sabato 27 luglio 2013

Lo srtrano Paese



In realtà il vocabolario, o meglio ancora la distorsione provocata dai media dei significati originari delle parole, priva quasi del tutto chi come me, vorrebbe poter trasmettere sensazioni di rabbia, di sgomento, per quello che accade. Trovo del tutto disarmante la capacità di questo “sistema” di metabolizzare  di tutto, di sfornare ad ogni piè sospinto, personaggi, neologismi e perfino eventi “non eventi” perché  intrisi di nulla se non delle chiacchiere, una volta definite da bar o sala da barba, ma che ora campeggiano sulle prime pagine di giornali di grande tiratura, e perfino nelle sedi parlamentari. Le tragedie vere restano sullo sfondo, sotto gli occhi di tutti, perfino ostentate a volte, con la consapevolezza che pure l’ostentazione delle tragedie contribuisce a “naturalizzarle” a farle apparire, cioè, come inserite nelle pietre e nella natura che ci circonda, in modo che vengano percepite dai più con piglio fatalistico e quindi considerati  inevitabili.  Non c’è antidoto a questa corrosione strisciante, pur nella sua pervasività, di tutto ciò che di buono, e di positivo si era fatto in Italia e nel mondo, dopo l’ultimo conflitto mondiale. Sembra di stare su un piano inclinato su cui di deve rotolare sino ad un fondo che, al momento non è dato intravedere.  Come se fossimo in un processo a ritroso che i più colgono come dato ineludibile e perfino progressivo. In realtà, le coordinate della situazione politica attuale nascono, per gli aspetti di maggior attualità, soprattutto sotto il profilo economico, a partire dalle questioni del cd “debito pubblico”, dalle vicende già richiamate dell’ultima guerra mondiale. Con la costruzione di quella mostruosità politica ed economica chiamata “euro” si è di fatto invertito l’esito, acquisito drammaticamente sui campi di battaglia di tutto il mondo, del secondo conflitto mondiale. La Germania, sconfitta sul campo, sino alla determinazione della suo sdoppiamento, ora è riunificata,e detta le leggi dell’economia e della politica in Europa, seppur su delega Usa. I Paesi e le forza che determinarono la sconfitta del nazismo, sono annientate, a partire dall’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, ma anche della Yugoslavia ora smembrata,  che fu capace di liberarsi dei nazifascisti senza attendere “liberatori” di sorta e per questo in grado, anche dopo il conflitto, di perseguire politiche dette correttamente di “non allineamento”. Ora l’Urss è tornata Russia come al tempo degli Zar, ed è gestita da dittature che a quella del famigerato Stalin non hanno nulla da invidiare comunque la si pensi. Si è proceduto allo smantellamento dello stato sociale con la velocità con cui, processi analoghi, erano immaginabili solo a prezzo di eventi traumatici, come guerre, colpi di stato e via discorrendo. In Italia le organizzazioni legate sia alla grande criminalità organizzate,  che alle nostalgie nazifasciste, governano il paese, a dispetto di qualsiasi esito elettorale. La sinistra è talmente smarrita da non riconoscere, nelle sue componenti maggioritarie, nel M5S di Grillo, l’ultima flebile resistenza al terribile “nuovo che avanza” a suon di stravolgimenti della costituzione, che si vorrà alla fine del tutto stravolta, per codificare, ad ogni livello, anche a quello giuridico formale, la vittoria delle forze della grande criminalità organizzata. Ormai stufo di leggere anche su fb, post, di pseudo militanti di sinistra, che con ogni camuffamento sostengono questo governo delle “ larghe intese”.  Stufo di tutto ciò rinuncio, d’ora in poi, a commentare fatti di attualità politica, consapevole che ormai non esiste più nessuna attualità in politica, se non il rinnovarsi di recitazioni stantie con qualche personaggio “nuovo” come  Renzi, che da rottamatore sedicente, si sta trasformando nello strumento di legittimazione, sia pure nella dimensione meramente virtuale di un sistema mediatico, della sopravvivenza di quegli apparati, che si vorrebbero “rottamare”. Renzi, ormai, malgrado il crescente consenso, che pare abbia,  incarna l’eterna promessa del nuovo fatto di nulla.  Tutto sembra già scritto. Credo impossibile resistere a tutto questo, ragion per cui, d’ora in poi mi sforzerò su questo blog, di commentare, non più fatti di cronaca, ma libri,riviste, teorie, che consentano uno sguardo più lungo, perché ormai nel breve, resta assai poco da dibattere.   Tutto questo, però se sarò capace di migliori ritmi di lavoro “intellettuale”, atteso che l’agire politico, come insegna non solo la storia, ma anche, se mi è permesso, la mia personale vicenda politica e professionale, sempre stritolata tra l’ideologico imperativo del “fare” senza riferimenti teorici di sostegno, che ho pagato a duro prezzo, sia nel corso della militanza politica, che nelle  vicende della mia professione di “educatore” così si diceva un tempo, ossia di un operatore che si districava, nelle contorsioni delle vicende di vite complicate, di favorire, per il possibile, i ragazzi svantaggiati. L’attivismo fine a sé sesso non ha mai prodotto nulla da nessuna parte, in nessun campo. Ritengo perfino sterili, seppur doverose, le denunce di ogni singola ingiustizia, data la loro mole complessiva,e data la incapacità di fare sintesi da parte di chicchessia. Perfino gli atti di pura testimonianza, salvo rare eccezioni, risultano alla fine controproducenti. Serve alzare lo sguardo e cercare di guardare più avanti, perché nell’immediato, di questi tempi e dalle nostre parti, temo, tutto è perduto.  L’agire deve essere volto al raggiungimento di obiettivi, e in politica questi obiettivi, devono essere assolutamente trasparenti, coerenti, e condivisi da coloro che affermano di volerli perseguire. Tutto ciò è mancato grandemente nella sinistra italiana nei decenni scorsi, e credo sia il principale motivo della sua scomparsa. Ci si è trastullati nelle vecchie pratiche del cattolicesimo deteriore, che si possono sintetizzare nel motto: “fate ciò che dico, ma non fate ciò che faccio”. Questa prassi inficia tutto ciò che non deriva da un potere precostituito. Solo che intanto, voglio trascorrere questa estate più di altre, visto che non ho più obblighi di cartellini da vidimare, anche sotto la forma di firme da apporre su terribili registri bianchi,  tra il mare della costa della Puglia meridionale, tra Bari e Brindisi, e le pietre, le piante, il terreno di un trullo in quel di Alberobello. Che almeno questo,  insieme all’adorazione dei miei figli mi sia concesso.      

mercoledì 12 giugno 2013

L'astensionismo



Ormai, consumati  i ballottaggi, le elezioni amministrative determinano ancora un dibattito politico stanco e francamente nauseabondo, destinato ad esaurirsi per essere rimpiazzato con qualunque cosa serva da alibi al governo per continuare a fare il peggio, tipo le riforme istituzionali e il presidenzialismo “alla francese” che  in Italia, come tutto  ciò che viene importato a riguardo,  trova una applicazione sempre parziale, per la singolarità della nostra posizione socioeconomica e geopolitica, che rende nulli tutti gli assetti non originati da una riflessione conseguente su di essi. A parte ciò, continua la trasformazione della costituzione informandola progressivamente a principi opposti a quelli per cui fu a suo tempo promulgata.  Invece un ceto politico “compradores” si sarebbe chiamato un tempo, perpetua lo scambio a vantaggio della grande finanza made in Usa  nonché della delegata Germania, tra il proprio personale benessere e le condizioni di vita della generalità del Paese, e la crisi attuale dei grillini eletti in parlamento attiene proprio a questo tema.   Comunque le elezioni ormai stando ai dati sulla partecipazione interessa un numero decrescente di persone, mentre il disincanto coinvolge senza dubbio anche chi ha votato. Tuttavia serve, credo, tornarci sopra. I maggiori interessati infatti, a  questi responsi erano i personaggi e le forze attualmente al governo delle  “larghe intese” e quindi Letta, Berlusconi e Guglielmo Epifani. Sembrerebbe che l’interpreazione di questo esito elettorale abbia indotto il gruppo dirigente del Pd a tirare un sospiro di sollievo, ascrivendo alle loro capacità un esito che a una prima lettura sembrerebbe positivo per il medesimo Pd. Certamente a guardare gli esiti sulla base dei sindaci eletti,  tale ottimismo pare del tutto giustificato, ma solo in sede di valutazione dell’esito del voto sotto il profilo amministrativo, perché sotto il profilo squisitamente politico il discorso pare diverso, e comunque certamente degno di ulteriori approfondimenti. Intanto pare che come al solito la logica fa difetto in grande misura ai chi occupa cariche di rilievo politico e istituzionale. Infatti Epifani, che nella sua lunga militanza politico-sindacale non ha mai vinto granché ora si sente vincitore, perché  ritiene che abbia pagato la politica delle larghe intese, si presenta a Roma e proclama la vittoria del Pd mentre il vero vincitore, Marino, in quanto esponente del Pd è certamente eterodosso, è un “battitore libero” sempre in tema di nostalgia del linguaggio. Non a caso tutti i sindaci di cs delle grandi città sono eterodossi rispetto alle segreterie nazionali del Pd.  Ora, che Letta ed Epifani dicano di essere vincitori  a beneficio dei  creduloni, è pure comprensibile, ma sarebbe grave se ci credessero davvero. Chi non vuol essere annoverato tra i creduloni deve pur trovare il modo di dire che le cose non possono essere viste a questo modo. Il dato ormai quasi statistico, ci dice che le elezioni amministrative non sono più, da qualche tempo, un fenomeno omologabile alle politiche, per cui trarre conclusioni politiche da vicende amministrative diventa un esercizio di mera propaganda, nel caso in cui si pensi che il medesimo risultato possa essere traslato sul piano di ipotetiche elezioni nazionali.  Invece merita molta più attenzione di quanto non facciano i media alla ormai irreversibile, spero, liquidazione della Lega Nord, che deve continuare ad essere considerata una costola del Pdl, o meglio la sua testa politica pensante, perché Berlusconi, notoriamente ha passioni  poco politiche o politiche di risulta, tant’è che sul piano amministrativo è assente, grazie anche e soprattutto alle autentiche razzie ai danni delle amministrazioni locali sin qui governate dai suoi emuli.  La Lega invece,  quella che ha dettato “l’agenda politica” come si sul dire degli ultimi vent’anni, ha ispirato le leggi razziali ancora vigenti, ha elaborato sia la cd “devolution” che è il vero buco perenne nel bilancio dello  Stato sia, in una operazione a tenaglia, il cd “patto di stabilità” . Questa tenaglia ha una forte responsabilità nel depauperamento in atto  dell’economia italiana insieme alle politiche recessive di Monti, volute da tutti anche se poi ipocritamente misconosciute,  come in uno dei tanti giochi della politica italiana che per l’occasione mi ricorda “lo schiaffo del soldato”. La Lega in oltre, sul piano amministrativo, per buttarla in propaganda, atteso che i margini economici di manovra dei comuni sono  da tempo, assai ridotti, per i motivi che prima ricordavo, ha inventato la figura del sindaco moralizzatore o sindaco sceriffo, insomma tutto un riversarsi su delibere liberticide attinenti a un malinteso senso della moralità e della sicurezza, una volta appannaggio del ministero degli interni, e in salsa razzista. Tale impostazione, sicuramente attenuata, è stata fatta propria anche da sindaci di cs e dispiace che anche Pisapia a Milano si sia incartato sulla questione dei gelati notturni. Questo modello di amministrazione locale è, credo, in crisi irreversibile, e questo è l’ esito più importante di questa tornata, sottaciuta dai masmedia.   Certamente esce penalizzato il M5S e Grillo  ha accusato il colpo.  Ora i media stanno spettacolarizzando oltre misura la sconfitta di Grillo, che ha reagito da quell’istrione che è, attribuendo “la colpa” del  mancato successo agli elettori. Questo  difetto non è una sua prerogativa esclusiva, perché anche a sinistra si sente incolpare gli elettori del mancato successo della lista Ingroia, per esempio.  Il problema è che quanti assumono questo punto di vista non colgono il dato di realtà per cui gli elettori, genericamente intesi, ossia una loro larga maggioranza, sono le principali vittime del sistema elettorale medesimo, e che colpevolizzare le vittime, per quante responsabilità abbiano, vere o presunte, è una operazione vana, improduttiva di qualunque effetto positivo. Dirò di più,  dal mio punto di vista il “dagli all’untore” in corso contro Grillo su tutti i media o quasi, con l’eccezione notevole del solito Travaglio,  è una operazione  di bassissimo profilo, per due ordini di motivi: il primo, riferito all’atteggiamento della “sinistra che non c’è” è perché  Grillo e il suo movimento hanno nel loro DNA una debolezza intrinseca che dovrebbe indurre i più a non scommettere sulla longevità del fenomeno, che a dirla tutta, ha una portata ridotta al di là del successo alle ultime politiche. Grillo ha parecchi difetti di cui ho già parlato in precedenti post, ma ne posso aggiungere ancora uno, che consiste nella semplificazione eccessiva delle sue analisi e delle conseguenti debolezze intrinseche nelle sue proposte, alcune delle quali restano condivisibili, purché si tenga conto della portata modesta di fronte alla drammaticità della crisi che stiamo attraversando; il secondo è che sarebbe, potenzialmente, se uscisse dai blog e diventasse un movimento radicato nella realtà sociale,  un po’ migliore del Pd e del Pdl, che in ordine alla situazione attuale hanno responsabilità storiche e, sotto certi profili , esclusive, e comunque M5S ha avuto un ruolo positivo, sotto il profilo culturale,  nell’affossamento della Lega. Resta il problema dell’astensionismo, che tutti rilevano ma che nessuno o quasi, valuta correttamente. Eppure il fenomeno da spazio a diverse riflessioni. Il principale e il più frequentato dai commentatori, attiene alla qualità della democrazia, ossia se un astensionismo così alto possa o meno inficiare la legittimazione politica del sistema. Peccato che le risposte prevalenti siano inspirate a quella che mi piace chiamare “naturalizzazione”  del fenomeno contraddicendo magari l’importanza attribuita al momento del voto sul piano formale . L’argomento ricorrente è che nel sistema liberale non è essenziale partecipare al voto tant’è che negli Usa, tradizionalmente, i presidenti sono eletti con un consenso assolutamente minoritario. Su questo ho già argomentato su questo blog. Il problema di fondo, è la concezione liberale della democrazia, che da un lato fa della libertà di voto il suo manifesto più essenziale, e dall’altro teorizza la non necessità  della partecipazione al voto. Per i liberali è sufficiente che vi sia la teorica possibilità di recarsi al voto, a prescindere da tutte le condizioni che rendono di fatto superfluo l’espressione di voto medesimo.  Per chi, come me si rifà a Marx la democrazia non può essere un fatto formale, deve essere una condizione di realtà generale nella vita di tutti.  Posso  concepire forme di democrazia partecipata che  derubricano l’importanza del voto, ma trovo estremamente contraddittorio esaltare il momento del  voto come condizione imprescindibile di  democrazia e poi derubricare la partecipazione al voto medesimo. Solo che nelle condizioni date l’astensionismo è una forma di protesta del tutto comprensibile, per quanto improduttiva ed è tale perché acefala e priva di sbocchi. Invece credo abbia delle potenzialità che la sinistra che non c’è non riesce a cogliere . Avendo, essa, ridotta  quel che una volta si chiamava “lotta di classe” ormai innominabile, declassata a mera ideologia nonostante l’ evidente crudezza delle sue manifestazioni ad ogni livello, a competizione elettorale, ne è nata, sempre a sinistra, una sopravvalutazione accecante dell’importanza del momento del voto, col risultato di alienare da sé quelle aree sociali di non voto che verosimilmente sono le più sofferenti sotto il profilo socioeconomico. Fosse per me tenterei di  organizzerei il non voto con forme da studiare con attenzione, in un voto di protesta, che deve comunque partire dal presupposto che da detto voto di protesta nessuno debba trarre benefici personali, atteso che è proprio questa lla principale ragione del non voto,  ossia nessuno debba essere eletto in parlamento. Deve essere un voto simbolico finalizzato a contare, possibilmente l’area del disagio sociale e per organizzarla sul piano della partecipazione e della lotta politica, che modifichi, nel contesto socioeconomico, i rapporti di forza. Ora non so quale esito avranno le prossime elezioni in  Turchia, quel che è certo che risentiranno, per un verso o per l’altro, delle manifestazioni di piazza di questi giorni. L’assenteismo comunque, è questo che i commentatori di ispirazione liberale rifiutano di considerare, non è un fatto meramente quantitativo, ma dice pure della qualità del consenso. Il raffronto con i sistemi anglosassoni non regge, per la semplice costatazione che loro, Regno Unito + Usa, hanno dominato il mondo e lo dominano ancora. Il loro potere risiedeva del loro dominio su altri popoli e civiltà e non sull’esito di elezioni che, per  l’essenziale hanno esiti indifferenti. Non è un caso che questa crisi non è aggredibile dai nostri governi, comunque composti, al contrario possono solo implementarla, perché ha radici, com’è noto, nella finanza di cui parlavo,  che domina il nostro ceto politico al completo e questa situazione non è modificabile a partire da un particolare esito di un voto.   Oggi su “La repubblica”  Ilvo Diamanti  ha scritto un articolo “La messa è finita   per sostenere in estrema sintesi, che la seconda repubblica è seppellita definitivamente da questo voto,  a causa della sconfitta netta del PDL e della Lega Nord a cui in effetti ha annesso l’importanza che merita, e della conseguente vittoria del Pd. Ora in questo ragionamento trovo alcune contraddizioni, perché di solito per “seconda repubblica” si intende un sistema bipolare con coalizioni, se non partiti, che si alternano al governo.  Tant’ è che quasi tutti i commentatori rilevavano che le ultime politiche segnarono la fine del bipolarismo, per effetto del successo di M5S che in effetti spezzava il bipolarismo. In queste amministrative invece sembrerebbe che sia tornato il bipolarismo, perché M5S non è mai entrato nei ballottaggi  che contano. Il fatto che tutti i sindaci o quasi siano del Pd, non credo possa mettere in forse il bipolarismo medesimo che lo stesso Pd ha fortemente voluto. Semmai queste elezioni  esaltano il ruolo di architrave dell’intero sistema che obiettivamente, credo, il Pd svolge.  Se non ci fosse non reggerebbe il sistema così com’è oggi, mente Pdl invece è un partito del padrone non è indispensabile al sistema, se crollasse se ne farebbe un altro senza per questo inficiare l’intero sistema. Questo spiega perché, nelle competizioni politiche il Pd dia l’impressione, se mi si passa una metafora calcistica, di una squadra che non vuol tirare nella porta della squadra avversaria, o al massimo tira nella propria porta. Non è solo un fatto di personale politico mediocre, perché la statura di questi dirigenti è sicuramente modesta, ma non per questo siamo autorizzati a pensare che siano ingenui, o peggio ancora degli stupidi, perché e certo che gli ingenui, se non gli stubidi, abitano volentieri in basso, alla base della piramide sociopolitica, non ai vertici.       

sabato 20 aprile 2013

Il Golpe e l'antifascismo



Mentre va in onda, in occasione delle elezioni del Presidente della Repubblica, il disvelamento evidente del  carattere di interfaccia del del Pd rispetto agli interessi reali di Berlusconi e non solo, con buona pace di tutti i suoi sostenitori, si avvicina  il 25 aprile, ricorrenza della liberazione dal fascismo nostrano  e dall’  occupazione tedesca di memoria nazista e hitleriana. Il tragico e al tempo stesso farsesco regime di Salò,  credo, costituisca in assoluto, il peggior fenomeno politico e sociale mai verificatosi su quel pur martoriato suolo che ancora oggi si chiama Italia. Ma non solo questo succede, perché succede anche il realizzarsi di una ulteriore tappa di quel golpe strisciante che in Italia ha avuto il suo tragico inizio simbolico, per ciò che mi riguarda, il 9 maggio 1978 giorno dell’uccisione di Aldo Moro, creando una instabilità istituzionale mai risoltasi.  Infatti la rielezione di Napolitano è una, l’ennesima perpetuata con questo singolare personaggio, violazione esplicita della costituzione che recita al 1° comma  dell’art. 85 della parte II, titolo II  “ Il presidente della Repubblica è eletto per 7 anni”.  Non c’è bisogno di costituzionalisti o di esperti che argomentino sino a stravolgere la lettera e lo spirito di questo articolo, basta una discreta conoscenza della lingua italiana, e neppure eccelsa, perché l'articolo si riferisce ad una persona e non ad una carica, questa ipotizzabile come ciclica. Non è un caso che durante la cd prima repubblica così era interpretato questo articolo, anche perché, si argomentava, avendo il presidente un ruolo nello scioglimento delle camere potrebbe verificarsi il caso in cui un presidente in carica potesse in qualche modo procurarsi la rielezione, attribuendosi,  in un genuino spirito antifascista, alla permanenza limitata delle singole persone nei luoghi del potere  un evidente significato di democrazia in quanto si contrapponeva non a caso, al regime fascista, in cui  il Re e il duce erano inamovibili.   E’ sin troppo elementare argomentare che nella costituzione il termine di sette anni è il massimo consentito per la permanenza in carica di un presidente della repubblica diversamente sarebbe ipotizzabile un presidente della repubblica a vita con mandati rinnovabili ogni sette anni. Va da sé che il problema non è solo formale, ma anche sostanziale, perché questa rielezione costituisce un tassello importante verso l’edificazione, in salsa italiana ovviamente, di un regime presidenzialista, già abbondantemente iniziato nei fatti dallo stesso Napolitano, essendo questo il vero motivo della sua rielezione. Sorvolo sull’evidenza del fatto che si è trattato di una manovra preordinata, perché, tanto per dirne una, si sarebbe potuto insistere con la candidatura Marini, a voler mantenere il profilo delle "larghe intese". Ma ora voglio ragionare di antifascismo, anche se il cambiamento di argomento sarà solo formale. La retorica imperante durante la cd prima repubblica, intendeva l’antifascismo come un presidio, oltre che come ricordo storico, contro la rinascenza  del fascismo in camicia nera, con il fez e l’olio di ricino. Non che il problema non fosse sussistente, perché perfino io, in gioventù mi sono adoperato nella misura delle mie possibilità perché non ci fosse un simile ritorno. La questione è che oltre il fascismo tradizionale  vi è un la possibilità di un regime assonante con quello fascista, che mantenga la sostanziale tutela degli interessi economici e sociali, sia pure aggiornati ai tempi che viviamo, senza che ne riproduca i tratti più esteriori. Invece la retorica tradizionale esclude questa ipotesi, e all’ombra di questa retorica, si è conservato un apparato dello stato sostanzialmente ereditato dal fascismo, con tutte le conseguenze del caso. E tuttavia, almeno nella retorica delle dichiarazioni pubbliche e di circostanza l’antifascismo era un punto fermo. Nella cd seconda repubblica anche la retorica dell’antifascismo è in buona sostanza, tramontata. Berlusconi non ha mai taciuto la sua ammirazione per Mussolini, e tanta parte del Pdl è composta da persone che negli anni ’60 hanno partecipato attivamente ad attività squadristiche.  Tuttavia ciò che più mi ha amareggiato, francamente, sono  tutte le esibizioni istituzionali da parte di personaggi che sulla carta dovevano essere  ancorate al campo dell’antifascismo. Si è dovuto ascoltare negli ultimi decenni, discorsi che  mi suscitano repulsione,  a partire da quello che più mi colpì, quello che fu  pronunciato nella seduta della Camera  del 9/5/1996,  la prima della XIII  legislatura quella che vide l’insediamento di Luciano Violante alla presidenza, in cui egli stesso nel discorso d’insediamento, ebbe a dire tra l’altro Mi chiedo se l'Italia di oggi - e quindi noi tutti - non debba cominciare a riflettere sui vinti di ieri; non perché avessero ragione o perché bisogna sposare, per convenienze non ben decifrabili, una sorta di inaccettabile parificazione tra le parti, bensì perché occorre sforzarsi di capire, senza revisionismi falsificanti, i motivi per i quali migliaia di ragazzi e soprattutto di ragazze, quando tutto era perduto, si schierarono dalla parte di Salò e non dalla parte dei diritti e delle libertà. Questo sforzo, a distanza di mezzo secolo, aiuterebbe a cogliere la complessità del nostro paese, a costruire la liberazione come valore di tutti gli italiani, a determinare i confini di un sistema politico nel quale ci si riconosce per il semplice e fondamentale fatto di vivere in questo paese, di battersi per il suo futuro, di amarlo, di volerlo più prospero e più sereno. Dopo, poi, all'interno di quel sistema comunemente condiviso, potranno esservi tutte le legittime distinzioni e contrapposizioni.  Non è chiaro infatti che tipo di ulteriore riflessione debba farsi sui vinti di ieri, se si esclude, come egli stesso  esclude, sia pur retoricamente quelle interpretazioni cui si potrebbe logicamente prestare quell’espressione, se non che quei vinti di ieri non sono divenuti nel frattempo, e ciò anche in virtù di un malinteso senso dell’antifascismo, i vincitori di oggi.  Del resto il discorso di Violante è volutamente e fortemente provocatorio, è una sorta di abiura, un rinnegare il suo passato politico, e la storia della sua famiglia che del fascismo fu vittima. Infatti si poteva limitare a richiamare le ragioni di chi negli anni  ’20 aderì al fascismo, ma sarebbe stato troppo semplice e perfino scontato e privo di effetto e di radicalità mediatica, e per questo l’antifascista Violante, che comunque deve la sua carriera politica a quei militanti del PCI che antifascisti lo erano davvero, senza di che quello stesso discorso avrebbe avuto un impatto inferiore.  Tutto ciò a prescindere da quel “soprattutto ragazze” quasi a voler nobilitare ignobilmente, al di fuori di qualsiasi possibile riferimento storico, il fenomeno della Repubblica di Salò, con un manto di femminismo.  Comunque tornando alla sostanza del discorso di Violante, la definizione “vinti di ieri” appare un lapsus freudiano in senso stretto. Quel discorso infatti ha il sapore di una resa dell’antifascismo di ieri, che di cui Violante è indiscutibilmente un titolato rappresentante, agli eredi di quelli che ieri furono vinti, ma che  oggi sono diventati, a loro volta,  vincitori. Così l’antifascismo si svuota definitivamente di contenuti e diventa il terreno politico e culturale dell’elaborazione di un nuovo linguaggio  in cui si comunica l’avvenuta cessazione di ogni possibile contrasto radicale e reale politico e culturale in Italia. Insomma non c’è più un possibile avversario politico, essendo del tutto risibile il riferimento a tali possibilità contenuto nel discorso di Violante.  Con questo discorso l'allora presidente della Camera certifica il consolidamento di quel ceto politico che poi si chiamò giustamente “casta” corpo separato dal contesto sociale del Paese, che pertanto rimane sostanzialmente privo di luogo politico e culturale dove fosse possibile la legittima coltivazione dei suoi legittimi  interessi generali. Non a caso il “nemico” anche sotto il profilo psicologico, oltre che culturale e politico, diviene in questo tempo della politica, l’immigrato, il nero nel senso del colore della pelle, lo zingaro, realizzandosi così  la legittimazione dell’apparato ideologico proprio del peggior fascismo. Che il discorso di Violante non sia stato estemporaneo è cosa del tutto evidente, perché è assolutamente coerente con tutte le scelte politiche e istituzionali perseguite dal gruppo dirigente del centrosinistra. In questo senso, sempre rimanendo in abito di discorsi istituzionali, ricorderò l’infausto discorso del presidente Napolitano, che tenne il 10 febbraio 2007 .  Da un certo numero di anni a questa parte si sono intensificate le ricerche e le riflessioni degli storici sulle vicende cui è dedicato il "Giorno del Ricordo" : e si deve certamente farne tesoro per diffondere una memoria che ha già rischiato di esser cancellata, per trasmetterla alle generazioni più giovani, nello spirito della stessa legge del 2004. Così, si è scritto, in uno sforzo di analisi più distaccata, che già nello scatenarsi della prima ondata di cieca violenza in quelle terre, nell'autunno del 1943, si intrecciarono "giustizialismo sommario e tumultuoso, parossismo nazionalista, rivalse sociali e un disegno di sradicamento" della presenza italiana da quella che era, e cessò di essere, la Venezia Giulia. Vi fu dunque un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una "pulizia etnica". Ecco qui il discorso è esplicito, la falsificazione storica è netta, e così si racconta la storia che non fu. Infatti  nell’autunno del 1943 si badi bene, nel pieno del conflitto mondiale che ha visto l’Italia in modo particolare, impegnata nell’aggressione  alla Jugoslavia, con una ferocia che in nulla cedeva a quella tedesca  com’ è documentato da letteratura storiografica non contestata per ciò che riguarda episodi di crudeltà inaudita, i partigiani jugoslavi che  insieme a quelli greci,erano  impegnati nella caccia ai nazifascisti senza interventi, si badi bene, di truppe altrui sul loro territorio, diventano attuatori di un disegno di pulizia etnica e di un disegno annessionistico slavo.   Ora bisogna contestualizzare il discorso facendo caso alle date perché queste parole furono pronunciate da Napolitano  nel 2007 mentre solo  del 1999, otto anni prima ci furono  i bombardamenti Nato con forte partecipazione italiana, mentre, guarda caso, era in carica il governo D’Alema con l’appoggio di Bertinotti e di Diliberto. Le cronache di quei bombardamenti raccontano di disastri e vittime civili oltre qualsiasi plausibile esigenza militare.  In questo contesto parlare di  espansionismo slavo costituì una provocazione grave tant’è che suscitò la recriminazione e le proteste dell’allora presidente della Slovenia, che ovviamente lasciarono un segno quasi invisibile.  Ora la mia costante polemica, in questo blog, è con la ideologia del postmoderno da un lato, e dall’altro, con la “sinistra che non c’è  certo come sono che le due cose coincidono. Insomma l’antifascismo non può ridursi alla riproposizione di foto storiche, cosa del resto del tutto giusta e assolutamente necessaria, ma anche un attivo presidio contro tutte  le metamorfosi possibili del fascismo, sotto il profilo della tutela dei medesimi interessi economici e sociali ovviamente aggiornati ai tempi di oggi, e sotto questo profilo, indubbiamente l’antifascismo ha fallito. Un altro equivoco imperante per la connotazione di un regime fascista o autoritario, è dato dalla misura della libertà di stampa e di espressione. In realtà non si tiene conto che il sistema della comunicazione postmoderna, ha aggirato l'ostacolo. Con il dispiegamento di mezzi enormi sostanzialmente autofinanziato, si è dispiegato un apparato pluralistico in apparenza, ma sostanzailmente propagandistico di ciò che non a caso vien percepito come "pensiero unico" anche se non sempre, coloro che ricorrono a questa espressione, concludono coerentemente con questa premessa. E' indubbio che oggi vi sia una libertà di espressione  sconosciuta durante il fascismo, e tuttavia, la valutazione del beneficio di   tale libertà che  non è distribuita in modo eguale tra tutti i possibili fruitori, va commisurata con la potenza degli attuali mezzi di comunicazione. La limitazione concretamente percepibile della possibilità di lanciare messaggi da posizioni di visibilità nel sistema mediatico, raggiunge nei fatti, lo stesso effetto di una limitazione della libertà di espressione. Vero è che non c'è violenza nel contenimento di questa libertà, e tuttavia e pure vero che essa è superflua, perché il sistema è tale da contenere le voci scomode in recinti virtuali ma nel medesimo tempo capaci di neutralizzare perentoriamente ogni messaggio scomodo, in modo che possa essere sicuramente sterilizzato.

martedì 2 aprile 2013

Ragionando di Grillo e di democrazia



Recentemente su fb mi è successo di vedere tutta una serie di post contro Grillo. Si dice di tutto e di più, spesso a torto e a volte e a ragione; diciamolo pure, si va a casaccio, non pare ci sia una specifica preoccupazione di stare ai fatti, il che nuoce alla causa, posto che ce ne sia una di causa in comune.  E per meglio dire anche su fb, spesso, non sempre  il dibattito cede il posto alla propaganda, e con i propagandisti chiaramente non si discute. Loro lanciano post esattamente come gli spot pubblicitari, non c’è trippa per gatti, non c’è argomento o riflessione che tenga, le cose sono così e amen. Tentare di argomentare è complicato perché servirebbero presupposti che mancano il più delle volte. Io mi sforzo di ragionare su quel che accade, e poi dire qualcosa ogni tanto su questo blog. Se mi riesce di suscitare delle riflessioni autentiche sono contento altrimenti me ne faccio una ragione, infondo non tolgo nulla a nessuno. Ora succede che Napolitano, il presidente della Repubblica, continua a picconare la costituzione ben oltre quanto osò immaginare il vecchio Cossiga, e lo ha fatto a 360 gradi, ha delegittimato la magistratura con la kafkiana vicenda del contenzioso con la procura di Palermo a proposito delle intercettazioni; ha di fatto assecondato la battaglia di Marchionne che ha tentato riuscendoci in parte di delegittimare la Cgil escludendola dalla contrattazione nazionale. Anziché dimettersi ha congelato, contro ogni sostanziale spirito della costituzione contro ogni prassi consolidata, non solo  il governo Monti ma anche il parlamento appena eletto, e non sono certo né il primo né l’unico a pensarla così, e io concordo con quei commentatori, pochi in vero, che sostengono questa tesi. Certamente, a quel che vedo e sento, nessuno ricorda che si sono tenute elezioni anticipate, anche se per poco, proprio perché Berlusconi ha sfiduciato Monti, con il paradosso che un governo, le cui dimissioni hanno dato vita alle elezioni anticipate, ripeto sia pure di poco, sia ancora in carica con il nuovo parlamento insediato, il tutto con l’alibi che non c’è mai stato un voto di sfiducia.   Il che è vero  ma solo perché Napolitano ha espropriato di fatto il parlamento del potere di dare  e  negare la fiducia ai governi tranne che per le fiducie farsa collegate ai singoli provvedimenti  legislativi. Non ha rinviato alle camere, violando una prassi consolidata,  per il voto di fiducia, né l’ultimo governo Berlusconi, né  Monti quando fu sfiduciato a parole da Berlusconi ma senza appunto il voto sulla fiducia, né Bersani in questi giorni, che aveva tutto il diritto di presentarsi in parlamento. Inoltre correttezza vorrebbe che rinviasse proforma Monti di fronte al nuovo parlamento, salvo a farlo rimanere in carica per “l’ordinaria amministrazione”,  come si dice di solito, e arrivare perfino a nuove elezioni anticipate, il che implicherebbe sue dimissioni immediate.  Dal mio punto di vista, sotto il profilo della correttezza, l’unico percorso plausibile, era quello che prevedeva il voto di fiducia a Bersani alla Camera, e successivamente lo scioglimento del solo Senato con un accordo per modificare la legge elettorale così da avere una medesima legge per le due camere. Certo che ci sono rischi evidentissimi ma questo è il gioco. Ma passando invece alla sostanza delle cose, voglio dire che ormai siamo di fronte a un bivio. Da un lato c’è il gruppo storico già al potere che è dato sostanzialmente da Pd + Pdl, che ha gestito la cd seconda repubblica,  e dall’altro M5Stelle. Le differenze, sul piano della democrazia formale sono flebili o poco percepibili, ed è stato uno dei miei motivi di riserva sui post dei miei amici di fb che sul tema specifico attaccavano Grillo. Ho già detto di Napolitano che si comporta come un monarca d’altri tempi, che riserva a sé medesimo l’ultima parola sui governi, cosa che la costituzione non gli concede. Il piano generale, che temo sia stato partorito da qualche specifico staff della Casa Bianca, prevede il passaggio da un monopartitismo mascherato, quello appunto che vede associati Pd+Pdl, ad un monopartitismo trasparente, quello  di Grillo. Va detto pure che anche Napolitano pensava ad un passaggio al monopartitismo, in tempi un po’ più lunghi,  incentrato su Monti, con assorbimento in modalità striscianti del problema Berlusconi, ma senza ricorrere a nulla che producesse una qualche forma di palese contrapposizione.  Il problema di fondo, agli occhi di Obama, è che in questo apparato è molto costoso, corrotto in parti consistenti, legato in quota parte al sistema della grande criminalità, e ormai incapace di gestire il consenso. Non ha prodotto  benefici di sorta, anzi porta politiche recessive, che con tutta evidenza servono solo a una ristrettissima cerchia di persone racchiuse nei circoli del Partito Repubblicano, ed è incentrato sulla figura di Berlusconi, che è un servo indocile, pretende troppo per sé e si è schierato apertamente contro Obama e non garantisce, per i fini che contano, nulla di importante, ed è disponibile a vendersi pure al suo “amico”  Putin. Al contrario Grillo,  punta sul consenso garantito da misure di welfare, seleziona un personale politico più docile, assai meno costoso, e più produttivo, nel senso della disponibilità al  sostegno alla piccola e media impresa, che è l’ossatura portante del sistema produttivo italiano, sin qui pesantemente penalizzato col pretesto assai ridicolo, in vero del cd. “patto di stabilità” che a null’altro serve se non a rottamare il sistema Italia, dove si continua a ragionare come se fossimo uno stato indipendente cosa che non è in  tutta evidenza. Le cronache, per edulcorate che siano, dicono di contatti telefonici tra Napolitano e Draghi, presidente della Bce, in merito alla crisi in atto, e dicono pure dell’intervento dell’ambasciatore Usa Thorne al liceo Visconti che elogia Grillo, in piena campagna elettorale.  Certamente poi ci sono state dichiarazioni che precisano, smentiscono e via discorrendo ma i dati di fatto restano, solo che, a quanto pare, nessuno ha voglia di sommare due più due in Italia,  tanto è alto il rischio di sbagliare.   Sullo sfondo rimangono le grandi questioni che attengono al tema dell’Europa, del debito e dell’euro. Grillo a riguardo appare più possibilista, invece dell’assoluta e ferma acquiescenza all’euro da parte del partito Pd+Pdl, dovendosi prendere per strumentali i discorsi di Berlusconi a corrente alterna sull’euro, atteso che al suddetto, nulla lo interessa oltre il conteggio di quanto potere e denaro possa disporre e poco importa la valuta, di modo che prendere sul serio Berlusconi quando parla d’altro è uno spreco di attenzione.   Ma la questione dell’euro, è una vicenda politica da cui discende poi quella economica. E la vicenda politica ci dice,  a voler vedere i fatti, ma su questo mi propongo un post specifico e più documentato , che l’euro è uno strumento di politica tout court chiaramente iperliberista, voluta sicuramente dagli Usa in versione Repubblicana, che prevedeva la delega dei problemi europei alla Germania, la quale deve essere ed è, il caposaldo politico e militare degli interessi Usa in questa parte di mondo. In compenso alla Germania le si è concesso una riunificazione assai onerosa e la libertà di imporre i costi relativi ad essa e non solo quelli, grazie a politiche  “comunitarie”, agli  altri paesi, soprattutto quelli del mediterraneo. Il drenaggio avviene con il meccanismo del debito, che in modo fraudolento viene ingigantito e manipolato dalle cd “banche d’affari” . In realtà attraverso l’euro e le implicazioni annesse, in fatto di politiche economiche e  finanziarie si realizza l’inversione degli esiti dell’ultimo conflitto mondiale. E’ come se i danni di guerra li dovesse pagare  mezza  Europa alla Germania, salvo a rappresentare, sul piano della propaganda, una situazione opposta, come se fossero i paesi mediterranei a chiedere alla Germania di pagare il debito altrui.   E’ di fatto, in termini certamente più soft, il ritorno alle politiche razziste sulla superiorità della razza germanica. Probabilmente a Obama la cosa non va proprio bene perché indebolisce il suo impero sul fronte importantissimo di questa parte del mondo, dove è sfidato da Putin e da Ahmadinejad, ed è ormai preda di instabilità che si sta cronicizzando in tutto il nordafrica e  magari auspica politiche meno recessive in tutto il suo impero. E la sfide si giocano anche e soprattutto, come dimostra la cd guerra fredda ai tempi dell’Urss, sugli stili di vita, e omologare gli stili di vita dei paesi del mediterraneo europeo con i paesi  mediterranei di altre sponde non è cosa saggia.     Ora tornando alla questione “Grillo” dirò che ci sono aspetti davvero preoccupanti, perché impone una concezione individualista in termini rigorosi. Mi ha spaventato il fatto che al Comune di Parma il sindaco Pizzarotti di M5Stelle rifiuta per principio di ricevere i sindacati in quanto espressione di associazione di persone. Non si tratta di difendere sindacati che, se posso dirlo avrebbero bisogno di un rinnovamento profondo, soprattutto in termini di democrazia interna e di capacità di associare davvero il mondo del lavoro dipendente, che è, al contrario scarsamente associato, e questo non certo a causa dei grillini, vedi la vicenda Marchionne e tutte le implicazioni, ma perché penso che l’uomo  sia davvero una dimensione collettiva, e che gli individui, al di fuori del contesto in cui vivono sono inesistenti. Questo discorso che in sociologia passa, non passa però in politica e in economia, con danni stratosferici. Ora imporre con maggiore violenza di quanto non si sia già fatto sin ora, una visione individualista dell’uomo è cosa che ritengo assai grave. Tornando ai problemi della cronaca di questi giorni, ribadisco,  l’unico contributo possibile che poteva dare Napolitano, all’interno della costituzione era quello di  dimettersi subito, in modo da conferire al parlamento la sua centralità invece di nominare dieci “saggi” che è cosa che non sta né in cielo né in terra che vuol dire al Pd e al PDL  di mettersi d’accordo e fare un governo che lasci fuori i grillini. Ora non bisogna lasciarsi ingannare dal numero, perché dieci sono perfino troppi e infatti quelli veri sono due ossia Violante e Quagliariello, che avendo i rispettivi partiti alle spalle, hanno obiettivamente un peso diverso dagli  altri, e quindi dico, con tutta la malignità che mi caratterizza,  che sono loro la vera commissione, e tutti gli altri sono foglie di fico. Grillo inoltre ripropone il problema della comunicazione, che la sinistra che non c’è ignora, nonostante sia già il secondo fenomeno che cresce in Italia  grazie ad una capacità specifica di usare il sistema dei media , il primo fu Berlusconi manco a dirlo. Oggi l’equivoco di fondo della rete consiste nella sensazione che tutti possano parlare a prescindere dalla consapevolezza di un possibile uditorio. Invece per risolvere i problemi serve sviluppare un confronto intenso che  deve svolgersi necessariamente “de visu”, guardandosi in faccia, essendo disponibili a recepire le idee altrui e cercare di modificarle. Certo, la conoscenza personale, una volta acquisita, consente in modo assolutamente vantaggioso l’uso della rete che serve per facilitare i rapporti reciproci tra le persone, ma non a soppiantare la necessità di un rapporto diretto, una volta definito “umano”. Le decisioni democratiche  devono essere assolutamente collegiali.  Il processo decisionale deve prevedere la presenza  simultanea di coloro che portano la responsabilità delle decisioni  assunte.   Questo è il grande problema di Grillo che mi fa dire che il fenomeno potrebbe essere effimero, a condizione che…   ma questo è un discorso che porta lontano.   Grillo è fautore di discorsi che una volta si sarebbero definiti di “razionalizzazione” e poco importa quanto siano praticabili, il dato è  che in effetti sono in parte necessari, e parlo del razionamento dell’uso delle fonti di energia, delle sue proposte di risparmio energetico, contro la megatruffa delle cd “grandi opere” a partire dalla Tav. Certo in questo contesto appaiono cose radicali solo per la ottusità e la malafede oltre che alla forza anche militare dei poteri che da queste “grandi opere” già traggono profitti senza che vi sia neppure una certezza del loro compimento. E tornando alle vicende di questi giorni dalla crisi si potrebbe uscire, a condizione che Napolitano lasci subito il Quirinale dove come dicevo ha fatto danni gravissimi, la cui estensione è ancora da valutare. Al momento sembra che abbia introdotto un presidenzialismo di fatto che potrebbe in un futuro più vicino di quanto ci si immagini, diventare anche norma in costituzione, sulla strada dello svuotamento della costituzione del ’48, per altro già avviata. Tant’è che ricorre l’espressione di “governo del presidente” come è stato il governo Monti, il che vuol dire che la carica di presidente della repubblica diventa una carica politica a tutto tondo, e nient’affatto una istituzione di garanzia come nella costituzione ancora vigente. Condivido l’opinione di quanti dicono che ormai la partita vera che si giocherà in parlamento sarà la contesa per la carica di presidente della repubblica  a  seconda della maggioranza che lo voterà vedremo che ha vinto la partita. La sinistra che non c’è ovviamente è fuori da tutti i giochi, per cui ritengo, in attesa che rinasca, su basi di autenticità e su scala europea come minimo, così come nacque nell’800, auspico una maggioranza Pd + M5Stelle, che elegga prima il presidente della repubblica,  e poi il governo che con tutta evidenza non può essere presieduto da Bersani. Perché ormai credo che,  salvo imprevisti, a questo si arrivi, e non escludo neppure la rielezione di Napolitano, pure a rischio che non finisca il secondo settennato.  Dietro questo congelamento della situazione che egli stesso ha imposto leggo solo la sua voglia di protagonismo smisurata, e il timore che il congelamento diventi cronico nel senso che si continui con un monopartitismo non più mascherato da due ma addirittura da tre partiti, che comprenda anche M5Stelle, che tra tutte le ipotesi è davvero la peggiore.