giovedì 23 febbraio 2017

La scissione



In questo momento tiene banco sui media la sceneggiata della scissione del Pd. Alla assemblea generale del Pd tenutasi il 17 al parco dei Principi in Roma (una volta comitato centrale) Renzi ha tenuto la relazione introduttiva da par suo. Stupida, arrogante, retorica e altisonante oltre il sopportabile, con un linguaggio quasi ottocentesco, scevro da qualsiasi riferimento ai problemi concreti. Ridotto all’essenziale, il suo intervento voleva dire che egli persegue nei suoi obiettivi, incurante delle sconfitte subite, incurante delle perdite certe cui andava sicuramente incontro, perché la “minoranza” è stata cacciata, pena la definitiva scomparsa dallo scenario politico italiano. Detto questo, voglio tornare alla questione della forma di partito. Non a caso prima ricordavo che quella istanza del Pd, nella versione originaria da cui trae origine quel partito, ossia il PCI si chiamava appunto comitato centrale. Ora deve esser chiaro che non sono un nostalgico di quel partito, che è morto per eutanasia, e che nulla potrà mai portarlo in vita. Tuttavia una delle critiche più fortunate che si sono fatte a quella forma di partito attiene proprio alla figura del segretario, dipinta sempre come eccessivamente autoritaria e limitatore delle libertà di espressione di tuti gli altri. Voglio far notare questa circostanza per rimediare in piccolissima parte al deficit di memoria che ci accompagna. Infatti la rivendicazione principale di Renzi nei confronti della minoranza attiene proprio a questo aspetto. Il segretario rappresenta tutti gli iscritti e quindi non può essere pubblicamente contraddetto. Questa rivendicazione trova commenti prevalentemente favorevoli, e nessun commentatore esterno dipinge Renzi come limitatore di democrazia interna. Eppure i vecchi segretari dei partiti comunisti erano formalmente eletti precisamente da strutture di eletti dalla base degli iscritti. Al netto delle magagne per cui quelle procedure erano certamente poco trasparenti, tuttavia, sul piano formale, quello era un processo effettivamente più democratico, per cui alla fine erano, sempre sul piano meramente formale, è bene ribadirlo, gli iscritti ad avere voce in capitolo. Oggi Renzi pretende di governare da solo il Pd, anche in nome di cittadini mai iscritti al Pd, e del tutto indifferenti alle sue vicende. La vicenda della scissione, di cui a distanza di qualche settimana non si intravedono neppure i contorni, è sintetizzabile in questo. La crisi ha consumato anche questa forma di partito, un partito-stato si badi bene che coincide quasi esattamente con il potere dello Stato. Qualunque cosa succeda il Pd non sarà la stessa cosa, Renzi ha fallito, e qualcuno gli presenterà il conto, e non escludo che possa essere il furbissimo Emiliano, levantino dell’acqua più pura. E’ vero comunque che il passato non ritorna, e non ritorna certamente nelle forme auspicate da chi si propone di farlo ritornare. I vari Bersani, D’Alema sono effettivamente il passato, D’Alema in particolare ha fatto di peggio rispetto a Renzi, non hanno idee se non il ritorno a un impianto politico del passato, che loro stessi hanno consegnato a Renzi senza opporsi, nonostante ne avessero i mezzi. E sono politicamente finiti per sempre.