sabato 20 aprile 2013

Il Golpe e l'antifascismo



Mentre va in onda, in occasione delle elezioni del Presidente della Repubblica, il disvelamento evidente del  carattere di interfaccia del del Pd rispetto agli interessi reali di Berlusconi e non solo, con buona pace di tutti i suoi sostenitori, si avvicina  il 25 aprile, ricorrenza della liberazione dal fascismo nostrano  e dall’  occupazione tedesca di memoria nazista e hitleriana. Il tragico e al tempo stesso farsesco regime di Salò,  credo, costituisca in assoluto, il peggior fenomeno politico e sociale mai verificatosi su quel pur martoriato suolo che ancora oggi si chiama Italia. Ma non solo questo succede, perché succede anche il realizzarsi di una ulteriore tappa di quel golpe strisciante che in Italia ha avuto il suo tragico inizio simbolico, per ciò che mi riguarda, il 9 maggio 1978 giorno dell’uccisione di Aldo Moro, creando una instabilità istituzionale mai risoltasi.  Infatti la rielezione di Napolitano è una, l’ennesima perpetuata con questo singolare personaggio, violazione esplicita della costituzione che recita al 1° comma  dell’art. 85 della parte II, titolo II  “ Il presidente della Repubblica è eletto per 7 anni”.  Non c’è bisogno di costituzionalisti o di esperti che argomentino sino a stravolgere la lettera e lo spirito di questo articolo, basta una discreta conoscenza della lingua italiana, e neppure eccelsa, perché l'articolo si riferisce ad una persona e non ad una carica, questa ipotizzabile come ciclica. Non è un caso che durante la cd prima repubblica così era interpretato questo articolo, anche perché, si argomentava, avendo il presidente un ruolo nello scioglimento delle camere potrebbe verificarsi il caso in cui un presidente in carica potesse in qualche modo procurarsi la rielezione, attribuendosi,  in un genuino spirito antifascista, alla permanenza limitata delle singole persone nei luoghi del potere  un evidente significato di democrazia in quanto si contrapponeva non a caso, al regime fascista, in cui  il Re e il duce erano inamovibili.   E’ sin troppo elementare argomentare che nella costituzione il termine di sette anni è il massimo consentito per la permanenza in carica di un presidente della repubblica diversamente sarebbe ipotizzabile un presidente della repubblica a vita con mandati rinnovabili ogni sette anni. Va da sé che il problema non è solo formale, ma anche sostanziale, perché questa rielezione costituisce un tassello importante verso l’edificazione, in salsa italiana ovviamente, di un regime presidenzialista, già abbondantemente iniziato nei fatti dallo stesso Napolitano, essendo questo il vero motivo della sua rielezione. Sorvolo sull’evidenza del fatto che si è trattato di una manovra preordinata, perché, tanto per dirne una, si sarebbe potuto insistere con la candidatura Marini, a voler mantenere il profilo delle "larghe intese". Ma ora voglio ragionare di antifascismo, anche se il cambiamento di argomento sarà solo formale. La retorica imperante durante la cd prima repubblica, intendeva l’antifascismo come un presidio, oltre che come ricordo storico, contro la rinascenza  del fascismo in camicia nera, con il fez e l’olio di ricino. Non che il problema non fosse sussistente, perché perfino io, in gioventù mi sono adoperato nella misura delle mie possibilità perché non ci fosse un simile ritorno. La questione è che oltre il fascismo tradizionale  vi è un la possibilità di un regime assonante con quello fascista, che mantenga la sostanziale tutela degli interessi economici e sociali, sia pure aggiornati ai tempi che viviamo, senza che ne riproduca i tratti più esteriori. Invece la retorica tradizionale esclude questa ipotesi, e all’ombra di questa retorica, si è conservato un apparato dello stato sostanzialmente ereditato dal fascismo, con tutte le conseguenze del caso. E tuttavia, almeno nella retorica delle dichiarazioni pubbliche e di circostanza l’antifascismo era un punto fermo. Nella cd seconda repubblica anche la retorica dell’antifascismo è in buona sostanza, tramontata. Berlusconi non ha mai taciuto la sua ammirazione per Mussolini, e tanta parte del Pdl è composta da persone che negli anni ’60 hanno partecipato attivamente ad attività squadristiche.  Tuttavia ciò che più mi ha amareggiato, francamente, sono  tutte le esibizioni istituzionali da parte di personaggi che sulla carta dovevano essere  ancorate al campo dell’antifascismo. Si è dovuto ascoltare negli ultimi decenni, discorsi che  mi suscitano repulsione,  a partire da quello che più mi colpì, quello che fu  pronunciato nella seduta della Camera  del 9/5/1996,  la prima della XIII  legislatura quella che vide l’insediamento di Luciano Violante alla presidenza, in cui egli stesso nel discorso d’insediamento, ebbe a dire tra l’altro Mi chiedo se l'Italia di oggi - e quindi noi tutti - non debba cominciare a riflettere sui vinti di ieri; non perché avessero ragione o perché bisogna sposare, per convenienze non ben decifrabili, una sorta di inaccettabile parificazione tra le parti, bensì perché occorre sforzarsi di capire, senza revisionismi falsificanti, i motivi per i quali migliaia di ragazzi e soprattutto di ragazze, quando tutto era perduto, si schierarono dalla parte di Salò e non dalla parte dei diritti e delle libertà. Questo sforzo, a distanza di mezzo secolo, aiuterebbe a cogliere la complessità del nostro paese, a costruire la liberazione come valore di tutti gli italiani, a determinare i confini di un sistema politico nel quale ci si riconosce per il semplice e fondamentale fatto di vivere in questo paese, di battersi per il suo futuro, di amarlo, di volerlo più prospero e più sereno. Dopo, poi, all'interno di quel sistema comunemente condiviso, potranno esservi tutte le legittime distinzioni e contrapposizioni.  Non è chiaro infatti che tipo di ulteriore riflessione debba farsi sui vinti di ieri, se si esclude, come egli stesso  esclude, sia pur retoricamente quelle interpretazioni cui si potrebbe logicamente prestare quell’espressione, se non che quei vinti di ieri non sono divenuti nel frattempo, e ciò anche in virtù di un malinteso senso dell’antifascismo, i vincitori di oggi.  Del resto il discorso di Violante è volutamente e fortemente provocatorio, è una sorta di abiura, un rinnegare il suo passato politico, e la storia della sua famiglia che del fascismo fu vittima. Infatti si poteva limitare a richiamare le ragioni di chi negli anni  ’20 aderì al fascismo, ma sarebbe stato troppo semplice e perfino scontato e privo di effetto e di radicalità mediatica, e per questo l’antifascista Violante, che comunque deve la sua carriera politica a quei militanti del PCI che antifascisti lo erano davvero, senza di che quello stesso discorso avrebbe avuto un impatto inferiore.  Tutto ciò a prescindere da quel “soprattutto ragazze” quasi a voler nobilitare ignobilmente, al di fuori di qualsiasi possibile riferimento storico, il fenomeno della Repubblica di Salò, con un manto di femminismo.  Comunque tornando alla sostanza del discorso di Violante, la definizione “vinti di ieri” appare un lapsus freudiano in senso stretto. Quel discorso infatti ha il sapore di una resa dell’antifascismo di ieri, che di cui Violante è indiscutibilmente un titolato rappresentante, agli eredi di quelli che ieri furono vinti, ma che  oggi sono diventati, a loro volta,  vincitori. Così l’antifascismo si svuota definitivamente di contenuti e diventa il terreno politico e culturale dell’elaborazione di un nuovo linguaggio  in cui si comunica l’avvenuta cessazione di ogni possibile contrasto radicale e reale politico e culturale in Italia. Insomma non c’è più un possibile avversario politico, essendo del tutto risibile il riferimento a tali possibilità contenuto nel discorso di Violante.  Con questo discorso l'allora presidente della Camera certifica il consolidamento di quel ceto politico che poi si chiamò giustamente “casta” corpo separato dal contesto sociale del Paese, che pertanto rimane sostanzialmente privo di luogo politico e culturale dove fosse possibile la legittima coltivazione dei suoi legittimi  interessi generali. Non a caso il “nemico” anche sotto il profilo psicologico, oltre che culturale e politico, diviene in questo tempo della politica, l’immigrato, il nero nel senso del colore della pelle, lo zingaro, realizzandosi così  la legittimazione dell’apparato ideologico proprio del peggior fascismo. Che il discorso di Violante non sia stato estemporaneo è cosa del tutto evidente, perché è assolutamente coerente con tutte le scelte politiche e istituzionali perseguite dal gruppo dirigente del centrosinistra. In questo senso, sempre rimanendo in abito di discorsi istituzionali, ricorderò l’infausto discorso del presidente Napolitano, che tenne il 10 febbraio 2007 .  Da un certo numero di anni a questa parte si sono intensificate le ricerche e le riflessioni degli storici sulle vicende cui è dedicato il "Giorno del Ricordo" : e si deve certamente farne tesoro per diffondere una memoria che ha già rischiato di esser cancellata, per trasmetterla alle generazioni più giovani, nello spirito della stessa legge del 2004. Così, si è scritto, in uno sforzo di analisi più distaccata, che già nello scatenarsi della prima ondata di cieca violenza in quelle terre, nell'autunno del 1943, si intrecciarono "giustizialismo sommario e tumultuoso, parossismo nazionalista, rivalse sociali e un disegno di sradicamento" della presenza italiana da quella che era, e cessò di essere, la Venezia Giulia. Vi fu dunque un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una "pulizia etnica". Ecco qui il discorso è esplicito, la falsificazione storica è netta, e così si racconta la storia che non fu. Infatti  nell’autunno del 1943 si badi bene, nel pieno del conflitto mondiale che ha visto l’Italia in modo particolare, impegnata nell’aggressione  alla Jugoslavia, con una ferocia che in nulla cedeva a quella tedesca  com’ è documentato da letteratura storiografica non contestata per ciò che riguarda episodi di crudeltà inaudita, i partigiani jugoslavi che  insieme a quelli greci,erano  impegnati nella caccia ai nazifascisti senza interventi, si badi bene, di truppe altrui sul loro territorio, diventano attuatori di un disegno di pulizia etnica e di un disegno annessionistico slavo.   Ora bisogna contestualizzare il discorso facendo caso alle date perché queste parole furono pronunciate da Napolitano  nel 2007 mentre solo  del 1999, otto anni prima ci furono  i bombardamenti Nato con forte partecipazione italiana, mentre, guarda caso, era in carica il governo D’Alema con l’appoggio di Bertinotti e di Diliberto. Le cronache di quei bombardamenti raccontano di disastri e vittime civili oltre qualsiasi plausibile esigenza militare.  In questo contesto parlare di  espansionismo slavo costituì una provocazione grave tant’è che suscitò la recriminazione e le proteste dell’allora presidente della Slovenia, che ovviamente lasciarono un segno quasi invisibile.  Ora la mia costante polemica, in questo blog, è con la ideologia del postmoderno da un lato, e dall’altro, con la “sinistra che non c’è  certo come sono che le due cose coincidono. Insomma l’antifascismo non può ridursi alla riproposizione di foto storiche, cosa del resto del tutto giusta e assolutamente necessaria, ma anche un attivo presidio contro tutte  le metamorfosi possibili del fascismo, sotto il profilo della tutela dei medesimi interessi economici e sociali ovviamente aggiornati ai tempi di oggi, e sotto questo profilo, indubbiamente l’antifascismo ha fallito. Un altro equivoco imperante per la connotazione di un regime fascista o autoritario, è dato dalla misura della libertà di stampa e di espressione. In realtà non si tiene conto che il sistema della comunicazione postmoderna, ha aggirato l'ostacolo. Con il dispiegamento di mezzi enormi sostanzialmente autofinanziato, si è dispiegato un apparato pluralistico in apparenza, ma sostanzailmente propagandistico di ciò che non a caso vien percepito come "pensiero unico" anche se non sempre, coloro che ricorrono a questa espressione, concludono coerentemente con questa premessa. E' indubbio che oggi vi sia una libertà di espressione  sconosciuta durante il fascismo, e tuttavia, la valutazione del beneficio di   tale libertà che  non è distribuita in modo eguale tra tutti i possibili fruitori, va commisurata con la potenza degli attuali mezzi di comunicazione. La limitazione concretamente percepibile della possibilità di lanciare messaggi da posizioni di visibilità nel sistema mediatico, raggiunge nei fatti, lo stesso effetto di una limitazione della libertà di espressione. Vero è che non c'è violenza nel contenimento di questa libertà, e tuttavia e pure vero che essa è superflua, perché il sistema è tale da contenere le voci scomode in recinti virtuali ma nel medesimo tempo capaci di neutralizzare perentoriamente ogni messaggio scomodo, in modo che possa essere sicuramente sterilizzato.

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