domenica 18 dicembre 2016

Il referendum 14 giorni dopo; Raggi, Sala e implicazioni varie



In premessa ribadisco un concetto trito e ritrito, sperando che giovi a qualcosa. Ai nostri giorni il tempo trascorre, nella percezione psicologica dei più, a ritmi innaturali, dettati essenzialmente da quelli mediatici, che triturano tutto, in superficie, a velocità fantastiche. Il tempo dedicato al racconto e ai commenti su un fatto sono in grado di dilatarne l’importanza percepita dai più. Adesso tiene banco la vicenda di dell’amministrazione romana dei 5 Stelle con l’arresto di Marra e Scarpellini, e, la polemica sulla capacità di questo Movimento di selezionare “classe dirigente”. A tal proposito vanno fatte poche riflessioni. I talk-show sono pieni di soloni, comunque politicamente orientati, che pontificano sul fatto che non si può improvvisare “la classe dirigente”. Peccato che costoro non si siano accorti che “l’uomo qualunque” al governo, e devo dire, ancora più frequentemente, la “donna qualunque” al governo, sia una moda ormai consolidata e introdotta da un tal Silvio Berlusconi e i suo accoliti. Peccato che nessuno se ne ricordi. Nessuno si ricorda di Irene Pivetti presidente della camera venuta dal nulla, e poi tornataci, per fortuna. Così come ci siamo scordati della Gelmini ministro della pubblica istruzione venuta anch’essa dal nulla, che con le sue gaffe, a proposito dei collegamenti tra CERN di Ginevra e i laboratori del Gran Sasso,   rivela effettivamente ignoranza profonda. E che questo fenomeno ha fatto scuola anche nel Pd. Anche la Boldrini è giunta alla presidenza della camera da “donna qualunque”, per non palare di Lotti e di tanti ministri e ministre del governo Renzi. Ci siamo già scordati della Boschi, ministro delle riforme costituzionali addirittura, di cui è lecito dubitare che sappia fare il classico cerchio con matita su un foglio di carta con l’ausilio di un bicchiere, magari capovolto. Ci si scorda perfino di un caso recentissimo, quello di Valeria Fedeli, laureata senza laurea, ministro della pubblica istruzione per meriti televisivi, ossia per aver sostenuto, in tutte le trasmissioni cui veniva appositamente invitata, come un disco rotto tesi inverosimili in favore di Renzi con imperturbabile faccia tosta, tanto da imbarazzare perfino qualche conduttore televisivo, gente assai prudente per altro, che, cercando di passare oltre per interrompere l’effluvio di sciocchezze veniva apostrofato con “ma mi lasci finire” . Questo e non altro è il merito che è valso la poltrona di ministro a Valeria Fedeli. Ma oggi no. La vulgata prevalente sui media è che siano i Cinque Stelle ad avere questo problema.  Voglio dire che sotto l’alibi delle competenze si nasconde un fatto squisitamente politico. Quelle che servono per governare bene si ottengono con lo studio e l’impegno politico costante e svincolato da interessi personali. Sono convinto che i 5S di Roma abbiano attivisti colti e preparati in grado di svolgere bene il compito proprio di una giunta comunale, ma la Raggi ha “programmaticamente” e pregiudizialmente evitato di ricorrere a un tal bacino preferendo personalità affermate, le più avvedute delle quali, oneste e preparate, ma politicamente disimpegnate, appena hanno colto il clima di strumentalità si sono subito defilate, vedi il caso di Marcello Minenna. Il sindaco Raggi, sotto il profilo politico, dal punto di vista di chi vuol cambiare le cose sul serio e non per finta, è indifendibile. Il Movimento farebbe bene a chiederne le dimissioni, come ha chiesto pubblicamente e opportunamente Aldo Giannulli, e a toglierle il simbolo nel caso, assai probabile, resti in carica con altra maggioranza. In politica si sbaglia, e malgrado la gravità degli errori, ci si può riprendere. Ma mantenere in vita una giunta col proprio simbolo, ma a tutela di interessi diversi, getterebbe un’ombra indelebile sul Movimento, omologandolo agli altri partiti. Del resto la vicenda Raggi, ha, come fondamento politico e ideale, la questione della collocazione di M5S tra destra e sinistra. Loro dicono che questa contrapposizione è superata, ed io che mi ritengo di sinistra, lo accetto pure, perché tutto ciò che è stata etichettata come “sinistra” negli ultimi decenni, va combattuta come la peggiore destra. Renzi viene dal Pd, che ha colluso con Berlusconi e ciò che rappresenta negli ultimi decenni, e che poi ha realizzato i punti salienti del programma liberista con un autentico odio di classe nei confronti del mondo del lavoro, quasi che fosse una vicenda personale, facendo elargizioni gratuite in denaro alle imprese, penalizzando i lavoratori senza ritegno e con derisione aggiuntiva manifestata dal fatto di qualificare come occupazione il fenomeno tragico dei voucher, grazie al quale alcuni lavorano poche ore senza neppure ricavare le spese vive che si sostengono lavorando, pur di rimanere “nel giro” e non finire nel dimenticatoio sociale più oscuro.   Salvo poi, il nostro Renzi,  a rivendicare il suo essere di “sinistra” solidarizzando con Marchionne nel momento di più grave tensione e di scontro con i lavoratori,  e proseguendo anche quando lo stesso trasferisce il gruppo Agnelli in Olanda.  Ecco, che qualcuno dica che questa sinistra va dimenticata in quanto tale, lo trovo comprensibile. Detto ciò la dialettica sociale rimane. M5S è un movimento sostanzialmente interclassista, si sarebbe detto una volta. E se la crisi del linguaggio non permette più di definire i fenomeni sociopolitici per quello che sono, pazienza. Di questi tempi lo trovo accettabile perfino l’ “interclassismo” dei 5S, ma il prosieguo della storia si incaricherà di dimostrare che l’interclassismo autentico non esiste, e che prima o poi bisogna schierarsi, o di qua o di là, e la Raggi è già schierata. Altra vicenda riguarda il sindaco di Milano, Sala, che con l’ipocrisia tipica di un ceto politico si è autosospeso, ossia non ha fatto un bel nulla perché tanto rimane sindaco indisturbato, verosimilmente sino alle prossime elezioni salvo risvolti giudiziari davvero clamorosi. L’autosospensione non mi pare un istituto previsto dalle leggi né dalle consuetudini, è un atto eversivo che tiene in sospeso una amministrazione di una grande città come Milano, già ostaggio di affarismo e corruzione. Sala personifica plasticamente tale situazione. Tutta la vicenda Expo è stata, in modo mirato, un grande imbroglio per alimentare appetti noti. E’ stato previsto e preannunciato e così è stato. Eleggere Sala è il coronamento del successo politico di questa operazione obbrobriosa, con buona pace di quanti l’hanno apprezzata esteticamente. Questa vicenda è assai più grave di quanto non si metta in evidenza, neppure da Travaglio e dal suo fatto quotidiano, che sull’argomento, per altro, ha condotto una battaglia meritoria, sin dall’inizio. Expo, è la prova provata delle connessioni tra politica e malaffare, intendendo per politica tutto il centro destra e tutto il centrosinistra. Questa operazione ha coinvolto infatti tutte, ma proprio tutte le forze politiche del paese. Salvini, che vuol rifare la verginità alla lega, non ne parla molto. La realizzazione dell’Expo ha visto il coinvolgimento di giunte milanesi, da Moratti a Pisapia e governi nazionali da Berlusconi a Renzi e tutti i governi intermedi. In un paese con la stampa libera si sarebbe potuto percepire l’enormità di questo scandalo ma così non è e bisogna farsene una ragione.

lunedì 5 dicembre 2016

Il referendum; il giorno dopo



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E’ andata bene, molto meglio di quanto mi aspettassi. Renzi ha messo in campo una potenza di fuoco propagandistica impressionate, soprattutto nell’uso della televisione e, ovviamente di tutti i canali clientelari, basta ricordare l’episodio di De Luca e delle sue fritture di pesce. Tuttavia non è bastato. La crisi economica, come spesso accade nella storia “apre gli occhi”. La stessa crisi che Renzi voleva cavalcare gli si è ritorta contro perché non è stato credibile come attore positivo di questa stessa crisi. Il No è l’esito in gran parte spontaneo, per cui ritengo fuori luogo l’appropriazione da parte di chicchessia. Le dichiarazioni di Salvini subito dopo i primissimi exit-pool mi hanno fatto raccapricciare, perché tendevano implicitamente ad intestarsi la vittoria. Per fortuna di altro tenore le dichiarazioni dei pentastellati.  Ha vinto la Costituzione e le dichiarazioni della casta che la voleva sostanzialmente abolire non sono andate nella direzione corretta di presa d’atto del risultato. Alcuni commentatori si sono spinti a ragionamenti demenziali, come quello per cui i 13 milioni 500.000 scarsi che hanno votato pe il Si costituiscono il partito personale di Renzi, che sarebbe per ciò il più forte partito politico esistente, perché quei voti sarebbero pari pari, spendibili anche in elezioni politiche. Ho sentito queste sciocchezze proporsi seriamente durante una trasmissione del pomeriggio di oggi su La7, e Sgarbi era tra i sostenitori di questa “teoria”. Questi ragionamenti tendono in realtà a negare l’evidenza, e che Renzi ha perso e non ha vinto. Inoltre il voto multiplo, del tipo “prendi due e paghi uno” non esiste in natura e il tentativo di introdurlo per l’elezione dei senatori è stato clamorosamente sconfitto. Il voto vale per le circostanze, nelle modalità e finalità per cui è stato espresso, e i tentativi di farlo valere anche per altro, non nuovi per la verità, sono sempre falliti. Ricordo a mia memoria, che qualcuno nel vecchio Pci, fece la stessa riflessione a proposito dei voti espressi nel referendum sulla scala mobile, perso dalla C.G.I.L. e col sostegno del solo PCI. I voti presi per il ripristino della scala mobile in busta paga furono accarezzati come voti politici per il PCI e il loro numero sarebbe stato sufficiente fare del PCI medesimo il sicuro vincitore delle elezioni politiche successive. Ovviamente non andò così. Insomma le valutazioni di una esito referendario, sotto il profilo numerico sono un tutt’uno, e dovrebbero saperlo anche le pietre. L’analisi del voto dei 13 milioni e mezzo del Si deve essere contestuale ai 20 milioni scarsi del NO altrimenti non se ne esce, perché sono voti strettamente intrecciati tra loro, gli uni non esistono senza gli altri, e non ne possiamo fare ciò che ne volgiamo. Renzi ha perso, e non c’è modo di trasformare questa sconfitta in qualcosa che apre prospettive politiche ottimistiche per lui. I “voti di Renzi” semplicemente non esistono, e se ci sono sono comunque indistinguibili da quelli del Pd. Bisognerebbe, per valutare questo dato, che uscisse dal Pd e che presentasse una sua lista alle elezioni politiche, ma non lo farà, non ci pensa neppure e non è un caso. I dati sull’affluenza sono eccezionali per i tempi che corrono, e egli stesso ha contribuito a farne l’avvenimento importante che poi è stato, bene ribadirlo prima che questo referendum passi nel dimenticatoio, perché questa Costituzione ha vinto una battaglia importante, ma la guerra continua, e il pericolo non passato. L’antidoto ai veleni con cui vogliono eliminarla sono la partecipazione costante dei cittadini e delle “persone normali” quelle che vivono senza usufruire di privilegi di sorta, e ritocchi alla medesima per aggiornarla e preservarne i principi generali. Penso che innanzi tutto a un sistema elettorale che preveda il ritorno ad un proporzionale puro, sancito da una legge costituzionale per evitare che i gravissimi scompensi registrato negli ultimi decenni con un sistema maggioritario che ha visto l’Italia governata da un Berlusconi soccorso dal suo stalliere Mangano e da personaggi tipo Dell’Utri e via discorrendo. E per evitare, in oltre che bulletti come Renzi cerchino di cambiare legge elettorale ogni volta che piove, non è possibile, perché in questo conferirebbe all’instabilità carattere distintivo alle istituzioni italiane rendendola con ciò stesso ineliminabile. Persino superfluo aggiungere poi che questa Carta va applicata sul serio, e senza consentire a modifiche di fatto, alcune mai sanzionate e praticamente insanzionabili, a partire dalla durata in carica del Presidente della Repubblica che dura in carica 7 anni e non a piacimento di qualcuno. Ritorno sulla vicenda Napolitano perché mi è venuto in mente un altro argomento che stronca, a mio parere, qualsiasi dubbio interpretativo sull’articolo della Carta che regola questo problema ed è il cd. “semestre bianco” ossia l’ultimo semestre del mandato di un Presidente della Repubblica  in cui non può sciogliere le camere, proprio perché non sia possibile ricattare le stesse in vista del conferimento di un nuovo mandato. Così come non deve essere possibile la cd. “decretazione” d’urgenza senza urgenza alcuna, fatta apposta per ridurre i poteri del parlamento. Insomma, come tentavo di argomentare su questo sito, l’assalto alla costituzione viene da lontano e non cesserà con questa pur importantissima battuta d’arresto.