venerdì 21 aprile 2017

Il 25 Aprile. Riflessioni ulteriori



Sono stato, in gioventù, di quella scuola la cui appartenenza implicava anch’essa una liturgia di feste “sacre”. Tali feste erano sostanzialmente due: 25 aprile e 1° maggio. Siccome da ragazzino e da adolescente ho militato attivamente in Azione Cattolica, ho vissuto, all’interno di quel marasma che fu il ’68 una conversione radicale, per cui, in fatto di liturgie procedetti ad una sorta di sostituzione in quanto a collocazione mentale tra le due categorie di feste; quelle religiose, che sia chiaro, tornavano sempre utili per alleggerire periodi di lavoro, anche se ho avuto esperienze in cui ho lavorato anche la notte di Natale e proprio alle dipendenze di un ente di ispirazione cattolica quale era l’Enaip. In ogni caso non ho mai, nell’età adulta, subito passivamente imposizioni ideali, per cui ho sempre cercato di approfondire il significato di queste feste. Come in un risveglio improvviso, grazie anche ai fatti poco edificanti di cui ero testimone nel mondo delle parrocchie, ho percepito per intero la stupidità nel credere ai miti della religione cattolica quali la credenza in un Gesù figlio di Dio e nato da una vergine e poi morto e risorto e così via. M’è parso con violenza quanto fosse insensato, (ma si badi bene non stupido) credere a queste sciocchezze senza senso in cui, privatamente, non crede neppure tantissima parte del clero o dei cattolici cd. praticanti e cui, sono convinto, non credono neppure i papi, visto che per esserlo, devono gestire un potere enorme esercitato con ogni mezzo, e questo comporta un cinismo e una spregiudicatezza, se non di peggio, incompatibili con l’ingenuità sottostante le credenze di cui sopra. Insomma ritengo che sia la storia della chiesa cattolica ad offrire gli argomenti più incontrovertibili sulla inconsistenza delle sue credenze. Così in tarda età, ho sottoposto a vaglio critico anche le ricorrenze laiche. Ora il 1° maggio ha una storia incontrovertibile, tant’è che nessuno la contesta, ed ha un significato profondo e irriducibile, perché il rapporto tra umanità e lavoro è un rapporto inscindibile, e le condizioni del lavoro costituiscono un tracciato preciso dei progressi dell’umanità. Oggi sono in atto tentativi di ridurre a schiavitù di tipo postmoderno i prestatori d’opera e questo ha riflessi negativi su tutta la popolazione ad esclusione ovviamente, di una ristretta cerchia di privilegiati. Costoro allargano a dismisura il loro potere fino a rendere progressivamente impossibile la vita materiale ad una parte crescente della popolazione, per non parlare della loro capacità di svuotare la democrazia e saturare la politica di privilegi crescenti, grazie ai quali riescono a svuotare di significato sia le elezioni politiche che il sistema giudiziario, infarcito di cavilli tali da rendere incondannabili lor signori qualunque cosa facciano, che beninteso deve essere provato adeguatamente in un “giusto processo” salvo a rivendicare la pena di morte inflitta privatamente senza alcuna formalità giuridica ai ladruncoli da quattro soldi.  Il 25 Aprile invece si presta a ragionamenti diversi. Che la ricorrenza sia assai importante e non sminuibile in nessun modo mi pare certo. Mi sono però cresciute nel tempo perplessità per il significato politico che gli viene attribuito. Insomma ritengo sia una ricorrenza importante sul piano storico ma non una festa. La festa dà l’idea di una ricorrenza chiusa in sé, come se non ci fosse un seguito in quella storia. Ma non solo c’è un seguito, c’è pure una riflessione importante sulla portata storica di quell’avvenimento. Insomma una vittoria completa e definitiva sul nazifascismo non c’è mai stata. La continuità negli organismi dello Stato sia italiano che tedesco del potere di quei funzionari attivi nei regimi precedenti, soprattutto nel campo militare e dei servizi segreti. E questo ha avuto un seguito politico. Nel dopoguerra furono gli operai comunisti e partigiani ad essere depurati dal lavoro nelle grandi industrie, e poi via via sino ad arrivare ai giorni nostri. Oggi si ripropongono in grande le stesse politiche degli anni trenta, comprensivi dei crescenti pericoli di guerra atomica e totale, perché sul piano delle armi convenzionali siamo già in guerra da tempo, e con un intreccio ormai inestricabile tra guerra e politica. Comunque sul piano politico siamo al ricalco quasi pedissequo delle politiche naziste. Il ruolo che negli anni trenta in Germania svolsero gli “ebrei” oggi lo svolgono gli immigrati “clandestini” per norme che li trascendono completamente, e il gli islamici, che se “radicalizzati” sono sicuramente terroristi. Ovviamente il ruolo delle religioni col terrorismo è assai complesso e delicato ma è sicuramente strumentale. Tutti hanno usato il terrorismo col pretesto della fede. Lo hanno fatto i cattolici, gli “ebrei” popolo di dio che per diritto appunto divino devono cacciare i palestinesi dalle loro terre, e data la superiorità militare concessa dalle grandi potenze compiono massacri inenarrabili sui palestinesi. Se non che quest’anno, per la prima volta si noti bene, gli israeliti romani pongono, come condizione per partecipare al corteo dell’ Anpi del 25 aprile la condizione che non vi partecipino i palestinesi. Ora gli “ebri” rivendicano persino l’esclusiva sull’antifascismo. Il prof. Umberto (non Paolo, presidente del consiglio in carica) Gentiloni, che sicuramente ha un passato politico di “sinistra” ed è docente di storia moderna, ha scritto un art. su “La Repubblica” del 21 Aprile che giustifica il gesto con l’episodio del 1941 in cui    Haj Amin al Husseini Mufti di Gerusalemme incontra Hitler e gli manifesta apprezzamento per la sua politica. E tuttavia duole dover essere io ad obiettare a questa tesi con parole ben più prestigiose che dicono così, (con riferimento alla situazione in Germania nei primi anni ’40 compreso l’episodio ripreso dall’art. di Gentiloni): “Ma la verità vera era che sia sul piano locale che su quello internazionale c’erano state comunità ebraiche, partiti ebraici, organizzazioni assistenziali. Ovunque c’erano ebrei, c’erano stati capi ebraici riconosciuti, e questi capi, quasi senza eccezioni, avevano collaborato con i nazisti,” da Hannah Arendt,. La banalità del male: Eichmann a Gerusalemme (Italian Edition) (posizioni nel Kindle 2073-2075). Feltrinelli Editore. Ora servirebbe chiarire perché solo quest’anno si fa ricorso a tale episodio. Ora sto rileggendo appunto “La banalità del male” opera che secondo me torna di grande attualità, proprio perché rievoca come negli anni del nazismo il carattere del male assoluto era così diffuso da non essere percepibile per nessuna forma di contrasto, e perciò stesso definibile come “banale”. A rifletterci seriamente occorre rilevare come questa situazione si stia riproponendo. Per gli immigrati non c’è ancora una “soluzione finale” attiva ma ce n’è una passiva, che consente agli immigrati di morire a migliaia nel mediterraneo. Se poi la traversata per caso si conclude felicemente ci sono campi di concentramento (per carità si chiamano diversamente ma la sostanza è uguale) in quanto ritenuti potenziali “terroristi” ma soprattutto “invasori”, dimenticando quando rendono dal punto di vista economico. Intanto c’è chi lavora alacremente perché la situazione internazionale precipiti per giustificare poi ogni crudeltà sui malcapitati, ma noi di tutto questo male percepiamo poco, perché tanto tocca agli altri, e pertanto anche per noi diventa “banale”. Questi sono i nodi che dovrebbero essere sciolti sul significato del 25 aprile. Altrimenti è vuota retorica.