Mentre va in
onda, in occasione delle elezioni del Presidente della Repubblica, il
disvelamento evidente del carattere di
interfaccia del del Pd rispetto agli interessi reali di Berlusconi
e non solo, con buona pace di tutti i suoi sostenitori, si avvicina il 25 aprile, ricorrenza della liberazione dal
fascismo nostrano e dall’ occupazione tedesca di memoria nazista e
hitleriana. Il
tragico e al tempo stesso farsesco
regime di Salò, credo, costituisca in assoluto, il peggior fenomeno
politico e sociale mai verificatosi su quel pur martoriato suolo che ancora
oggi si chiama Italia. Ma non solo questo succede, perché succede anche il
realizzarsi di una ulteriore tappa di quel golpe strisciante che in Italia ha
avuto il suo tragico inizio simbolico, per ciò che mi riguarda, il 9 maggio
1978 giorno dell’uccisione di Aldo Moro, creando una instabilità istituzionale mai
risoltasi. Infatti la rielezione di
Napolitano è una, l’ennesima perpetuata con questo singolare personaggio, violazione esplicita
della costituzione che recita al 1° comma dell’art. 85 della parte II, titolo II “ Il presidente della Repubblica è eletto per 7 anni”. Non c’è bisogno di costituzionalisti o di
esperti che argomentino sino a stravolgere la lettera e lo spirito di questo
articolo, basta una discreta conoscenza della lingua italiana, e neppure
eccelsa, perché l'articolo si riferisce ad una persona e non ad una carica, questa ipotizzabile come ciclica. Non è un caso che durante la cd prima repubblica così era interpretato questo articolo, anche perché, si argomentava, avendo il presidente un ruolo nello scioglimento delle camere potrebbe verificarsi il caso in cui un presidente in carica potesse in qualche modo procurarsi la rielezione, attribuendosi, in un genuino spirito antifascista, alla permanenza limitata delle singole persone nei luoghi del potere un evidente significato di democrazia in quanto si contrapponeva non a caso, al regime fascista, in cui il Re e il duce erano inamovibili. E’ sin troppo elementare
argomentare che nella costituzione il termine di sette anni è il massimo
consentito per la permanenza in carica di un presidente della repubblica diversamente sarebbe ipotizzabile un presidente della repubblica a vita con mandati rinnovabili ogni sette anni. Va da
sé che il problema non è solo formale, ma anche sostanziale, perché questa
rielezione costituisce un tassello importante verso l’edificazione, in salsa
italiana ovviamente, di un regime presidenzialista, già abbondantemente iniziato
nei fatti dallo stesso Napolitano, essendo questo il vero motivo della sua rielezione.
Sorvolo sull’evidenza del fatto che si è trattato di una manovra preordinata, perché,
tanto per dirne una, si sarebbe potuto insistere con la candidatura Marini, a voler mantenere il profilo delle "larghe intese". Ma ora
voglio ragionare di antifascismo, anche se il cambiamento di argomento sarà solo
formale. La retorica imperante durante la cd prima repubblica, intendeva l’antifascismo
come un presidio, oltre che come ricordo storico, contro la rinascenza del fascismo in camicia nera, con il fez e l’olio
di ricino. Non che il problema non fosse sussistente, perché perfino io, in gioventù mi sono adoperato nella misura delle mie possibilità perché non ci fosse un simile ritorno. La questione è che oltre il fascismo tradizionale vi è un la possibilità di un regime assonante con quello fascista, che mantenga la sostanziale tutela degli interessi economici e sociali, sia pure aggiornati ai tempi che viviamo, senza che ne riproduca i tratti più esteriori. Invece la retorica tradizionale esclude questa ipotesi, e all’ombra di questa retorica, si è conservato un apparato dello
stato sostanzialmente ereditato dal fascismo, con tutte le conseguenze del
caso. E tuttavia, almeno nella retorica delle dichiarazioni pubbliche e di
circostanza l’antifascismo era un punto fermo. Nella cd seconda repubblica
anche la retorica dell’antifascismo è in buona sostanza, tramontata. Berlusconi
non ha mai taciuto la sua ammirazione per Mussolini, e tanta parte del Pdl è
composta da persone che negli anni ’60 hanno partecipato attivamente ad attività squadristiche.
Tuttavia ciò che più mi ha amareggiato,
francamente, sono tutte le esibizioni istituzionali
da parte di personaggi che sulla carta dovevano essere ancorate al campo dell’antifascismo. Si è dovuto
ascoltare negli ultimi decenni, discorsi che mi suscitano repulsione, a partire da quello che più mi colpì, quello
che fu pronunciato nella seduta della Camera
del 9/5/1996, la prima della XIII legislatura quella che vide l’insediamento di
Luciano Violante alla presidenza, in cui egli stesso nel discorso d’insediamento,
ebbe a dire tra l’altro “Mi chiedo se l'Italia di oggi - e quindi noi tutti -
non debba cominciare a riflettere sui vinti di ieri; non perché avessero
ragione o perché bisogna sposare, per convenienze non ben decifrabili, una
sorta di inaccettabile parificazione tra le parti, bensì perché occorre
sforzarsi di capire, senza revisionismi falsificanti, i motivi per i quali
migliaia di ragazzi e soprattutto di ragazze, quando tutto era perduto, si
schierarono dalla parte di Salò e non dalla parte dei diritti e delle libertà.
Questo sforzo, a distanza di mezzo secolo, aiuterebbe a cogliere la complessità
del nostro paese, a costruire la liberazione come valore di tutti gli italiani,
a determinare i confini di un sistema politico nel quale ci si riconosce per il
semplice e fondamentale fatto di vivere in questo paese, di battersi per il suo
futuro, di amarlo, di volerlo più prospero e più sereno. Dopo, poi, all'interno
di quel sistema comunemente condiviso, potranno esservi tutte le legittime
distinzioni e contrapposizioni.”
Non è chiaro infatti che tipo di ulteriore riflessione debba farsi sui vinti di ieri, se si
esclude, come egli stesso esclude, sia pur
retoricamente quelle interpretazioni cui si potrebbe logicamente prestare
quell’espressione, se non che quei vinti di ieri non sono divenuti nel
frattempo, e ciò anche in virtù di un malinteso senso dell’antifascismo, i vincitori di oggi. Del resto il discorso di Violante è
volutamente e fortemente provocatorio, è una sorta di abiura, un rinnegare il
suo passato politico, e la storia della sua famiglia che del fascismo fu
vittima. Infatti si poteva limitare a richiamare le ragioni di chi negli
anni ’20 aderì al fascismo, ma sarebbe
stato troppo semplice e perfino scontato e privo di effetto e di radicalità
mediatica, e per questo l’antifascista Violante, che comunque deve la sua
carriera politica a quei militanti del PCI che antifascisti lo erano davvero,
senza di che quello stesso discorso avrebbe avuto un impatto inferiore. Tutto ciò a prescindere da quel “soprattutto
ragazze” quasi a voler nobilitare ignobilmente, al di fuori di qualsiasi
possibile riferimento storico, il fenomeno della Repubblica di Salò, con un
manto di femminismo. Comunque tornando
alla sostanza del discorso di Violante, la definizione “vinti di ieri” appare
un lapsus freudiano in senso stretto. Quel discorso infatti ha il sapore di una
resa dell’antifascismo di ieri, che di cui Violante è indiscutibilmente un
titolato rappresentante, agli eredi di quelli che ieri furono vinti, ma
che oggi sono diventati, a loro
volta, vincitori. Così l’antifascismo si
svuota definitivamente di contenuti e diventa il terreno politico e culturale dell’elaborazione
di un nuovo linguaggio in cui si
comunica l’avvenuta cessazione di ogni possibile contrasto radicale e reale politico
e culturale in Italia. Insomma non c’è più un possibile avversario politico, essendo del tutto risibile il riferimento a tali possibilità contenuto nel discorso di Violante.
Con questo discorso l'allora presidente della Camera certifica il consolidamento di quel ceto politico
che poi si chiamò giustamente “casta” corpo separato dal contesto sociale del
Paese, che pertanto rimane sostanzialmente privo di luogo politico e culturale
dove fosse possibile la legittima coltivazione dei suoi legittimi interessi generali. Non a caso il “nemico” anche sotto il profilo psicologico, oltre
che culturale e politico, diviene in questo tempo della politica, l’immigrato, il nero nel senso del colore
della pelle, lo zingaro, realizzandosi così la legittimazione dell’apparato ideologico
proprio del peggior fascismo. Che il discorso di Violante non sia stato
estemporaneo è cosa del tutto evidente, perché è assolutamente coerente con
tutte le scelte politiche e istituzionali perseguite dal gruppo dirigente del
centrosinistra. In questo senso, sempre rimanendo in abito di discorsi
istituzionali, ricorderò l’infausto discorso del presidente Napolitano, che
tenne il 10 febbraio 2007 . “ Da un certo numero di anni a questa parte si
sono intensificate le ricerche e le riflessioni degli storici sulle vicende cui
è dedicato il "Giorno del Ricordo" : e si deve certamente farne
tesoro per diffondere una memoria che ha già rischiato di esser cancellata, per
trasmetterla alle generazioni più giovani, nello spirito della stessa legge del
2004. Così, si è scritto, in uno sforzo di analisi più distaccata, che già
nello scatenarsi della prima ondata di cieca violenza in quelle terre,
nell'autunno del 1943, si intrecciarono "giustizialismo sommario e
tumultuoso, parossismo nazionalista, rivalse sociali e un disegno di
sradicamento" della presenza italiana da quella che era, e cessò di
essere, la Venezia Giulia. Vi fu dunque un moto di odio e di furia sanguinaria,
e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace
del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una "pulizia etnica". Ecco
qui il
discorso è esplicito, la falsificazione storica è netta, e così si racconta la storia che non fu. Infatti
nell’autunno del 1943 si badi bene, nel pieno del conflitto mondiale che ha
visto l’Italia in modo particolare, impegnata nell’aggressione alla Jugoslavia, con una ferocia che in nulla
cedeva a quella tedesca com’ è
documentato da letteratura storiografica non contestata per ciò che riguarda
episodi di crudeltà inaudita, i partigiani jugoslavi che insieme a quelli greci,erano impegnati nella caccia ai nazifascisti senza interventi, si badi bene, di truppe altrui sul loro territorio, diventano attuatori di un
disegno di pulizia etnica e di un disegno annessionistico slavo. Ora bisogna contestualizzare il discorso facendo caso alle date perché queste parole furono pronunciate da Napolitano nel
2007 mentre solo del 1999, otto anni prima ci furono i bombardamenti Nato con forte partecipazione
italiana, mentre, guarda caso, era in carica il governo D’Alema con l’appoggio
di Bertinotti e di Diliberto. Le cronache di quei bombardamenti raccontano di disastri e vittime civili oltre qualsiasi plausibile esigenza militare. In
questo contesto parlare di espansionismo
slavo costituì una provocazione grave tant’è che suscitò la
recriminazione e le proteste dell’allora presidente della Slovenia, che ovviamente lasciarono un segno quasi invisibile. Ora
la mia costante polemica, in questo blog, è con la ideologia del postmoderno da
un lato, e dall’altro, con la “sinistra che non c’è certo come sono che le due cose coincidono. Insomma
l’antifascismo non può ridursi alla riproposizione di foto storiche, cosa del
resto del tutto giusta e assolutamente necessaria, ma anche un attivo presidio contro
tutte le metamorfosi possibili del fascismo,
sotto il profilo della tutela dei medesimi interessi economici e sociali
ovviamente aggiornati ai tempi di oggi, e sotto questo profilo, indubbiamente l’antifascismo
ha fallito. Un altro equivoco imperante per la connotazione di un regime fascista o autoritario, è dato dalla misura della libertà di stampa e di espressione. In realtà non si tiene conto che il sistema della comunicazione postmoderna, ha aggirato l'ostacolo. Con il dispiegamento di mezzi enormi sostanzialmente autofinanziato, si è dispiegato un apparato pluralistico in apparenza, ma sostanzailmente propagandistico di ciò che non a caso vien percepito come "pensiero unico" anche se non sempre, coloro che ricorrono a questa espressione, concludono coerentemente con questa premessa. E' indubbio che oggi vi sia una libertà di espressione sconosciuta durante il fascismo, e tuttavia, la valutazione del beneficio di tale libertà che non è distribuita in modo eguale tra tutti i possibili fruitori, va commisurata con la potenza degli attuali mezzi di comunicazione. La limitazione concretamente percepibile della possibilità di lanciare messaggi da posizioni di visibilità nel sistema mediatico, raggiunge nei fatti, lo stesso effetto di una limitazione della libertà di espressione. Vero è che non c'è violenza nel contenimento di questa libertà, e tuttavia e pure vero che essa è superflua, perché il sistema è tale da contenere le voci scomode in recinti virtuali ma nel medesimo tempo capaci di neutralizzare perentoriamente ogni messaggio scomodo, in modo che possa essere sicuramente sterilizzato.
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