non dalla parte dei diritti e delle libertà.
Questo sforzo, a distanza di mezzo secolo, aiuterebbe a cogliere la complessità
del nostro paese, a costruire la liberazione come valore di tutti gli italiani,
a determinare i confini di un sistema politico nel quale ci si riconosce per il
semplice e fondamentale fatto di vivere in questo paese, di battersi per il suo
futuro, di amarlo, di volerlo più prospero e più sereno. Dopo, poi, all'interno
di quel sistema comunemente condiviso, potranno esservi tutte le legittime
distinzioni e contrapposizioni.”
Non è chiaro infatti che tipo di ulteriore riflessione debba farsi sui vinti di ieri, se si
esclude, come egli stesso esclude, sia pur
retoricamente quelle interpretazioni cui si potrebbe logicamente prestare
quell’espressione, se non che quei vinti di ieri non sono divenuti nel
frattempo, e ciò anche in virtù di un malinteso senso dell’antifascismo, i vincitori di oggi. Del resto il discorso di Violante è
volutamente e fortemente provocatorio, è una sorta di abiura, un rinnegare il
suo passato politico, e la storia della sua famiglia che del fascismo fu
vittima. Infatti si poteva limitare a richiamare le ragioni di chi negli
anni ’20 aderì al fascismo, ma sarebbe
stato troppo semplice e perfino scontato e privo di effetto e di radicalità
mediatica, e per questo l’antifascista Violante, che comunque deve la sua
carriera politica a quei militanti del PCI che antifascisti lo erano davvero,
senza di che quello stesso discorso avrebbe avuto un impatto inferiore. Tutto ciò a prescindere da quel “soprattutto
ragazze” quasi a voler nobilitare ignobilmente, al di fuori di qualsiasi
possibile riferimento storico, il fenomeno della Repubblica di Salò, con un
manto di femminismo. Comunque tornando
alla sostanza del discorso di Violante, la definizione “vinti di ieri” appare
un lapsus freudiano in senso stretto. Quel discorso infatti ha il sapore di una
resa dell’antifascismo di ieri, che di cui Violante è indiscutibilmente un
titolato rappresentante, agli eredi di quelli che ieri furono vinti, ma
che oggi sono diventati, a loro
volta, vincitori. Così l’antifascismo si
svuota definitivamente di contenuti e diventa il terreno politico e culturale dell’elaborazione
di un nuovo linguaggio in cui si
comunica l’avvenuta cessazione di ogni possibile contrasto radicale e reale politico
e culturale in Italia. Insomma non c’è più un possibile avversario politico, essendo del tutto risibile il riferimento a tali possibilità contenuto nel discorso di Violante.
Con questo discorso l'allora presidente della Camera certifica il consolidamento di quel ceto politico
che poi si chiamò giustamente “casta” corpo separato dal contesto sociale del
Paese, che pertanto rimane sostanzialmente privo di luogo politico e culturale
dove fosse possibile la legittima coltivazione dei suoi legittimi interessi generali. Non a caso il “nemico” anche sotto il profilo psicologico, oltre
che culturale e politico, diviene in questo tempo della politica, l’immigrato, il nero nel senso del colore
della pelle, lo zingaro, realizzandosi così la legittimazione dell’apparato ideologico
proprio del peggior fascismo. Che il discorso di Violante non sia stato
estemporaneo è cosa del tutto evidente, perché è assolutamente coerente con
tutte le scelte politiche e istituzionali perseguite dal gruppo dirigente del
centrosinistra. In questo senso, sempre rimanendo in abito di discorsi
istituzionali, ricorderò l’infausto discorso del presidente Napolitano, che
tenne il 10 febbraio 2007 . “ Da un certo numero di anni a questa parte si
sono intensificate le ricerche e le riflessioni degli storici sulle vicende cui
è dedicato il "Giorno del Ricordo" : e si deve certamente farne
tesoro per diffondere una memoria che ha già rischiato di esser cancellata, per
trasmetterla alle generazioni più giovani, nello spirito della stessa legge del
2004. Così, si è scritto, in uno sforzo di analisi più distaccata, che già
nello scatenarsi della prima ondata di cieca violenza in quelle terre,
nell'autunno del 1943, si intrecciarono "giustizialismo sommario e
tumultuoso, parossismo nazionalista, rivalse sociali e un disegno di
sradicamento" della presenza italiana da quella che era, e cessò di
essere, la Venezia Giulia. Vi fu dunque un moto di odio e di furia sanguinaria,
e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace
del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una "pulizia etnica". Ecco
qui il
discorso è esplicito, la falsificazione storica è netta, e così si racconta la storia che non fu. Infatti
nell’autunno del 1943 si badi bene, nel pieno del conflitto mondiale che ha
visto l’Italia in modo particolare, impegnata nell’aggressione alla Jugoslavia, con una ferocia che in nulla
cedeva a quella tedesca com’ è
documentato da letteratura storiografica non contestata per ciò che riguarda
episodi di crudeltà inaudita, i partigiani jugoslavi che insieme a quelli greci,erano impegnati nella caccia ai nazifascisti senza interventi, si badi bene, di truppe altrui sul loro territorio, diventano attuatori di un
disegno di pulizia etnica e di un disegno annessionistico slavo. Ora bisogna contestualizzare il discorso facendo caso alle date perché queste parole furono pronunciate da Napolitano nel
2007 mentre solo del 1999, otto anni prima ci furono i bombardamenti Nato con forte partecipazione
italiana, mentre, guarda caso, era in carica il governo D’Alema con l’appoggio
di Bertinotti e di Diliberto. Le cronache di quei bombardamenti raccontano di disastri e vittime civili oltre qualsiasi plausibile esigenza militare. In
questo contesto parlare di espansionismo
slavo costituì una provocazione grave tant’è che suscitò la
recriminazione e le proteste dell’allora presidente della Slovenia, che ovviamente lasciarono un segno quasi invisibile. Ora
la mia costante polemica, in questo blog, è con la ideologia del postmoderno da
un lato, e dall’altro, con la “sinistra che non c’è certo come sono che le due cose coincidono. Insomma
l’antifascismo non può ridursi alla riproposizione di foto storiche, cosa del
resto del tutto giusta e assolutamente necessaria, ma anche un attivo presidio contro
tutte le metamorfosi possibili del fascismo,
sotto il profilo della tutela dei medesimi interessi economici e sociali
ovviamente aggiornati ai tempi di oggi, e sotto questo profilo, indubbiamente l’antifascismo
ha fallito. Un altro equivoco imperante per la connotazione di un regime fascista o autoritario, è dato dalla misura della libertà di stampa e di espressione. In realtà non si tiene conto che il sistema della comunicazione postmoderna, ha aggirato l'ostacolo. Con il dispiegamento di mezzi enormi sostanzialmente autofinanziato, si è dispiegato un apparato pluralistico in apparenza, ma sostanzailmente propagandistico di ciò che non a caso vien percepito come "pensiero unico" anche se non sempre, coloro che ricorrono a questa espressione, concludono coerentemente con questa premessa. E' indubbio che oggi vi sia una libertà di espressione sconosciuta durante il fascismo, e tuttavia, la valutazione del beneficio di tale libertà che non è distribuita in modo eguale tra tutti i possibili fruitori, va commisurata con la potenza degli attuali mezzi di comunicazione. La limitazione concretamente percepibile della possibilità di lanciare messaggi da posizioni di visibilità nel sistema mediatico, raggiunge nei fatti, lo stesso effetto di una limitazione della libertà di espressione. Vero è che non c'è violenza nel contenimento di questa libertà, e tuttavia e pure vero che essa è superflua, perché il sistema è tale da contenere le voci scomode in recinti virtuali ma nel medesimo tempo capaci di neutralizzare perentoriamente ogni messaggio scomodo, in modo che possa essere sicuramente sterilizzato.
martedì 2 aprile 2013
Ragionando di Grillo e di democrazia
Recentemente
su fb mi è successo di vedere tutta una serie di post contro Grillo. Si dice di
tutto e di più, spesso a torto e a volte e a ragione; diciamolo pure, si va a
casaccio, non pare ci sia una specifica preoccupazione di stare ai fatti, il
che nuoce alla causa, posto che ce ne sia una di causa in comune. E per meglio dire anche su fb, spesso, non
sempre il dibattito cede il posto alla
propaganda, e con i propagandisti chiaramente non si discute. Loro lanciano
post esattamente come gli spot pubblicitari, non c’è trippa per gatti, non c’è
argomento o riflessione che tenga, le cose sono così e amen. Tentare di
argomentare è complicato perché servirebbero presupposti che mancano il più
delle volte. Io mi sforzo di ragionare su quel che accade, e poi dire qualcosa
ogni tanto su questo blog. Se mi riesce di suscitare delle riflessioni autentiche
sono contento altrimenti me ne faccio una ragione, infondo non tolgo nulla a
nessuno. Ora succede che Napolitano, il presidente della Repubblica, continua a
picconare la costituzione ben oltre quanto osò immaginare il vecchio Cossiga, e
lo ha fatto a 360 gradi, ha delegittimato la magistratura con la kafkiana
vicenda del contenzioso con la procura di Palermo a proposito delle
intercettazioni; ha di fatto assecondato la battaglia di Marchionne che ha
tentato riuscendoci in parte di delegittimare la Cgil escludendola dalla
contrattazione nazionale. Anziché dimettersi ha congelato, contro ogni sostanziale
spirito della costituzione contro ogni prassi consolidata, non solo il governo Monti ma anche il parlamento
appena eletto, e non sono certo né il primo né l’unico a pensarla così, e io
concordo con quei commentatori, pochi in vero, che sostengono questa tesi. Certamente, a quel che vedo e sento, nessuno
ricorda che si sono tenute elezioni anticipate, anche se per poco, proprio
perché Berlusconi ha sfiduciato Monti, con il paradosso che un governo, le cui
dimissioni hanno dato vita alle elezioni anticipate, ripeto sia pure di poco,
sia ancora in carica con il nuovo parlamento insediato, il tutto con l’alibi
che non c’è mai stato un voto di sfiducia. Il che è vero ma solo perché Napolitano ha espropriato di fatto il
parlamento del potere di dare e negare la fiducia ai governi tranne che per le
fiducie farsa collegate ai singoli provvedimenti legislativi. Non ha rinviato alle camere,
violando una prassi consolidata, per il
voto di fiducia, né l’ultimo governo Berlusconi, né Monti quando fu sfiduciato a parole da
Berlusconi ma senza appunto il voto sulla fiducia, né Bersani in questi giorni,
che aveva tutto il diritto di presentarsi in parlamento. Inoltre correttezza
vorrebbe che rinviasse proforma Monti di fronte al nuovo parlamento, salvo a farlo
rimanere in carica per “l’ordinaria amministrazione”, come si dice di solito, e arrivare perfino a
nuove elezioni anticipate, il che implicherebbe sue dimissioni immediate. Dal mio punto di vista, sotto il profilo della
correttezza, l’unico percorso plausibile, era quello che prevedeva il voto di
fiducia a Bersani alla Camera, e successivamente lo scioglimento del solo
Senato con un accordo per modificare la legge elettorale così da avere una medesima
legge per le due camere. Certo che ci sono rischi evidentissimi ma questo è il
gioco. Ma passando invece alla sostanza delle cose, voglio dire che ormai siamo
di fronte a un bivio. Da un lato c’è il gruppo storico già al potere che è dato
sostanzialmente da Pd + Pdl, che ha gestito la cd seconda repubblica, e dall’altro M5Stelle. Le differenze, sul
piano della democrazia formale sono flebili o poco percepibili, ed è stato uno
dei miei motivi di riserva sui post dei miei amici di fb che sul tema specifico
attaccavano Grillo. Ho già detto di Napolitano che si comporta come un monarca
d’altri tempi, che riserva a sé medesimo l’ultima parola sui governi, cosa che
la costituzione non gli concede. Il piano generale, che temo sia stato
partorito da qualche specifico staff della Casa Bianca, prevede il passaggio da
un monopartitismo mascherato, quello appunto che vede associati Pd+Pdl, ad un
monopartitismo trasparente, quello di
Grillo. Va detto pure che anche Napolitano pensava ad un passaggio al
monopartitismo, in tempi un po’ più lunghi,
incentrato su Monti, con assorbimento in modalità striscianti del
problema Berlusconi, ma senza ricorrere a nulla che producesse una qualche
forma di palese contrapposizione. Il
problema di fondo, agli occhi di Obama, è che in questo apparato è molto
costoso, corrotto in parti consistenti, legato in quota parte al sistema della
grande criminalità, e ormai incapace di gestire il consenso. Non ha prodotto benefici di sorta, anzi porta politiche
recessive, che con tutta evidenza servono solo a una ristrettissima cerchia di
persone racchiuse nei circoli del Partito Repubblicano, ed è incentrato sulla
figura di Berlusconi, che è un servo indocile, pretende troppo per sé e si è
schierato apertamente contro Obama e non garantisce, per i fini che contano,
nulla di importante, ed è disponibile a vendersi pure al suo “amico” Putin. Al contrario Grillo, punta sul consenso garantito da misure di
welfare, seleziona un personale politico più docile, assai meno costoso, e più
produttivo, nel senso della disponibilità al sostegno alla piccola e media impresa, che è
l’ossatura portante del sistema produttivo italiano, sin qui pesantemente
penalizzato col pretesto assai ridicolo, in vero del cd. “patto di stabilità”
che a null’altro serve se non a rottamare il sistema Italia, dove si continua a
ragionare come se fossimo uno stato indipendente cosa che non è in tutta evidenza. Le cronache, per edulcorate
che siano, dicono di contatti telefonici tra Napolitano e Draghi, presidente
della Bce, in merito alla crisi in atto, e dicono pure dell’intervento
dell’ambasciatore Usa Thorne al liceo Visconti
che elogia Grillo, in piena campagna elettorale. Certamente poi ci sono state dichiarazioni
che precisano, smentiscono e via discorrendo ma i dati di fatto restano, solo
che, a quanto pare, nessuno ha voglia di sommare due più due in Italia, tanto è alto il rischio di sbagliare. Sullo sfondo rimangono le grandi questioni
che attengono al tema dell’Europa, del debito e dell’euro. Grillo a riguardo
appare più possibilista, invece dell’assoluta e ferma acquiescenza all’euro da
parte del partito Pd+Pdl, dovendosi prendere per strumentali i discorsi di
Berlusconi a corrente alterna sull’euro, atteso che al suddetto, nulla lo
interessa oltre il conteggio di quanto potere e denaro possa disporre e poco
importa la valuta, di modo che prendere sul serio Berlusconi quando parla
d’altro è uno spreco di attenzione. Ma
la questione dell’euro, è una vicenda politica da cui discende poi quella
economica. E la vicenda politica ci dice,
a voler vedere i fatti, ma su questo mi propongo un post specifico e più
documentato , che l’euro è uno strumento di politica tout court chiaramente iperliberista, voluta sicuramente dagli Usa
in versione Repubblicana, che prevedeva la delega dei problemi europei alla
Germania, la quale deve essere ed è, il caposaldo politico e militare degli
interessi Usa in questa parte di mondo. In compenso alla Germania le si è concesso una riunificazione assai onerosa
e la libertà di imporre i costi relativi ad essa e non solo quelli, grazie a politiche
“comunitarie”, agli altri paesi, soprattutto quelli del
mediterraneo. Il drenaggio avviene con il meccanismo del debito, che in modo
fraudolento viene ingigantito e manipolato dalle cd “banche d’affari” . In
realtà attraverso l’euro e le implicazioni annesse, in fatto di politiche
economiche e finanziarie si realizza l’inversione
degli esiti dell’ultimo conflitto mondiale. E’ come se i danni di guerra li dovesse
pagare mezza Europa alla Germania, salvo a rappresentare,
sul piano della propaganda, una situazione opposta, come se fossero i paesi
mediterranei a chiedere alla Germania di pagare il debito altrui. E’ di
fatto, in termini certamente più soft, il ritorno alle politiche razziste sulla
superiorità della razza germanica. Probabilmente a Obama la cosa non va proprio
bene perché indebolisce il suo impero sul fronte importantissimo di questa
parte del mondo, dove è sfidato da Putin e da Ahmadinejad, ed è ormai preda di
instabilità che si sta cronicizzando in tutto il nordafrica e magari auspica politiche meno recessive in
tutto il suo impero. E la sfide si giocano anche e soprattutto, come dimostra
la cd guerra fredda ai tempi dell’Urss, sugli stili di vita, e omologare gli
stili di vita dei paesi del mediterraneo europeo con i paesi mediterranei di altre sponde non è cosa
saggia. Ora tornando alla questione “Grillo” dirò che
ci sono aspetti davvero preoccupanti, perché impone una concezione
individualista in termini rigorosi. Mi ha spaventato il fatto che al Comune di
Parma il sindaco Pizzarotti di M5Stelle rifiuta per principio di ricevere i
sindacati in quanto espressione di associazione di persone. Non si tratta di
difendere sindacati che, se posso dirlo avrebbero bisogno di un rinnovamento
profondo, soprattutto in termini di democrazia interna e di capacità di
associare davvero il mondo del lavoro dipendente, che è, al contrario
scarsamente associato, e questo non certo a causa dei grillini, vedi la vicenda
Marchionne e tutte le implicazioni, ma perché penso che l’uomo sia davvero una dimensione collettiva, e che
gli individui, al di fuori del contesto in cui vivono sono inesistenti. Questo
discorso che in sociologia passa, non passa però in politica e in economia, con
danni stratosferici. Ora imporre con maggiore violenza di quanto non si sia già
fatto sin ora, una visione individualista dell’uomo è cosa che ritengo assai
grave. Tornando ai problemi della cronaca di questi giorni, ribadisco, l’unico contributo possibile che poteva dare
Napolitano, all’interno della costituzione era quello di dimettersi subito, in modo da conferire al
parlamento la sua centralità invece di nominare dieci “saggi” che è cosa che
non sta né in cielo né in terra che vuol dire al Pd e al PDL di mettersi d’accordo e fare un governo che
lasci fuori i grillini. Ora non bisogna lasciarsi ingannare dal numero, perché
dieci sono perfino troppi e infatti quelli veri sono due ossia Violante e
Quagliariello, che avendo i rispettivi partiti alle spalle, hanno
obiettivamente un peso diverso dagli
altri, e quindi dico, con tutta la malignità che mi caratterizza, che sono loro la vera commissione, e tutti gli
altri sono foglie di fico. Grillo inoltre ripropone il problema della
comunicazione, che la sinistra che non c’è ignora, nonostante sia già il
secondo fenomeno che cresce in Italia grazie ad una capacità specifica di usare il
sistema dei media , il primo fu Berlusconi manco a dirlo. Oggi l’equivoco di
fondo della rete consiste nella sensazione che tutti possano parlare a
prescindere dalla consapevolezza di un possibile uditorio. Invece per risolvere
i problemi serve sviluppare un confronto intenso che deve svolgersi necessariamente “de visu”,
guardandosi in faccia, essendo disponibili a recepire le idee altrui e cercare
di modificarle. Certo, la conoscenza personale, una volta acquisita, consente
in modo assolutamente vantaggioso l’uso della rete che serve per facilitare i
rapporti reciproci tra le persone, ma non a soppiantare la necessità di un
rapporto diretto, una volta definito “umano”. Le decisioni democratiche devono essere assolutamente collegiali. Il processo decisionale deve prevedere la
presenza simultanea di coloro che
portano la responsabilità delle decisioni assunte.
Questo è il grande problema di
Grillo che mi fa dire che il fenomeno potrebbe essere effimero, a condizione
che… ma questo è un discorso che porta lontano. Grillo
è fautore di discorsi che una volta si sarebbero definiti di
“razionalizzazione” e poco importa quanto siano praticabili, il dato è che in effetti sono in parte necessari, e
parlo del razionamento dell’uso delle fonti di energia, delle sue proposte di
risparmio energetico, contro la megatruffa delle cd “grandi opere” a partire
dalla Tav. Certo in questo contesto appaiono cose radicali solo per la ottusità
e la malafede oltre che alla forza anche militare dei poteri che da queste
“grandi opere” già traggono profitti senza che vi sia neppure una certezza del
loro compimento. E tornando alle vicende di questi giorni dalla crisi si
potrebbe uscire, a condizione che Napolitano lasci subito il Quirinale dove
come dicevo ha fatto danni gravissimi, la cui estensione è ancora da valutare.
Al momento sembra che abbia introdotto un presidenzialismo di fatto che
potrebbe in un futuro più vicino di quanto ci si immagini, diventare anche
norma in costituzione, sulla strada dello svuotamento della costituzione del ’48,
per altro già avviata. Tant’è che ricorre l’espressione di “governo del
presidente” come è stato il governo Monti, il che vuol dire che la carica di
presidente della repubblica diventa una carica politica a tutto tondo, e nient’affatto
una istituzione di garanzia come nella costituzione ancora vigente. Condivido l’opinione
di quanti dicono che ormai la partita vera che si giocherà in parlamento sarà
la contesa per la carica di presidente della repubblica a seconda della maggioranza che lo voterà
vedremo che ha vinto la partita. La sinistra che non c’è ovviamente è fuori da
tutti i giochi, per cui ritengo, in attesa che rinasca, su basi di autenticità
e su scala europea come minimo, così come nacque nell’800, auspico una
maggioranza Pd + M5Stelle, che elegga prima il presidente della repubblica, e poi il governo che con tutta evidenza non
può essere presieduto da Bersani. Perché ormai credo che, salvo imprevisti, a questo si arrivi, e non
escludo neppure la rielezione di Napolitano, pure a rischio che non finisca il
secondo settennato. Dietro questo
congelamento della situazione che egli stesso ha imposto leggo solo la sua voglia
di protagonismo smisurata, e il timore che il congelamento diventi cronico nel
senso che si continui con un monopartitismo non più mascherato da due ma
addirittura da tre partiti, che comprenda anche M5Stelle, che tra tutte le
ipotesi è davvero la peggiore.
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