mercoledì 12 giugno 2013

L'astensionismo



Ormai, consumati  i ballottaggi, le elezioni amministrative determinano ancora un dibattito politico stanco e francamente nauseabondo, destinato ad esaurirsi per essere rimpiazzato con qualunque cosa serva da alibi al governo per continuare a fare il peggio, tipo le riforme istituzionali e il presidenzialismo “alla francese” che  in Italia, come tutto  ciò che viene importato a riguardo,  trova una applicazione sempre parziale, per la singolarità della nostra posizione socioeconomica e geopolitica, che rende nulli tutti gli assetti non originati da una riflessione conseguente su di essi. A parte ciò, continua la trasformazione della costituzione informandola progressivamente a principi opposti a quelli per cui fu a suo tempo promulgata.  Invece un ceto politico “compradores” si sarebbe chiamato un tempo, perpetua lo scambio a vantaggio della grande finanza made in Usa  nonché della delegata Germania, tra il proprio personale benessere e le condizioni di vita della generalità del Paese, e la crisi attuale dei grillini eletti in parlamento attiene proprio a questo tema.   Comunque le elezioni ormai stando ai dati sulla partecipazione interessa un numero decrescente di persone, mentre il disincanto coinvolge senza dubbio anche chi ha votato. Tuttavia serve, credo, tornarci sopra. I maggiori interessati infatti, a  questi responsi erano i personaggi e le forze attualmente al governo delle  “larghe intese” e quindi Letta, Berlusconi e Guglielmo Epifani. Sembrerebbe che l’interpreazione di questo esito elettorale abbia indotto il gruppo dirigente del Pd a tirare un sospiro di sollievo, ascrivendo alle loro capacità un esito che a una prima lettura sembrerebbe positivo per il medesimo Pd. Certamente a guardare gli esiti sulla base dei sindaci eletti,  tale ottimismo pare del tutto giustificato, ma solo in sede di valutazione dell’esito del voto sotto il profilo amministrativo, perché sotto il profilo squisitamente politico il discorso pare diverso, e comunque certamente degno di ulteriori approfondimenti. Intanto pare che come al solito la logica fa difetto in grande misura ai chi occupa cariche di rilievo politico e istituzionale. Infatti Epifani, che nella sua lunga militanza politico-sindacale non ha mai vinto granché ora si sente vincitore, perché  ritiene che abbia pagato la politica delle larghe intese, si presenta a Roma e proclama la vittoria del Pd mentre il vero vincitore, Marino, in quanto esponente del Pd è certamente eterodosso, è un “battitore libero” sempre in tema di nostalgia del linguaggio. Non a caso tutti i sindaci di cs delle grandi città sono eterodossi rispetto alle segreterie nazionali del Pd.  Ora, che Letta ed Epifani dicano di essere vincitori  a beneficio dei  creduloni, è pure comprensibile, ma sarebbe grave se ci credessero davvero. Chi non vuol essere annoverato tra i creduloni deve pur trovare il modo di dire che le cose non possono essere viste a questo modo. Il dato ormai quasi statistico, ci dice che le elezioni amministrative non sono più, da qualche tempo, un fenomeno omologabile alle politiche, per cui trarre conclusioni politiche da vicende amministrative diventa un esercizio di mera propaganda, nel caso in cui si pensi che il medesimo risultato possa essere traslato sul piano di ipotetiche elezioni nazionali.  Invece merita molta più attenzione di quanto non facciano i media alla ormai irreversibile, spero, liquidazione della Lega Nord, che deve continuare ad essere considerata una costola del Pdl, o meglio la sua testa politica pensante, perché Berlusconi, notoriamente ha passioni  poco politiche o politiche di risulta, tant’è che sul piano amministrativo è assente, grazie anche e soprattutto alle autentiche razzie ai danni delle amministrazioni locali sin qui governate dai suoi emuli.  La Lega invece,  quella che ha dettato “l’agenda politica” come si sul dire degli ultimi vent’anni, ha ispirato le leggi razziali ancora vigenti, ha elaborato sia la cd “devolution” che è il vero buco perenne nel bilancio dello  Stato sia, in una operazione a tenaglia, il cd “patto di stabilità” . Questa tenaglia ha una forte responsabilità nel depauperamento in atto  dell’economia italiana insieme alle politiche recessive di Monti, volute da tutti anche se poi ipocritamente misconosciute,  come in uno dei tanti giochi della politica italiana che per l’occasione mi ricorda “lo schiaffo del soldato”. La Lega in oltre, sul piano amministrativo, per buttarla in propaganda, atteso che i margini economici di manovra dei comuni sono  da tempo, assai ridotti, per i motivi che prima ricordavo, ha inventato la figura del sindaco moralizzatore o sindaco sceriffo, insomma tutto un riversarsi su delibere liberticide attinenti a un malinteso senso della moralità e della sicurezza, una volta appannaggio del ministero degli interni, e in salsa razzista. Tale impostazione, sicuramente attenuata, è stata fatta propria anche da sindaci di cs e dispiace che anche Pisapia a Milano si sia incartato sulla questione dei gelati notturni. Questo modello di amministrazione locale è, credo, in crisi irreversibile, e questo è l’ esito più importante di questa tornata, sottaciuta dai masmedia.   Certamente esce penalizzato il M5S e Grillo  ha accusato il colpo.  Ora i media stanno spettacolarizzando oltre misura la sconfitta di Grillo, che ha reagito da quell’istrione che è, attribuendo “la colpa” del  mancato successo agli elettori. Questo  difetto non è una sua prerogativa esclusiva, perché anche a sinistra si sente incolpare gli elettori del mancato successo della lista Ingroia, per esempio.  Il problema è che quanti assumono questo punto di vista non colgono il dato di realtà per cui gli elettori, genericamente intesi, ossia una loro larga maggioranza, sono le principali vittime del sistema elettorale medesimo, e che colpevolizzare le vittime, per quante responsabilità abbiano, vere o presunte, è una operazione vana, improduttiva di qualunque effetto positivo. Dirò di più,  dal mio punto di vista il “dagli all’untore” in corso contro Grillo su tutti i media o quasi, con l’eccezione notevole del solito Travaglio,  è una operazione  di bassissimo profilo, per due ordini di motivi: il primo, riferito all’atteggiamento della “sinistra che non c’è” è perché  Grillo e il suo movimento hanno nel loro DNA una debolezza intrinseca che dovrebbe indurre i più a non scommettere sulla longevità del fenomeno, che a dirla tutta, ha una portata ridotta al di là del successo alle ultime politiche. Grillo ha parecchi difetti di cui ho già parlato in precedenti post, ma ne posso aggiungere ancora uno, che consiste nella semplificazione eccessiva delle sue analisi e delle conseguenti debolezze intrinseche nelle sue proposte, alcune delle quali restano condivisibili, purché si tenga conto della portata modesta di fronte alla drammaticità della crisi che stiamo attraversando; il secondo è che sarebbe, potenzialmente, se uscisse dai blog e diventasse un movimento radicato nella realtà sociale,  un po’ migliore del Pd e del Pdl, che in ordine alla situazione attuale hanno responsabilità storiche e, sotto certi profili , esclusive, e comunque M5S ha avuto un ruolo positivo, sotto il profilo culturale,  nell’affossamento della Lega. Resta il problema dell’astensionismo, che tutti rilevano ma che nessuno o quasi, valuta correttamente. Eppure il fenomeno da spazio a diverse riflessioni. Il principale e il più frequentato dai commentatori, attiene alla qualità della democrazia, ossia se un astensionismo così alto possa o meno inficiare la legittimazione politica del sistema. Peccato che le risposte prevalenti siano inspirate a quella che mi piace chiamare “naturalizzazione”  del fenomeno contraddicendo magari l’importanza attribuita al momento del voto sul piano formale . L’argomento ricorrente è che nel sistema liberale non è essenziale partecipare al voto tant’è che negli Usa, tradizionalmente, i presidenti sono eletti con un consenso assolutamente minoritario. Su questo ho già argomentato su questo blog. Il problema di fondo, è la concezione liberale della democrazia, che da un lato fa della libertà di voto il suo manifesto più essenziale, e dall’altro teorizza la non necessità  della partecipazione al voto. Per i liberali è sufficiente che vi sia la teorica possibilità di recarsi al voto, a prescindere da tutte le condizioni che rendono di fatto superfluo l’espressione di voto medesimo.  Per chi, come me si rifà a Marx la democrazia non può essere un fatto formale, deve essere una condizione di realtà generale nella vita di tutti.  Posso  concepire forme di democrazia partecipata che  derubricano l’importanza del voto, ma trovo estremamente contraddittorio esaltare il momento del  voto come condizione imprescindibile di  democrazia e poi derubricare la partecipazione al voto medesimo. Solo che nelle condizioni date l’astensionismo è una forma di protesta del tutto comprensibile, per quanto improduttiva ed è tale perché acefala e priva di sbocchi. Invece credo abbia delle potenzialità che la sinistra che non c’è non riesce a cogliere . Avendo, essa, ridotta  quel che una volta si chiamava “lotta di classe” ormai innominabile, declassata a mera ideologia nonostante l’ evidente crudezza delle sue manifestazioni ad ogni livello, a competizione elettorale, ne è nata, sempre a sinistra, una sopravvalutazione accecante dell’importanza del momento del voto, col risultato di alienare da sé quelle aree sociali di non voto che verosimilmente sono le più sofferenti sotto il profilo socioeconomico. Fosse per me tenterei di  organizzerei il non voto con forme da studiare con attenzione, in un voto di protesta, che deve comunque partire dal presupposto che da detto voto di protesta nessuno debba trarre benefici personali, atteso che è proprio questa lla principale ragione del non voto,  ossia nessuno debba essere eletto in parlamento. Deve essere un voto simbolico finalizzato a contare, possibilmente l’area del disagio sociale e per organizzarla sul piano della partecipazione e della lotta politica, che modifichi, nel contesto socioeconomico, i rapporti di forza. Ora non so quale esito avranno le prossime elezioni in  Turchia, quel che è certo che risentiranno, per un verso o per l’altro, delle manifestazioni di piazza di questi giorni. L’assenteismo comunque, è questo che i commentatori di ispirazione liberale rifiutano di considerare, non è un fatto meramente quantitativo, ma dice pure della qualità del consenso. Il raffronto con i sistemi anglosassoni non regge, per la semplice costatazione che loro, Regno Unito + Usa, hanno dominato il mondo e lo dominano ancora. Il loro potere risiedeva del loro dominio su altri popoli e civiltà e non sull’esito di elezioni che, per  l’essenziale hanno esiti indifferenti. Non è un caso che questa crisi non è aggredibile dai nostri governi, comunque composti, al contrario possono solo implementarla, perché ha radici, com’è noto, nella finanza di cui parlavo,  che domina il nostro ceto politico al completo e questa situazione non è modificabile a partire da un particolare esito di un voto.   Oggi su “La repubblica”  Ilvo Diamanti  ha scritto un articolo “La messa è finita   per sostenere in estrema sintesi, che la seconda repubblica è seppellita definitivamente da questo voto,  a causa della sconfitta netta del PDL e della Lega Nord a cui in effetti ha annesso l’importanza che merita, e della conseguente vittoria del Pd. Ora in questo ragionamento trovo alcune contraddizioni, perché di solito per “seconda repubblica” si intende un sistema bipolare con coalizioni, se non partiti, che si alternano al governo.  Tant’ è che quasi tutti i commentatori rilevavano che le ultime politiche segnarono la fine del bipolarismo, per effetto del successo di M5S che in effetti spezzava il bipolarismo. In queste amministrative invece sembrerebbe che sia tornato il bipolarismo, perché M5S non è mai entrato nei ballottaggi  che contano. Il fatto che tutti i sindaci o quasi siano del Pd, non credo possa mettere in forse il bipolarismo medesimo che lo stesso Pd ha fortemente voluto. Semmai queste elezioni  esaltano il ruolo di architrave dell’intero sistema che obiettivamente, credo, il Pd svolge.  Se non ci fosse non reggerebbe il sistema così com’è oggi, mente Pdl invece è un partito del padrone non è indispensabile al sistema, se crollasse se ne farebbe un altro senza per questo inficiare l’intero sistema. Questo spiega perché, nelle competizioni politiche il Pd dia l’impressione, se mi si passa una metafora calcistica, di una squadra che non vuol tirare nella porta della squadra avversaria, o al massimo tira nella propria porta. Non è solo un fatto di personale politico mediocre, perché la statura di questi dirigenti è sicuramente modesta, ma non per questo siamo autorizzati a pensare che siano ingenui, o peggio ancora degli stupidi, perché e certo che gli ingenui, se non gli stubidi, abitano volentieri in basso, alla base della piramide sociopolitica, non ai vertici.