Recentemente
è uscito un film di Veltroni su Enrico Berlinguer, pare sia un documentario, e
che stia avendo successo nelle sale. Di sicuro non l’ho visto né, come altri
compagni, mi propongo di vederlo. Dirò di più; su Berlinguer è stato scritto
molto, è stato girato un altro film prima di questo, ed io non ho seguito nulla
di tutto ciò, e le conclusioni cui sono giunto sulla sua politica le ho
maturate per aver vissuto attivamente la vita del PCI dall’1980 sino alla fine.
Mi includevano perfino nel servizio d’ordine che la federazione del partito di
Bari dedicava a tutti i segretari generali, compreso Berlinguer, ovviamente,
ogni volta che veniva in città, prevalentemente in occasione di comizi
conclusivi di campagne elettorali. Comunque i servizi d’ordine sono stati parte
caratterizzante del mio impegno politico di sempre. Dirò, sapendo di andare
assolutamente controcorrente, che i suoi discorsi politici non mi hanno mai convinto,
al contrario, mi stupisce e continua a stupirmi l’accoglienza che hanno
soprattutto “a sinistra”. E lo dico ora
tanto più che mi pare in corso una sua “santificazione” cui concorre tutto, i
ricordi nostalgici di tanti compagni, il riguardo nei sui confronti di
personaggi come Benigni, insomma un tam-tam che corre anche su Fb, oltra ai film
e le pubblicazioni di cui ho già detto. Tale consenso mi pare stia diventando
perfino trasversale, sotto il profilo politico. Insomma temo che Enrico
Berlinguer stia uscendo dalla Storia, e stia entrando nel mito. Ora in estrema
sintesi, e per grandi titoli, i discorsi
politici che hanno reso famoso Berlinguer, ed è il motivo per cui se ne parla
riguardano essenzialmente: 1) Il compromesso storico; 2) il discorso sulla fine della
forza propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre del 1917 i Russia con
conseguente elogio della Nato con cui ha definito il Patto Atlantico: «uno scudo utile
per la costruzione del socialismo nella libertà, un motivo di stabilità sul
piano geopolitico ed un fattore di sicurezza per l'Italia» (intervista
rilasciata a Giampaolo Pansa per il Corriere della Sera, il 15 giugno 1976. 3) Il discorso
sulla questione morale. Ad occhio questi sono gli argomenti che
maggiormente risaltano, sotto il profilo politico, perché c’è anche un profilo
sentimentale che coinvolse anche me al tempo, ossia le circostanze della sua
morte, a seguito di un ictus cerebrale che lo colse sul palco di un comizio a
Padova il 7giugno 1984. Che fosse una persona dedita al suo lavoro, ben oltre i
suoi interessi personali è fatto vero, e che ciò contribuisca, mio malgrado, a
mitizzarlo non ne fa certamente una falsità. Dopo di che pochi ricordano, o
così a me sembra, che fu anche il promotore del referendum sull’abolizione
della normativa che toglieva dalla busta paga dei lavoratori dipendenti, la
famosa scala mobile, ossia la copertura parziale in automatico, dell’aumento
del costo della vita. Il referendum si celebrò nel giugno 1985 un anno dopo la
sua morte, con esito negativo, perché gli elettori, a riprova della loro
“maneggevolezza” confermarono in maggioranza l’abrogazione di questo
intelligente istituto, che andava, a mio parere, ulteriormente perfezionato.
Ora, e qui apro una parentesi, nessuno ricorda più le mirabolanti prospettive
in fatto di occupazione e sviluppo economico vaticinate da Craxi e dal suo
governo, e dai sostenitori dell’abolizione della scala mobile sindacalisti
compresi, i quali sostenevano tra l’altro, udite, udite, che il meccanismo
dell’automazione toglieva spazio alla contrattazione. Sostenevano proprio
questo senza che nessuno a sinistra gli venisse spontaneo osservare che la
contrattazione non era il luogo del riconoscimento del ruolo del sindacato
autoreferenziale, ma il luogo in cui era possibile ottenere aumenti reali della
retribuzione. Con questa vicenda si determinava una politica sindacale per cui
i salari potevano solo aspirare alla stabilità, non ad aumenti reali. In
concreto poi sappiamo com’è finita. Da allora ad oggi i salari reali in Italia
sono scesi in picchiata, al livello del “terzo mondo” di una volta, e tutti a
dire che il costo del lavoro è alto, solo perché altrove ce ne son ancora di
più bassi. Insomma stiamo allo schiavismo tendenziale, con punte di schiavismo
autentico soprattutto in agricoltura, senza alcun beneficio per l'economia
generale del Paese. Devo aggiungere pur
avendo promosso la raccolta delle firme per la difesa della scala mobile il
PCI, segretario Natta, ad onor del vero, aveva di fatto esentato la CGIL dal
sostenere la battaglia recitando la farsa dell’autonomia del sindacato dal
partito, mentre chi ha vissuto dall’interno di quella fase sa bene che il percorso
carrieristico dei dirigenti, - che formavano una casta chiusissima,
autoreferenziale, e che di propagava solo e soltanto per cooptazione, essendo i
congressi e quant’altro, vuote liturgie sicuramente prive di senso democratico
- era assolutamente trasversale tra
partito e sindacato e Lega delle Cooperative. In definitiva un dirigente di partito
all’uopo diventava indifferentemente dirigente del sindacato o della Lega e poi
tornava al partito in vista, solitamente di qualche seggio nelle istituzioni ai
vari livelli, e di conseguenza, le tre organizzazioni dovevano ritenersi un
tutt’uno, all’epoca. Chiudo la parentesi sulla scala mobile. Come la faccenda
della scala mobile pare a me che tutto fosse un coacervo di contraddizioni per
me inaccettabile da chiunque voglia dirsi “di sinistra” a qualsiasi titolo,
figuriamo poi se parliamo del segretario del Partito Comunista Italiano.
Ricomincio, per tornare a Berlinguer, dal discorso sulla fine della “spinta
propulsiva” della rivoluzione sovietica, che credo sia la chiave di volta per
comprendere tutto il resto. In realtà la
crisi dell’Unione Sovietica era nota e si prestava a due opposte letture: la
prima tendente a fare dell’erba un fascio di tutta la storia sovietica come se
Lenin e Krusciov, per non parlare degli squallidi personaggi che seguirono
nella carica di segretario generale del PCUS, tanto per dire, fossero accumulabili in uno
stesso giudizio; l’altra di segno opposto, che rilevava appunto la
contraddizione tra i principi del socialismo e la loro attuazione concreta,
cose che fece appunto il Partito Comunista Cinese. Berlinguer invece scelse “la
terza via” ora attribuita a Tony Blair ma, se ben ricordo fu proprio Berlinguer
a usare per la prima questa espressione, oppure addirittura Togliatti quando
parlò di riforme di struttura, ora non ricordo bene e francamente non mi va
neppure di documentarmi. Di fatto Berlinguer scelse la Nato come via al
socialismo. Trovo strabiliante che nessuno colga l’enormità della
contraddizione, il non senso di questa posizione. Questo è avvenuto in Italia
che è davvero uno strano Paese. La Nato è notoriamente una estensione dell’esercito
Usa verso l’Atlantico del nord, come recita l’acronimo - North Atlantic
Treaty Organization - i quali
Usa attuarono il colpo di Stato in Cile, e questo sarebbe, lo stesso evento che
portò Berlinguer a teorizzare il compromesso storico. Quindi da un lato temeva
la disinvoltura con cui gli Stati Uniti intervenivano negli stati indipendenti
e dall’altro definiva la Nato come dicevo: «uno scudo utile per la costruzione del socialismo nella
libertà, un motivo di stabilità sul piano geopolitico ed un fattore di
sicurezza per l'Italia». Ecco io parlerei di paradossi esistenziali non di
disegno politico. Ma anche in Grecia ci fu un colpo di stato
made in Usa, ed in Italia ci furono stragi di massa verosimilmente attribuibili
ai servizi segreti Usa, essendo quelli italiani, in modo conclamato, una
appendice di quelli statunitensi. A questo proposito, di recente si è tornato a
parlare sulla stampa della vicenda Moro e dei ruolo dei servizi segreti. Che
sia chiaro che la mano dei servizi segreti nel rapimento Moro è stata
intravista da una serie di autori che hanno pubblicato opere ben documentate a riguardo
a partire da Sciascia che scrisse “L’affaire
Moro” a ridosso degli eventi essendo nella commissione d’indagine del
parlamento italiano sul caso Moro. Recentemente, dicevo su diversi giornali si
è tornato a parlare di questo caso per una lettera di un poliziotto che
trattava della moto Honda con a bordo due agenti del servizio segreto italiano
agli ordini del colonnello Guglielmi. Voglio riportare, estraponendola di
proposito dal contesto una parte breve e assai significativa di un intervista
da “Il Fatto Quotidiano” del
26.3.2014: <<L’AmeriKano di Cossiga: “In via Fani c’era una ronda dei
Servizi” >>. Poi nell’interno a pag. 16 un’intervista telefonica di Marco
Dolcetta a tale Steve Pieczenik in cui costui afferma “Mi dispiace che sia dovuto morire ma,
in realtà in termini di strategia, la sua morte è stata uno degli elementi
chiave per la strategia adottata. Sono uno psichiatra laureato ad Harvard,
poi chiamato da Henry Kissinger a ricoprire la carica di assistente alla
Segreteria di Stato per dare vita a un nuovo organo statale, un Dipartimento
per il controllo delle Crisi Internazionali e per il controterrorismo.” Quindi
Pieczenik ritine che “in termini di strategia, la sua morte è stata uno degli elementi chiave
per la strategia adottata”. Sono
parole che si commentano da sole senza per questo voler attribuire al dott.
Pieczenik nient’altro che una constatazione derivante da una analisi che
condivido appieno, ossia che la morte di Moro era l’esito obbligato insito
nella strategia di chi ha progettato e diretto, sotto gli occhi attenti degli
uomini dei servizi segreti a bordo di una Honda e dello stesso colonnello
Guglielmi, verosimilmente, il rapimento , convinto che nei giorni della lunga
prigionia si sia giocata la partita definitiva che verosimilmente vedeva diviso in due il “partito del golpe e
del rapimento” essendo convinto che gli ambienti della Dc non erano affatto
estranei al rapimento, e che deve essere stato motivo di frizione al loro
interno la decisione di ucciderlo o meno. Ma come dice Pieczenik, al servizio
di Kissinger, “la sua morte è stata uno degli elementi chiave per la strategia adotta”. Il che vuol dire tradotto in
parole semplici, che date le premesse, in funzione degli obiettivi che si
volevano raggiungere col rapimento, Moro non poteva che essere ucciso,
altrimenti la sopravvivenza dello sfortunato leader della DC avrebbe
compromesso il tutto, rendendo vano, anzi controproducente, il rapimento
medesimo. Quindi Berlinguer che sicuramente avallò l’idea che il delitto Moro
era finalizzato a scongiurare il nascente governo DC-PCI aveva la prova provata
che in nessun modo, nei paesi di “sfera d’influenza” Usa i comunisti potevano
andare al governo. Un motivo in più, secondo logica, di rivedere quell’assurda
posizione sulla Nato che ho richiamato prima. La DC, infine, nel periodo della prigionia di
Moro, sostenendo la impossibilità della cosiddetta “trattativa” con le
sedicenti Br, per motivi di principio, affermava evidentemente il falso atteso
che quel partito, ad esclusione di questioni legati alla fede cattolica e agli
interessi del Vaticano, ispirava la sua azione politica ad un pragmatismo
estremo che mal si conciliava con la rigidità inconsueta con cui affrontò la
questione della trattativa con le sedicenti Br su Moro. E questo a partire da
due considerazioni: la prima è che a politici navigati non poteva non venire
neppure il sospetto che altri si nascondessero dietro la sigla delle Br, e che
pertanto doveva risultare prioritario risolvere il dubbio; la seconda è che
anche sotto il profilo della fede cattolica, il valore della vita umana si
vuole sia preminente su ogni calcolo di tipo politico e istituzionale. Non a caso
il Vaticano fu molto possibilista a riguardo e non a caso di lì a poco, quando
le sedicenti Br rapirono l’assessore regionale alla Campania, Ciro Cirillo per
la cui liberazione la DC largheggiò oltre misura, tanto le Br centravano poco
in un caso e nell’altro, solo che nel caso di Cirillo, verosimilmente, centrava
più la camorra che i servizi segreti; del resto i confini tra queste
organizzazioni non sono ben tracciati. In tutto questo Berlinguer schierò
rigidamente il Pci sulle posizioni ufficiali della DC coprendone di fatto le
contraddizioni interne, con evidente cinismo circa la sorte del leader
democristiano. Ora per me è evidente che
nel quadro politico così tratteggiato, anche il discorso sulla “questione
morale” così apprezzato ancora oggi fu depistante. Con quel discorso, di fatto
si allargava sfumandolo all’infinito, la medesima questione morale dal momento
che non faceva i nomi responsabili di quel sistema di potere tanto
drammaticamente imperniato sulla corruttela atteso che essi notoriamente erano
all’interno della DC più il PSI. A costoro inoltre, perfino moralmente andava
chiesto conto della vicenda di Aldo Moro. Ma Berlinguer non fece nulla di tutto
ciò, al contrario tutto il suo operato in modo conseguente, è leggibile solo e
soltanto se lo si inquadra in un disegno di sportare il Pci su posizioni di
estrema subalternità alla Dc, sino al punto da chiudere qualsiasi spazio
politico nel paese che non fosse inscrivibile in questa strategia. Strategia
indubbiamente suicida sotto il profilo politico sino a far venir meno perfino
sotto il profilo logico e culturale, la necessità dell’esistenza di un partito
comunista in Italia. Dopo la sua morte, Natta che gli successe alla segreteria,
tentò di riparare in qualche modo senza riuscirvi, perché il danno ormai era
fatto ed era irreversibile. Del resto c’era un garante, un burattinaio che
tirava le fila di tuta la politica del Pci tra i dirigenti di allora che,
rispondeva al nome di Giorgio Napolitano. Infatti fu in quel periodo che le
leve reali del potere nel partito confluirono nelle mani dei “colonnelli” i
vari Veltroni, D’Alema, Occhetto, Fassino e via discorrendo, che resero
esplicito quel che era insito nella politica di Berlinguer, ossia la cassazione
de Pci dal panorama politico italiano e internazionale. Dopo Berlinguer, in
Italia non fu più possibile neppure ipotizzare utopisticamente la possibilità
di uno sviluppo storico ulteriore in cui l’economia e i rapporti sociali
fossero improntati ad una diversa visione del mondo. In realtà agli equilibri
sociali è funzionale il fatto che una parte della popolazione possa credere in
un mondo migliore, sia pure come mera ipotesi, come compensazione psicologica,
che col venir meno della ipotesi del socialismo, sia pure come luogo utopico o
comunque lo si volesse intendere, sembra paradossale ma è un fatto di
stabilità, mentre il venir meno di tutto ciò ha lasciato spazi incontrastati
alle destre che paradossalmente, come idea di futuro hanno riproposto il mantra
della rivoluzione liberale, quasi che in Italia ci sia mai stato davvero il
socialismo. Così ora risulta conservatore chi sostiene i diritti del mondo del lavoro,
e innovatore chi sostiene il pareggio di bilancio dello Stato come valore da
mettere in costituzione e i lavoratori non più come persone ma come mere appendici
dei processi produttivi. Con Berlinguer ebbe inizio la deriva politica che ha portato
a tutto questo, salvo poi a diventare icona di quella sinistra che non c’è, ma
tant’è siamo in Italia.