giovedì 10 aprile 2014

Berlinguer, la Nato e il film di Veltroni

Recentemente è uscito un film di Veltroni su Enrico Berlinguer, pare sia un documentario, e che stia avendo successo nelle sale. Di sicuro non l’ho visto né, come altri compagni, mi propongo di vederlo. Dirò di più; su Berlinguer è stato scritto molto, è stato girato un altro film prima di questo, ed io non ho seguito nulla di tutto ciò, e le conclusioni cui sono giunto sulla sua politica le ho maturate per aver vissuto attivamente la vita del PCI dall’1980 sino alla fine. Mi includevano perfino nel servizio d’ordine che la federazione del partito di Bari dedicava a tutti i segretari generali, compreso Berlinguer, ovviamente, ogni volta che veniva in città, prevalentemente in occasione di comizi conclusivi di campagne elettorali. Comunque i servizi d’ordine sono stati parte caratterizzante del mio impegno politico di sempre. Dirò, sapendo di andare assolutamente controcorrente, che i suoi discorsi politici non mi hanno mai convinto, al contrario, mi stupisce e continua a stupirmi l’accoglienza che hanno soprattutto “a sinistra”.  E lo dico ora tanto più che mi pare in corso una sua “santificazione” cui concorre tutto, i ricordi nostalgici di tanti compagni, il riguardo nei sui confronti di personaggi come Benigni, insomma un tam-tam che corre anche su Fb, oltra ai film e le pubblicazioni di cui ho già detto. Tale consenso mi pare stia diventando perfino trasversale, sotto il profilo politico. Insomma temo che Enrico Berlinguer stia uscendo dalla Storia, e stia entrando nel mito. Ora in estrema sintesi, e per grandi titoli,  i discorsi politici che hanno reso famoso Berlinguer, ed è il motivo per cui se ne parla riguardano essenzialmente: 1) Il compromesso storico; 2) il discorso sulla fine della forza propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre del 1917 i Russia con conseguente elogio della Nato con cui ha definito il Patto Atlantico: «uno scudo utile per la costruzione del socialismo nella libertà, un motivo di stabilità sul piano geopolitico ed un fattore di sicurezza per l'Italia» (intervista rilasciata a Giampaolo Pansa per il Corriere della Sera, il 15 giugno 1976. 3) Il discorso sulla questione morale. Ad occhio questi sono gli argomenti che maggiormente risaltano, sotto il profilo politico, perché c’è anche un profilo sentimentale che coinvolse anche me al tempo, ossia le circostanze della sua morte, a seguito di un ictus cerebrale che lo colse sul palco di un comizio a Padova il 7giugno 1984. Che fosse una persona dedita al suo lavoro, ben oltre i suoi interessi personali è fatto vero, e che ciò contribuisca, mio malgrado, a mitizzarlo non ne fa certamente una falsità. Dopo di che pochi ricordano, o così a me sembra, che fu anche il promotore del referendum sull’abolizione della normativa che toglieva dalla busta paga dei lavoratori dipendenti, la famosa scala mobile, ossia la copertura parziale in automatico, dell’aumento del costo della vita. Il referendum si celebrò nel giugno 1985 un anno dopo la sua morte, con esito negativo, perché gli elettori, a riprova della loro “maneggevolezza” confermarono in maggioranza l’abrogazione di questo intelligente istituto, che andava, a mio parere, ulteriormente perfezionato. Ora, e qui apro una parentesi, nessuno ricorda più le mirabolanti prospettive in fatto di occupazione e sviluppo economico vaticinate da Craxi e dal suo governo, e dai sostenitori dell’abolizione della scala mobile sindacalisti compresi, i quali sostenevano tra l’altro, udite, udite, che il meccanismo dell’automazione toglieva spazio alla contrattazione. Sostenevano proprio questo senza che nessuno a sinistra gli venisse spontaneo osservare che la contrattazione non era il luogo del riconoscimento del ruolo del sindacato autoreferenziale, ma il luogo in cui era possibile ottenere aumenti reali della retribuzione. Con questa vicenda si determinava una politica sindacale per cui i salari potevano solo aspirare alla stabilità, non ad aumenti reali. In concreto poi sappiamo com’è finita. Da allora ad oggi i salari reali in Italia sono scesi in picchiata, al livello del “terzo mondo” di una volta, e tutti a dire che il costo del lavoro è alto, solo perché altrove ce ne son ancora di più bassi. Insomma stiamo allo schiavismo tendenziale, con punte di schiavismo autentico soprattutto in agricoltura, senza alcun beneficio per l'economia generale del Paese. Devo aggiungere  pur avendo promosso la raccolta delle firme per la difesa della scala mobile il PCI, segretario Natta, ad onor del vero, aveva di fatto esentato la CGIL dal sostenere la battaglia recitando la farsa dell’autonomia del sindacato dal partito, mentre chi ha vissuto dall’interno di quella fase sa bene che il percorso carrieristico dei dirigenti, - che formavano una casta chiusissima, autoreferenziale, e che di propagava solo e soltanto per cooptazione, essendo i congressi e quant’altro, vuote liturgie sicuramente prive di senso democratico -  era assolutamente trasversale tra partito e sindacato e Lega delle Cooperative. In definitiva un dirigente di partito all’uopo diventava indifferentemente dirigente del sindacato o della Lega e poi tornava al partito in vista, solitamente di qualche seggio nelle istituzioni ai vari livelli, e di conseguenza, le tre organizzazioni dovevano ritenersi un tutt’uno, all’epoca. Chiudo la parentesi sulla scala mobile. Come la faccenda della scala mobile pare a me che tutto fosse un coacervo di contraddizioni per me inaccettabile da chiunque voglia dirsi “di sinistra” a qualsiasi titolo, figuriamo poi se parliamo del segretario del Partito Comunista Italiano. Ricomincio, per tornare a Berlinguer, dal discorso sulla fine della “spinta propulsiva” della rivoluzione sovietica, che credo sia la chiave di volta per comprendere tutto il resto.  In realtà la crisi dell’Unione Sovietica era nota e si prestava a due opposte letture: la prima tendente a fare dell’erba un fascio di tutta la storia sovietica come se Lenin e Krusciov, per non parlare degli squallidi personaggi che seguirono nella carica di segretario generale del PCUS,  tanto per dire, fossero accumulabili in uno stesso giudizio; l’altra di segno opposto, che rilevava appunto la contraddizione tra i principi del socialismo e la loro attuazione concreta, cose che fece appunto il Partito Comunista Cinese. Berlinguer invece scelse “la terza via” ora attribuita a Tony Blair ma, se ben ricordo fu proprio Berlinguer a usare per la prima questa espressione, oppure addirittura Togliatti quando parlò di riforme di struttura, ora non ricordo bene e francamente non mi va neppure di documentarmi. Di fatto Berlinguer scelse la Nato come via al socialismo. Trovo strabiliante che nessuno colga l’enormità della contraddizione, il non senso di questa posizione. Questo è avvenuto in Italia che è davvero uno strano Paese. La Nato è notoriamente una estensione dell’esercito Usa verso l’Atlantico del nord, come recita l’acronimo - North Atlantic Treaty Organization - i quali Usa attuarono il colpo di Stato in Cile, e questo sarebbe, lo stesso evento che portò Berlinguer a teorizzare il compromesso storico. Quindi da un lato temeva la disinvoltura con cui gli Stati Uniti intervenivano negli stati indipendenti e dall’altro definiva la Nato come dicevo: «uno scudo utile per la costruzione del socialismo nella libertà, un motivo di stabilità sul piano geopolitico ed un fattore di sicurezza per l'Italia». Ecco io parlerei di paradossi esistenziali non di disegno politico.    Ma anche in Grecia ci fu un colpo di stato made in Usa, ed in Italia ci furono stragi di massa verosimilmente attribuibili ai servizi segreti Usa, essendo quelli italiani, in modo conclamato, una appendice di quelli statunitensi. A questo proposito, di recente si è tornato a parlare sulla stampa della vicenda Moro e dei ruolo dei servizi segreti. Che sia chiaro che la mano dei servizi segreti nel rapimento Moro è stata intravista da una serie di autori che hanno pubblicato opere ben documentate a riguardo a partire da Sciascia che scrisse “L’affaire Moro” a ridosso degli eventi essendo nella commissione d’indagine del parlamento italiano sul caso Moro. Recentemente, dicevo su diversi giornali si è tornato a parlare di questo caso per una lettera di un poliziotto che trattava della moto Honda con a bordo due agenti del servizio segreto italiano agli ordini del colonnello Guglielmi. Voglio riportare, estraponendola di proposito dal contesto una parte breve e assai significativa di un intervista da “Il Fatto Quotidiano” del 26.3.2014: <<L’AmeriKano di Cossiga: “In via Fani c’era una ronda dei Servizi” >>. Poi nell’interno a pag. 16 un’intervista telefonica di Marco Dolcetta a tale Steve Pieczenik in cui costui afferma Mi dispiace che sia dovuto morire ma, in realtà in termini di strategia, la sua morte è stata uno degli elementi chiave per la strategia adottata. Sono uno psichiatra laureato ad Harvard, poi chiamato da Henry Kissinger a ricoprire la carica di assistente alla Segreteria di Stato per dare vita a un nuovo organo statale, un Dipartimento per il controllo delle Crisi Internazionali e per il controterrorismo.”  Quindi Pieczenik ritine che in termini di strategia, la sua morte è stata uno degli elementi chiave per la strategia adottata”. Sono parole che si commentano da sole senza per questo voler attribuire al dott. Pieczenik nient’altro che una constatazione derivante da una analisi che condivido appieno, ossia che la morte di Moro era l’esito obbligato insito nella strategia di chi ha progettato e diretto, sotto gli occhi attenti degli uomini dei servizi segreti a bordo di una Honda e dello stesso colonnello Guglielmi, verosimilmente, il rapimento , convinto che nei giorni della lunga prigionia si sia giocata la partita definitiva che verosimilmente  vedeva diviso in due il “partito del golpe e del rapimento” essendo convinto che gli ambienti della Dc non erano affatto estranei al rapimento, e che deve essere stato motivo di frizione al loro interno la decisione di ucciderlo o meno. Ma come dice Pieczenik, al servizio di Kissinger, “la sua morte è stata uno degli elementi chiave per la strategia adotta”. Il che vuol dire tradotto in parole semplici, che date le premesse, in funzione degli obiettivi che si volevano raggiungere col rapimento, Moro non poteva che essere ucciso, altrimenti la sopravvivenza dello sfortunato leader della DC avrebbe compromesso il tutto, rendendo vano, anzi controproducente, il rapimento medesimo. Quindi Berlinguer che sicuramente avallò l’idea che il delitto Moro era finalizzato a scongiurare il nascente governo DC-PCI aveva la prova provata che in nessun modo, nei paesi di “sfera d’influenza” Usa i comunisti potevano andare al governo. Un motivo in più, secondo logica, di rivedere quell’assurda posizione sulla Nato che ho richiamato prima.  La DC, infine, nel periodo della prigionia di Moro, sostenendo la impossibilità della cosiddetta “trattativa” con le sedicenti Br, per motivi di principio, affermava evidentemente il falso atteso che quel partito, ad esclusione di questioni legati alla fede cattolica e agli interessi del Vaticano, ispirava la sua azione politica ad un pragmatismo estremo che mal si conciliava con la rigidità inconsueta con cui affrontò la questione della trattativa con le sedicenti Br su Moro. E questo a partire da due considerazioni: la prima è che a politici navigati non poteva non venire neppure il sospetto che altri si nascondessero dietro la sigla delle Br, e che pertanto doveva risultare prioritario risolvere il dubbio; la seconda è che anche sotto il profilo della fede cattolica, il valore della vita umana si vuole sia preminente su ogni calcolo di tipo politico e istituzionale. Non a caso il Vaticano fu molto possibilista a riguardo e non a caso di lì a poco, quando le sedicenti Br rapirono l’assessore regionale alla Campania, Ciro Cirillo per la cui liberazione la DC largheggiò oltre misura, tanto le Br centravano poco in un caso e nell’altro, solo che nel caso di Cirillo, verosimilmente, centrava più la camorra che i servizi segreti; del resto i confini tra queste organizzazioni non sono ben tracciati. In tutto questo Berlinguer schierò rigidamente il Pci sulle posizioni ufficiali della DC coprendone di fatto le contraddizioni interne, con evidente cinismo circa la sorte del leader democristiano.  Ora per me è evidente che nel quadro politico così tratteggiato, anche il discorso sulla “questione morale” così apprezzato ancora oggi fu depistante. Con quel discorso, di fatto si allargava sfumandolo all’infinito, la medesima questione morale dal momento che non faceva i nomi responsabili di quel sistema di potere tanto drammaticamente imperniato sulla corruttela atteso che essi notoriamente erano all’interno della DC più il PSI. A costoro inoltre, perfino moralmente andava chiesto conto della vicenda di Aldo Moro. Ma Berlinguer non fece nulla di tutto ciò, al contrario tutto il suo operato in modo conseguente, è leggibile solo e soltanto se lo si inquadra in un disegno di sportare il Pci su posizioni di estrema subalternità alla Dc, sino al punto da chiudere qualsiasi spazio politico nel paese che non fosse inscrivibile in questa strategia. Strategia indubbiamente suicida sotto il profilo politico sino a far venir meno perfino sotto il profilo logico e culturale, la necessità dell’esistenza di un partito comunista in Italia. Dopo la sua morte, Natta che gli successe alla segreteria, tentò di riparare in qualche modo senza riuscirvi, perché il danno ormai era fatto ed era irreversibile. Del resto c’era un garante, un burattinaio che tirava le fila di tuta la politica del Pci tra i dirigenti di allora che, rispondeva al nome di Giorgio Napolitano. Infatti fu in quel periodo che le leve reali del potere nel partito confluirono nelle mani dei “colonnelli” i vari Veltroni, D’Alema, Occhetto, Fassino e via discorrendo, che resero esplicito quel che era insito nella politica di Berlinguer, ossia la cassazione de Pci dal panorama politico italiano e internazionale. Dopo Berlinguer, in Italia non fu più possibile neppure ipotizzare utopisticamente la possibilità di uno sviluppo storico ulteriore in cui l’economia e i rapporti sociali fossero improntati ad una diversa visione del mondo. In realtà agli equilibri sociali è funzionale il fatto che una parte della popolazione possa credere in un mondo migliore, sia pure come mera ipotesi, come compensazione psicologica, che col venir meno della ipotesi del socialismo, sia pure come luogo utopico o comunque lo si volesse intendere, sembra paradossale ma è un fatto di stabilità, mentre il venir meno di tutto ciò ha lasciato spazi incontrastati alle destre che paradossalmente, come idea di futuro hanno riproposto il mantra della rivoluzione liberale, quasi che in Italia ci sia mai stato davvero il socialismo. Così ora risulta conservatore chi sostiene i diritti del mondo del lavoro, e innovatore chi sostiene il pareggio di bilancio dello Stato come valore da mettere in costituzione e i lavoratori non più come persone ma come mere appendici dei processi produttivi. Con Berlinguer ebbe inizio la deriva politica che ha portato a tutto questo, salvo poi a diventare icona di quella sinistra che non c’è, ma tant’è siamo in Italia.