La vicenda di
Heidegger è, dal mio punto di vista, assai sintomatica della assoluta mancanza
di idee di sinistra, anche in quella parte di persone che impegnate
politicamente si definiscono di sinistra. Infatti Heidegger è un nazista
conclamato e la più parte degli intellettuali “di sinistra” non lo ha mai
capito oppure lo ha esentato comunque dal conseguente stigma per via delle sue
grandi capacità intellettuali. La questione sarebbe certamente delicata se non
fosse per il fatto che le sue teorie sono organicamente naziste, e sul piano
della storia della filosofia in generale il suo posto, dal mio punto di vista è
tutto da rivedere, perché in fine il suo pensiero risulta privo di effettiva
originalità e spessore teoretico, e che la sua “fama” è dovuta sostanzialmente
al suo linguaggio, questo sì davvero originale, ma frutto di un immane
esercizio e la sua capacità di ridefinire con altre parole, ciò che prima
veniva definito più semplicemente. Dal punto di vista dei contenuti, invece,
devo, per parlarne, aprire una parentesi filosofica.
Condivido l’orientamento di quei filosofi contemporanei che collocano Heidegger
all’origine del pensiero postmoderno, associato, in alcuni autori a Nietzsche.
Non condivido questa associazione ma concordo con quanti (Fusaro ed altri)
dicono di lui, per illustrane il pensiero, ossia che pone l’uomo in condizioni
di estrema passività, poiché tutto è dato “in natura”. Aggiungo che il suo lavoro è tutto a ritroso, con
gli occhi rivolti al passato. Sembrerebbe tutto ciò contrasti con l’idea che
egli sia il pensatore che ha dato origine al pensiero postmoderno che sembra un
pensiero tutto
proiettato verso il futuro ma si tratta, a parer mio, di una contraddizione
apparente. Intanto il postmoderno si limita a “reclamizzare” il futuro e la
“novità”, in realtà è tutto schiacciato su un presente che non ha più futuro,
se non in una sostanziale riproposizione del passato magari rinominato, ossia
con i contenuti tipici di un passato remoto, ma chiamati diversamente e
spacciati per il nuovo che avanza. Il pensiero postmoderno è, in ultima
analisi, pura réclame, fuori dalla
storia in un certo senso, come concezione generale del mondo, senza più legami
né con il passato né con il futuro, è una moda che passerà, sia pure con una
scia di devastazioni pure già in atto. Chiudo la parentesi filosofica. Sotto
il profilo politico invece credo che si debba a lui il linguaggio comunemente
definito come politichese, esibito abbondantemente dai quadri del disciolto
PCI, (quindi da sinistra) per rendere incomprensibili i loro discorsi nelle
occasioni “ufficiali” a partire dagli anni ottanta del secolo scorso. Era lo
strumento per rendere impraticabile il dibattito interno col risultato di
fossilizzare l’intera organizzazione politica che da lì a poco si deve
autosciogliere per il semplice venir meno di ogni ragion d’essere. E’ stato
allora che in Italia almeno, si è aperto il dibattito su cosa si dovesse
intendere per “sinistra” o per “destra”; dibattito ora nobile ora scadente e
strumentale, ma per spiegarmi meglio è in questa fase che si costituisce il
nucleo portante di questa riflessione approfittando del vuoto politico lasciato
a sinistra dall’opera della segreteria Berlinguer di cui ho già detto su questo
blog, la cui vicenda è precisamente la ricaduta politica della vicenda legata
al pensiero di Martin Heidegger, della confusione esistente nella cultura e
nella politica italiana per cui Berlinguer viene ancora considerato di
sinistra. Tuttavia la moda di rinominare fenomeni e concetti sempre esistiti
non è solo racchiudibile nelle vicende politiche del vecchio P.C.I. ma si è
esteso a tutta la società. In quel momento è iniziato il percorso del “partito
nazione” che si attribuisce a Renzi. Si badi bene che questa operazione non a
caso parte da quella organizzazione che si riteneva fosse la più grande
organizzazione “di sinistra” in Europa. L’obiettivo della rivoluzione del linguaggio,
un portato essenziale del postmoderno, consiste nel far percepire ai più, come
fenomeni e fatti “naturali” e quindi ineludibili, concetti e fatti che sono e
rimangono il portato di situazioni storiche relative, spesso opzioni puramente
soggettive corrispondenti a precisi interessi di parte, che ora vengono
ammantate da “verità” generali e assolute. A proposito di lavoro oggi si
definisce “rigidità” rapporti imperniati su un determinate garanzie
contrattuali che tutelano relativamente il lavoro subordinato, contrapposto a
“flessibilità” un rapporto di lavoro decisamente riduttivo delle tutele
delineatesi in Italia negli anni ’70. Queste situazioni con i concetti
originali di rigidità e flessibilità, a ben vedere non hanno nulla a che
spartire, salvo ad assumere come universale il punto di vista padronale, si
sarebbe detto una volta, come se con il famigerato e orami ex art. 18
dell’ormai superato statuto dei lavoratori non fosse possibile licenziare o
cambiare lavoro. Cambia solo il margine di discrezionalità dei cd. “datori di
lavoro” che nessuno chiama “percettori di profitto” sebbene questa definizione
rifletterebbe meglio i dati di realtà atteso che, se si vogliono vedere le cose
come stanno, bisognerebbe prendere atto che lor signori distruggono lavoro,
ambiente, salute, senza contropartita alcuna e che oggi il profitto, sul piano
generale, tralasciando la sudatissima piccolissima o piccola impresa che
comunque da sola non regge né mai potrebbe, l’economia di un intero paese,
altro non è che appropriazione di risorse pubbliche. La definizione di “datori”
è semplicemente ridicola. Comunque i danni del postmoderno non si limitano al
linguaggio proprio del politichese o del diritto del lavoro, ma abbraccia ormai
quasi tutto lo scibile umano. Ormai l’economia così come viene insegata nel
sistema accademico internazionale è intriso da contenuti di livello tanto
infimo quanto mistificatorio. Un esempio per tutti, credo sia “Questa volta e diverso” di Carmen M.
Reinhart e Kenneth S. Rogoff (Il
Saggiatore 2010) Raffrontando dati economici assolutamente eterogenei,
provenienti da tutto il mondo lungo un arco lunghissimo di tempo cerca di
sostenere che il pareggio di bilancio degli stati è condizione essenziale per
lo sviluppo, ed è alla base della retorica dell’Unione Europea e dei suoi
assiomi iperliberisti. Poi, mi par di
capire, gli autori stessi hanno in qualche modo ritrattato attribuendo errori
di calcoli al lo programma di excel .
Al contrario Luciano Gallino racconta semplicemente la verità a riguardo dei
problemi dell’economia, ma non riscuote l’attenzione dovuta. Questa situazione
non è solo il frutto della pochezza degli intellettuali e di un sistema
mediatico da stato “totalitario” si sarebbe detto un tempo, ma il suo combinato
col sistema dittatoriale che ci governa di fatto, e col terrore sottostante. Le
teorie di questo genere contribuiscono a dare al termine “debito pubblico”, il
significato mistificante che ha. Tali teorie sono state utilizzate ancora oggi
per essere smentite senza ombra di dubbio dalla realtà di tutti i giorni ed in
modo particolarmente drammatico dalla crisi greca, che si detto tra parentesi
costituisce anche la clamorosa sconfessione della possibilità di una sinistra
“moderna” e di governo. Siriza in Grecia si è rivelato una bluff senza
precedenti, al punto di indire un referendum e poi nonostante l’esito favorevole,
disattenderlo in modo davvero spettacolare, col risultato di accumulare debiti
su debiti, mai più risarcibili alle condizioni imposte dalla Merkel per
interessi privati tedeschi, tant’è che pure il Fondo Monetario Internazionale
di Cristine La Gard si è chiamata fuori a lungo. La Germania della Merkel, sia
pure con il fondamentale aiuto Usa, col pretesto delle teorie sul pareggio di
bilancio ha capovolto gli esiti della II guerra mondiale e si erge vincitrice
su tutti i paesi d’Europa cui infligge danni economici del tutto paragonabili
agli esiti di un conflitto armato, ed esige pagamenti e tributi tipici dei
paesi conquistati al paese conquistatore. Le teorie del debito sono ovviamente
spazzatura, perché nella storia, le grandi potenze si sono indebitate senza mai
risarcire, e/o al contrario, si sono ingrassate prestando soldi ai paesi
deboli, al solo scopo di mantenerne la subalternità politica ed economica,
risiedendo in ciò il vero guadagno. La supremazia Usa dal dopoguerra agli anni
’90 si poggiava sostanzialmente su questo. Poi è successo quel che diceva Mao
ai suoi tempi, ossia che i reazionari sono stupidi, e fu così che i Reagan e i
Bush (padre e figlio) posero le premesse del crollo di egemonia cui assistiamo,
con la “delocalizzazione” e con il primato concesso all’economia basata sulla
finanza piuttosto che sulla produzione di merci. Gli Usa, per tornare a parlare
di debito pubblico, sono un fulgido esempio di come le grandi potenze di
indebitano senza preoccupazioni di sorta. Più vicino a noi, drammaticamente, la
Germania fonda la sua egemonia in Europa a partire dal fatto che non ha pagato
i suoi debiti. Riporto un brano di un art. di Luciano Gallino del 22.08.2013 su
“la Repubblica” “Ma soprattutto non ha pagato quasi nulla per restituire ai
paesi europei occupati tra il 1940 e il 1944 le ingenti risorse economiche che
la Germania nazista aveva prelevato a forza da essi. Lo stesso professor
Ritschl ha stimato, in un art. presentato nel 2012 alla 40° conferenza di
scienze economiche, che in moneta attuale codesto debito verso l’estero
ammonterebbe a 2,2 -2,3 trilioni di € equivalenti all’incirca a un anno intero
di Pil della Germania attuale. Avesse dovuto restituire anche soltanto un trilione
ai paesi spogliati dai nazisti, la nuova Germania avrebbe dovuto sborsare
decine di miliardi l’anno per parecchi decenni.” E
aggiungerei, la Grecia starebbe un po’ meglio. Questa è la realtà di enorme
portata politica che tranne pochi interventi, sono sistematicamente ignorati
dalla nostra c.d. “libera stampa”. Quindi la realtà è stata capovolta, e la
legge dominante è la legge del più forte, e le cd. “regole” valgono il tempo
che trovano. Il problema del debito ha costituito un pretesto per soggiogare i
paesi poveri, e, questa è la novità di questo momento storico, impoverire anche gli stati nel cuore dell’Occidente
che una volta si voleva sviluppato e coeso, mentre ora, per effetto di una
crisi economica superiore perfino agli esiti di una guerra combattuta, spacca
l’Occidente medesimo, e i paesi del mediterraneo sono destinati a contribuire
alla rinascita tedesca, che tenta di sottrarsi persino dalla subordinazione
agli Usa, con cui è praticamente in atto una guerra commerciale (vedi vicenda Volkswagen)
e perfino spionistica. Se questo è il
quadro della crisi dell’Occidente, va colto ancora l’aspetto più
raccapricciante, che consiste nella totale assenza di modelli alternativi di
organizzazione socio economica. Il modello dominante che accomuna tutti gli
attori principali della crisi odierna implicano uno “sviluppo” diseguale, con
la ossificazione delle differenze sociali alla stregua di quanto succedeva nel
medioevo. In pratica si rinuncia di
fatto al concetto stesso di “sviluppo”. Tutto ciò grazie agli strumenti della
corruttela e all’inconsistenza del personale politico europeo e non solo,
selezionato in modo mirato in grado di ricorrere al terrorismo più cinico e
crudele oltre che alla prevaricazione militare. A differenza dei regimi degli
anni trenta, e segnatamente del fascismo italiano, oggi il consenso politico
non seve più. Mussolini teneva al consenso, comunque ottenuto, più di quanto
non ci tenga Renzi, che pure spende parecchio per crearselo a posteriori avendo raggiunto posizioni
di potere con l’intrigo giocato in segrete stanze e col favore dei media. Egli
sa che la sua posizione è garantita da meccanismi che prescindono totalmente da
esso, tant’è che sotto questo profilo non si mette neppure in gioco, e il suo
potere si reggerebbe in apparenza, solo e unicamente su “primarie” del Pd, in
cui sotto gli occhi di tutti e con la copertura di tutti, compresi i “perdenti”
hanno votato per sancire quello che era già sancito. Se serve ancora una prova
della manovrabilità degli esiti elettorali che risultano validi solo se
conformi alle strutture di comando reale di tutto l’Occidente, composto da
persone che neppure si cimentano con alcun confronto elettorale tanto sono
inutili. Questa situazione è anche il
prodotto, mi ripeto, di una storia cosparsa da scie di sangue, spesso ai danni,
e questo la qualità nuova e postmoderna del terrorismo, di persone inermi e
inconsapevoli, che casualmente si trovavano in una certa banca in un certo
giorno, o su dei treni, meglio ancora se in piazze politicamente impegnate come
a Brescia del 1974 a Piazza della Loggia, o in luoghi apparentemente neutri,
impossibilitati a far presagire alcun tipo di pericolo. Il messaggio sublimale
di terrore che emana dalle stragi della nostra storia è cosa viva e vera
operante ancora oggi su cui nessuno si sofferma, come se non esistesse, modello
copiato anche dalla Turchia recentemente. Altro tipo di terrore, più classico se
vogliamo, è quello degli omicidi o delle stragi mirate, da Moro ai giorni
nostri. Ora comunque anche la cronaca giudiziaria ci racconta di quanto sia
profondo l’intreccio tra politica e criminalità in Italia, sempre connessi con
le attività “illecite” dei “servizi segreti”. In Italia chi tratta materiale
scottante a riguardo è minacciato e taluni vivono sotto scorta, e pur si sa che
in fine la scorta serve a poco. La
libertà nostra è condizionata e ben recintata, e chi sgarra muore come è
toccato ad una serie lunga di nostri concittadini il cui ricordo è legato,
nella migliore delle ipotesi negli anniversari degli accadimenti, e nella
peggiore nel più assoluto dimenticatoio. Alle politiche personalmente, voto M5S
ma non credo abbia la risoluzione al problema. Il meglio per domani va
costruito pazientemente dall’oggi, mentre di un lavorio del genere non si
scorgono neppure le premesse. Sperare negli eventi, sotto il profilo politico è
pura follia. Il corso degli eventi si sviluppa su binari già ben costruiti;
possono cambiare gli attori che si susseguono ad un ritmo sempre più
incalzante, ma è già sperimentato che al peggio non c’è fine. Tutti si credeva
che dopo Berlusconi le cose sarebbero cambiate in meglio, ma così non è stato.
Quindi non è possibile dubitare ancora dell’esistenza di una “linea nera” che
ben radicata nelle nostre istituzioni attraversa i governi e tutte le stagioni
della politica. Voglio asserire con decisione che se fossimo uno stato libero
con annessa libera stampa, questi argomenti sarebbero occasione di dibatti e
approfondimenti in almeno una parte di quei talk show che tanto spesso parlano
del nulla o del possibile, intuibile retropensiero di personaggi assai poco
pensierosi quali Renzi, Salvini, Berlusconi, come argomento costante, e in via
transeunte, all’esaltazione di personaggi vari- e qui Berlusconi è ricompreso-
che indagati e accusati e perfino condannati nei primi gradi di giudizio di
fatti ripugnanti e perfino di omicidi vengono assolti dalla Corte di
Cassazione. Se si dovesse leggere la storia d’Italia degli ultimi sessant’anni
attraverso le sue sentenze questo organismo risulterebbe un paese quasi
paradisiaco, in cui gli unici incapaci sono magistrati e i componenti di
polizia giudiziaria. L’impunità garantita per quasi tutti i reati più gravi e sconvolgenti
è una costante della situazione italiana, a riprova della gravità della crisi
che ci attanaglia. Il terrore, costituisce una sorta di “convitato di pietra”
nello svolgimento della vita politica. Che questo terrore sia l’eredità di
quello nazifascista è cosa per me certa e il nesso che li congiunge è
rintracciabile con lo strumento dell’analisi storica. Ogni volta retoricamente
si grida alla sconfitta del terrorismo, nonostante mai si sia dato il
tempestivo e reale scoperchiamento delle trame e di chi le ordisce nella più
totale impunità. Il paradosso consiste nella constatazione per me ovvia, che il
presidio delle libertà democratiche, quelle certamente ristrette della prima
repubblica ma significativamente e ulteriormente ristrette nella cd seconda, è
stato imposto dalla semplice esistenza della vecchia Unione Sovietica. L’ho
detto e lo ribadisco, e qui, sia ben chiaro, le mie convinzioni non hanno base
ideologica, perché, non sono uno stalinista, ma a volte liberarsi dei veli ci
fa vedere meglio ciò che ci succede intorno. Non è possibile non rilevare che
vi sono certamente delle coincidenze e non sono affatto sicuro che siano prive
di un rapporto causa-effetto, ma il crollo dell’Urss è coinciso precisamente
con l’involuzione autoritaria nel nostro Paese, e in tutta l’Europa. Intanto va
detto che esso è frutto di un lavorio degli Usa che non hanno mai cessato di
complottare nella vecchia Unione Sovietica e di pari passo in Europa, perché il
totale controllo dell’Europa coincide con l’affossamento dell’Urss. Il lavorio
è stato lungo prevalentemente per linee interne e parallele. Sarà un caso ma il
“rapporto segreto” che Krusciov, allora segretario del Pcus, tenne in una
sessione segretissima, (che escludeva non solo i giornalisti ma anche i delegati
dei “partiti fratelli” quali Palmiro Togliatti per il Pci, Maurice Thorez per
il Partito Comunista francese ma anche dei partiti communisti al potere) il 24
Febbraio 1956 al 20° congresso del medesimo Pcus, e che verteva esplicitamente
sui “crimini di Stalin” fu reso noto per la prima volta al mondo da Harrison
Salisbury sul News York Times il 16 marzo dello stesso anno. ( Luciano Canfora,
1956 L’anno spartiacque, ed Sellerio 2008). Ora è del tutto lecito domandarsi
come avessero fatto gli americani ad avere il testo della relazione segreta di
Krusciov, prima di tutti gli altri partiti comunisti del mondo, pure presenti
al medesimo congresso. A riguardo il libro citato di Canfora, ricchissimo di
dati che credo incontrovertibili, giunge a conclusioni su cui mi permetto di
dissentire. Il problema non è di rimettere al centro di una riflessione del
2014 fatti che sembrano seppelliti dalla storia, semmai di rimarcare come la
storia non storia stessa non seppellisce nulla, al massimo scopre e riscopre.
La “destalinizzazione” in Urss è stata la premessa per il suo crollo definitivo
nel ’89. Quanto poco ideologico e molto economico fosse il problema lo
dimostra, sia pure a posteriori, dal problema che oggi la Russia di Putin
(mirabile esempio di “progresso” che si concretizza con un micidiale ritorno al
passato) ripropone, in termini ancora più cruenti di quanto non lo ponesse la
vecchia “guerra fredda”. Il tema della contrapposizione con la vecchia Urss,
anche quella “destalinizzata” e quindi in qualche misura addomesticata, aveva
contenuti definibili come problema del modello di sistema egemonico al livello
planetario. Bisognava cioè dimostrare al mondo che l’unico modello di
organizzazione sociale dovesse essere quello “made in Usa”. Solo che questa
volta non ci sono veli ideologici, in cambio la Russia di oggi non ha
conservato l’estensione territoriale né la potenza militare dei tempi andati,
per quanto, in tema di bilanciamento, gli Usa non hanno realizzato una chiara
supremazia militare, al contrario, si spettacolarizza una certa crisi
tecnologica se si mettono insieme alcuni fatti recenti, quali il fallimento
ripetuto di esperimenti spaziali Usa, (con il corrispettivo successo di
analoghi russi), e il fallimento del progetto degli aerei da combattimento F35,
sancito dal Pentagono medesimo. Ma la guerra non si fa solo con le armi perché
in Europa la guerra è ripresa con un mix di violenza militare come quello
manifestatosi nello smembramento della Jugoslavia, e ancor di più con l’euro.
Comunque, riducendo la questione alla sintesi estrema, è evidente che tra i
motivi per cui l’Urss doveva cadere quello economico era tra i più importanti,
perché quella esperienza dimostrava e dimostra ancora che una economia
programmata che punta a produrre merci in funzione del loro effettivo utilizzo,
nella misura del possibile, e con tutte le approssimazioni del caso, elimina la
più parte degli gli sprechi annessi alla “libera concorrenza”, per altro
bandita pure dalle economie liberali, la quale prevede una produzione di merci
tendenzialmente infinita e finalizzata alla accumulazione di ricchezza a
prescindere dalle necessità e opportunità di consumo, di modo che una parte assai consistente, di grandezza
variabile a seconda dei periodi, va sprecata proprio perché soccombenti nella
concorrenza per un verso, o per altro per la saturazione dei mercati relativi,
che inducono la produzione di nuove merci tecnologicamente sofisticate, ma
senza che incontrino un bisogno effettivo, al contrario, solo l’esito di
bisogni indotti che non concretizzano, a ben vedere nessun reale progresso
nella vita quotidiana dei c.d. “consumatori”. In tal modo si realizza uno
spreco di risorse forsennato, che si aggiunge al la tradizionale crisi di
sovrapproduzione. Si vuol negare il dato certo che a quest’ ultimo problema si
era trovato rimedio con la famigerata “programmazione”, il miracolo di cui
nessuno parla per cui l’Urss progredì
anche durante un conflitto mondiale tremendo
svoltosi per tanta parte sul proprio territorio, in misura e a ritmi ben
maggiori di quanto non riuscissero a fare gli Usa, che, si badi bene,
“giocavano fuori casa”, (per usare una metafora calcistica) sul piano delle
operazioni belliche e relative distruzioni, con tutti i vantaggi del caso.
Oggi, al tempo della crisi greca e non solo, qualcuno potrebbe ricordarsi che
vi sono strumenti di progresso reale del tutto opposti a quanto predicato e
praticato a tutte le latitudini. Non c'è economista che vi rifletta. Il cd. p
“pensiero unico” vieta simili riflessioni. I migliori e più di “sinistra” non
vanno oltre Keynes. Eppure ancora oggi la Russia risulta essere più progredita
dal punto di vista tecnologico e militare rispetto agli Usa, e nessun, mi
ripeto, fa caso che le premesse di questa superiorità furono poste negli anni
dal 1917 al 1950 e oltre, grazie a quella “ideologia” messa la bando in nome di
un pragmatismo che ci sta portando, di nuovo, sull’orlo di un catastrofico
conflitto mondiale.
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