lunedì 4 luglio 2016

Brexit, ovvero come si rivela una dittatura autentica, attuata attraverso la manipolazione dei media



C’è un famosa e citatissima frase di Mao-tze-tung (so che non si scrive più così ma me ne frego) pronunciata all’esordio di una relazione introduttiva a non ricordo più quale congresso del PCC (quello autentico) che suonava pressappoco così: che c’è un grande disordine sotto il cielo; la situazione è eccellente. Servirebbe contestualizzare questa frase per coglierne il significato autentico, per lo più contraddetto dalle citazioni inappropriate, tuttavia la situazione di oggi si presta al richiamo di questa famosa citazione. E veniamo ai fatti. Il 23 giugno si è tenuto in Inghilterra (o U.K. come la moda anglofona impone) un referendum che rispondeva al quesito di una eventuale uscita del Regno Unito dalla Comunità Europea. Il giorno successivo, il 24 giugno sono stato resi noti i risultati. La maggioranza degli inglesi ha votato per il distacco dalla Unione Europea. Si badi bene che il referendum ha natura consultiva, e quindi i governi potrebbero disattenderlo, e che è stato indetto dal primo ministro inglese David William Donald Cameron, conservatore. Sin qui i fatti nudi e crudi, su cui però si è scatenato un pandemonio mediatico incredibile. Innanzitutto, tutti i media, concordemente hanno dato massimo risalto ai sondaggi precedenti il voto, e qualcuno li ha perfino confusi con i risultati acquisiti, che davano per certo il cosiddetto “remain” come esito del referendum medesimo, ossia della permanenza della Gran Bretagna nell’ UE. A me, mentre li ascoltavo, veniva subito un dubbio sulla loro autenticità. Il dubbio mi sorgeva dalla eccessiva insistenza, quasi che ci fosse una campagna referendaria mediatica a livello europeo all’interno della campagna referendaria vera e propria, che mal si collega con il necessario distacco del giornalista che non dovrebbe fare il tifo per un esito o per l’altro. Invece si è assistito ad una campagna perentoria violentissima per il “remain” in Italia sicuramente come un problema di immediata rilevanza sui problemi interni. E conseguentemente una campagna terroristica alla proclamazione dei risultati. I nostri emigranti a Londra erano trattati dai numerosissimi servizi televisivi sul tema, come una sorta di ostaggi su cui incombevano chissà quali pericoli, manco si trattasse di una dichiarazione di guerra. Pochi i giornalisti e i commentatori che pacatamente si limitavano a rilevare che per il momento non cambiava nulla e per il prosieguo neppure, almeno per quelli che attualmente lavorano in Inghilterra. Di più; un amico su fb faceva giustamente notare, contro la medesima campagna mediatica che paventava un distacco profondo ed epocale della civiltà inglese dall’Europa, che si sono portate le minigonne e si sono cantate le canzoni dei Beatles, in Italia, senza che esistesse l’Unione Europea.   Invece si è continuato e si continua ancora a prevedere catastrofi, puntualmente avvenute in borsa, ma questo è un altro problema ancora. Il dato di fondo di questa vicenda è che si è celebrata sui media il rito dell’Unione Europea come la nostra religione civile. Come se ci fosse vita solo all’interno, almeno in Europa, mentre fuori si rischiava la dannazione eterna. I dati dicono che dal dopoguerra ad oggi non si è mai stato peggio come da quando siamo entrati nella zona Euro. E che l’euro sia un tutt’uno con l’Unione Europea è un fatto scontato. Che il M5S abbia cambiato opinione rispetto al problema è qualcosa che mi preoccupa. Non c’è modo di cambiare le cose in Europa senza prima aver smontato tutto l’apparato costruito in modo davvero antidemocratico, e senza soprattutto aver regolato i conti con la Germania, che è la principale beneficiaria di questo grande imbroglio. Detto da me è poca cosa ma riproporrò la prima parte di un articolo a riguardo del compianto Luciano Gallino del 22 Agosto 2013 sul quotidiano La Repubblica”:
  L’intervista concessa giorni fa dalla Cancelliera Merkel alla Frankfurter algemeine, apparsa anche su “Repubblica”, si presenta con due facce.  La prima è quella di un manifesto elettorale, in vista della tornata di settembre. Angela Merkel è nota per saper interpretare come pochi altri politici le idee e gli umori del cittadino media del suo paese. Che si possono così compendiare: noi lavoriamo sodo, sappiamo fare il nostro mestiere e amministrare con cura il denaro pubblico e privato; quasi tutti gli altri nella unione europea, lavorano poco, sono degli incapaci, e vivono al di sopra dei loro mezzi. La seconda faccia dell’intervista è una calorosa difesa delle politiche di austerità e delle riforme che la Cancelliera ha imposto ai paesi UE affinché risanino i bilanci pubblici e riducano i debiti.
Ogni personaggio politico sceglie le strategie comunicative che crede ed è probabile che quelle di Angela Merkel le assicurino il terzo mandato consecutivo. Su di esse non c’è quindi nulla da dire. Ma la difesa strenua dell’austerità e il messaggio implicito nell’intervista “i paesi UE sono pieni di debiti e noi no per cui ci tocca insegnargli come si fa ad uscirne” meritano qualche osservazione. La prima è che la Germania, se si guarda la sua storia, non ha nessun titolo per impartire lezioni in tema di debiti. Un paio di anni fa un docente tedesco di storia economica, Albrecht Ritschl, ebbe a definire la Germania, a “Spiegel on line” il debitore più inadempiente del XX sec. La Germania di Weimar aveva contratto tra il 1924 e il 1929 grossi debiti con gli Stati Uniti per pagare le riparazioni della 1° guerra mondiale. La crisi economica del 1931 consentì al paese debitore di azzerarli, con un danno enorme per gli Usa. La Germania di Hitler smise semplicemente di pagare le riparazioni, sebbene esse fossero state drasticamente ridotte a confronto delle entità punitiva indicata dal trattato di Versailles del 1919. Pe parte sua il nuovo stato federale ha pagato somme minime per i danni provocati nella seconda guerra mondiale, grazie anche al benvolere degli americani che gradivano si rafforzasse per fare da argine all’Urss. Ma soprattutto non ha pagato quasi nulla per restituire ai paesi europei occupati tra il 1940 e il 1944 le ingenti risorse economiche che la Germania nazista aveva prelevato a forza da essi. Lo stesso professor Ritschl ha stimato, in un art. presentato nel 2012 alla 40° conferenza di scienze economiche, che in moneta attuale codesto debito verso l’estero ammonterebbe a 2,2 -2,3 trilioni di € equivalenti all’incirca a un anno intero di Pil della Germania attuale. Avesse dovuto restituire anche soltanto un trilione ai paesi spogliati dai nazisti, la nuova Germania avrebbe dovuto sborsare decine di miliardi l’anno per parecchi decenni. A parte l’oblio del pessimo record della Germania come debitore, la orgogliosa difesa delle virtù dell’austerità che Angela Merkel fa nella sua intervista male si accorda con le cifre. Secondo dati Eurostat nei paesi UE si contano oggi oltre 25 milioni di disoccupati e 120 milioni di persone a rischio povertà per varie cause: reddito basso anche quando lavorano, gravi deprivazioni materiali, appartenenza a famiglie i cui membri riescono a lavorare soltanto poche ore alla settimana. La scarsità di impieghi, i tagli alla spesa sociale e all’occupazione nel settore pubblico hanno ridotto male anche le classi medie dei Paesi Ue. Neanche i lavoratori tedeschi se la passano bene. I “minijobbers”, coloro che debbano accontentarsi dei contratti da 450€ al mese gravati da tasse e contributi sociali, sono in forte aumento e si aggirano oramai su 8 milioni, circa un quinto delle forze di lavoro. Tra le cause di tutto ciò va annoverata la crisi, certo. Ma la crisi è iniziata sei anni fa. La recessione che ha provocato avrebbe dovuto essere combattuta in modo rapido e deciso con un aumento mirato della spesa pubblica, e i governi europei avevano il sacrosanto dovere di farlo dopo che avevano salvato le banche private a colpi di trilioni di denaro pubblico. Tuttavia sotto la sferza del governo tedesco essi adottarono la più dissennata delle politiche concepibili dinanzi a una recessione: la contrazione della spesa. Perfino gli economisti del FMI, per decenni fautori dei più duri aggiustamenti strutturali, sono arrivati a scrivere che l’austerità nella UE ha prodotto risultati negativi. E’ rimasta la signora Merkel a vantarne i benefici. “
Ed è solo un esempio, potrei citare altri interventi assai seri e documentati che vanno nella stessa direzione. Di modo che le mie opinioni possono sembrare delle misere invettive preconcette, ma cerco, come posso, di documentarmi. La tragedia è che di questi dati acquisiti in perfetta solitudine da un grande studioso come Gallino, non ne tiene conto nessuna forza politica. Questa è la religione civile, quella di una Unione Europea germanocentrica, che stanno tentando di inculcarci in tutti i modi. Ora la questione è sul perché l’Inghilterra fa un referendum per andarsene, tenuto conto che in realtà ha ancora sia la sterlina e la sua banca centrale, che non è poco, sia tanti privilegi per cui difficilmente può ritenersi una vittima del sistema. Ora credo bisogna fare attenzione: non è certo che l’Inghilterra esca davvero, perché credo più probabile che avvenga una trattativa sottobanco con la Merkel perché anche gli inglesi siano coinvolti nella spartizione della torta che sin qui vede quasi esclusivamente la Germania a beneficiarne. Il ceto politico inglese al completo vuole di più e fa finta di andarsene, ma non è certo che se ne vada, almeno questo è il mio sospetto e solo il tempo ci dirà come stanno veramente le cose. Certo la crisi morde anche l’Inghilterra, e il ceto politico ha buon gioco ad addossarne la colpa alla UE, come alibi per le sue. Le politiche liberiste, da che mondo e mondo hanno sempre portato recessione, e il Regno Unito è da sempre luogo di teorizzazione e spesso anche di concreta attuazione di politiche liberiste. Intanto Cameron ha dichiarato che il suo governo non uscirà dalla UE, e preannunciando le sue dimissioni, passa la patata bollente al suo successore, così il tempo passa e con esso anche tutto questo vociare sul referendum. Vedremo. La cosa strana che mi colpisce comunque che solo la Gran Bretagna, da destra, mette in discussione la sua permanenza nella UE, mentre da parte dei paesi Pigs non c’è nessun segnale di insofferenza concreta. Notoriamente la parola inglese sta per “porci” e da questa parola si è ricavato un anagramma appositamente elaborato per dire che il Portogallo, l’Italia, la Grecia e la Spagna sono paesi porci appunto, nessun sussulto reale. Eppure questi paesi stanno in Europa solo per versare soldi alla Germania, e per essere costretti ad una politica recessiva e aggressivamente reazionaria, a danno non solo del mondo del lavoro ma anche del sistema delle piccole e media imprese di respiro nazionale. Di modo che dal debito non si potrà uscire mai e, col pretesto del pareggio di bilancio mai più raggiungibile, stanno togliendo lavoro, sanità, pensioni e con questo la possibilità di vivere. La popolazione in Italia non cresce più, le attese di vita stanno regredendo, i giovani hanno ripreso ad emigrare e tra qualche decennio, l’Italia meridionale sarà una landa desolata, abitata da pochi anziani e forse, se va bene da un poco di immigrati. Comunque un effetto il referendum inglese lo ha avuto, e consiste in un messaggio minaccioso nei confronti della Merkel, detentrice del tesoro che adesso, in vario modo sembra meno custodito di quanto non lo sia stato sin qui. Ne approfitta pure Renzi, furbissimo politico, che cerca di trarre vantaggi per se stesso, mica per il paese. Egli cerca più libertà di spesa, per mere ragioni di consenso, ma sempre a debito. La polemica sul finanziamento pubblico alle banche in crisi ha del surreale. Pochissimi si fanno la domanda sul perché ai finanzieri proprietari e azionisti di riferimento, o manager delle banche deve essere consentito di tutto, a partire dai lauti compensi per se stessi, al concedere prestiti ingenti ad amici e compari senza garanzia di rientro, al contrario, in qualche caso sicuri del non rientro, e poi se le cose vanno male ci deve pensare lo stato con i soldi pubblici, cioè nostri, a ripianare i debiti, gratuitamente. E’ assurdo, e forse da codice penale, se in Italia ci fosse una giustizia. Ma non c’è. Ma questo è il vero nocciolo della questione UE e delle politiche di bilancio, nonché della crisi economica generale nel suo complesso: la “privatizzazione”, ossia la trasformazione di risorse pubbliche in risorse private a vantaggio dei grandi gruppi finanziari. Quel che serve è una rivisitazione complessiva della questione “debito pubblico”, con una severa tassazione sui grandi patrimoni, costi quel che costi, in modo da risolvere il pregresso, inducendo per esempio la Germania a pagare i suoi debiti, giusto l’articolo di Gallino, e risollevare sensibilmente la Grecia che in quanto a debiti di guerra ha delle giuste rivendicazioni, salvo poi a non dar seguito nonostante Tsipras, e per il futuro a creare condizioni politico finanziarie per sottrarre il debito stesso al controllo e al possesso di banche private. Insomma si tratta di smettere di regalare soldi pubblici ai privati, così come impone questo assetto neoliberista, che assomiglia molto ad una forma più leggera di neonazismo, almeno sul piano interno, mentre la ferocia versoi popoli deboli è pari se non più forte di quella nazista. Comunque è vero che una buona amministrazione dello Stato implica, al bisogno, un indebitamento relativamente basso e sostenibile, a differenza di quello attuale, e questo apre al discorso sulla corruzione e della criminalità organizzata, che sono le principali beneficiarie della “spesa pubblica” in Italia, divenuta per questa via un teatro di opere incompiute, un accartocciarsi di opere malsane, quali inutili autostrade, trafori tanto devastanti quanto inutili, come quello in val di Susa, recentemente ridimensionata, forse per merito dell’Appendino e dei M5S a Torino, per non parlare del ponte sullo stretto di Messina che ci è costato già tanto a favore di società costituite ad hoc, per il solo parlarne. Senza di che continueremo a vedere tagli alla spesa sanitaria, che di tagli ha solo il nome perché non decresce, nonostante la drastica riduzione dei posti letto e delle prestazioni, al punto che oggi è già difficile parlare di una esistenza reale di una sanità pubblica, essendo nella esperienza di tutti coloro che ci sono passati, che senza soldi non ottieni nessuna prestazione davvero indispensabile. Ormai nella sanità italiana si paga tutto, o tutto ciò che è realmente indispensabile. Se ciò nonostante la spesa non diminuisce è perché ne beneficia la sanità privata, oltre che i rivoli consueti di corruttela e mal gestione. Di questo Renzi si dovrebbe preoccupare invece di scodinzolare contento al guinzaglio della Merkel, e vantarsi di aver ottenuto concessioni di cui invece dovrebbe vergognarsi.