martedì 2 maggio 2017

Trump, Renzi, le primarie e la democrazia



Premetto che in passato sono andato a votare anch’io alle primarie, ma per motivi del tutto contingenti, avendo voglia di esprimere qualche preferenza per i candidati più a "sinistra" di quelli ufficiali del Pd. Comunque una riflessione più approfondita sullo strumento la voglio fare o ripetere, visto che di sicuro ho già trattato l’argomento. Le primarie sono uno strumento consolidato negli Usa, e, secondo la vulgata che se ne fa da queste parti, sono un segno di democrazia. Non mi pare che siano molti in giro a riflettere su un aspetto per me evidente ed essenziale, che gli Usa non sono affatto un buon esempio di democrazia sotto il profilo dei sistemi elettorali, visto che di questo trattiamo, tralasciano discorsi più ampi sulla democrazia. Il voto politico in Usa è farraginoso, disincentivato e disincentivante ed è organizzato con un meccanismo in grado di distorcere la “volontà popolare”. Le ultime elezioni presidenziali negli Usa ne sono un esempio assai significativo. Se si fossero contati i voti sarebbe risultata vincitrice la Clinton, invece di Trump, ma i voti dei cittadini hanno una valenza relativa, perché il Presidente degli Stati Uniti d’America viene scelto con una elezione di secondo grado, quasi come il Doge di Venezia dei secoli andati. Ora nessuno riflette sulla contraddizione che a me pare evidente, tra un valore importante come la democrazia e la pratica che ne consegue. Insomma gli Usa, oltre a non poter essere un modello di democrazia sulla base dei miei valori, non lo sono comunque la si pensi. Ora la elezione di Trump, proprio questo ha significato, come ha giustamente osservato qualche commentatore nell’immediatezza del voto: la crisi del modello planetario a Stelle e Strisce. A maggior ragione verrebbe da chiedersi in quale sistema di valore si inseriscono le primarie americane. Posto che esse sia uno strumento di “apertura” verso il basso, occorrerebbe chiedersi come mai gli americani si siano dotati di un sistema “aperto” nelle competizioni interne ai partiti, e chiuso e farraginoso in quelle di maggiore portata istituzionale. Le risposte potrebbero essere molteplici, ma qui, per brevità, mi atterrò a quella che a me pare una ovvietà, a prescindere dagli orientamenti politici di riferimento, ossia che gli Usa sono una cosa e l’Italia è un’altra. Sono storie, condizioni geografiche ed socio-economiche talmente diverse da far pensare che solo gli stolti possano concepire apparentamenti e similitudini tra sistemi istituzionali. Infatti sono convintissimo che il nostro ceto politico sia fondamentalmente corrotto e incompetente. Allora, ammesso che le primarie americane possono anche avere una ragion d’essere in quella particolare situazione, non si capisce a cosa servono nel sistema italiano. Da noi, tanto per dirne una, non c’è un sistema elettorale consolidato, cosa che negli Usa c’è, che piaccia o meno, e si naviga a vista, volta per volta. Questo è un sintomo evidente di una crisi politica di “sistema” che è profonda e grave, anche se nessun osservatore, per quel che mi riesce di constatare, la definisce tale. Intanto va notato che, come tutte le cose riuscite male, le primarie italiane non sono di sistema, infatti solo il Pd le adotta. Ma il Pd è un partito che spinge la propria insipienza fino a replicare anche nel nome un partito americano, che ha tutt’altra tradizione. Neppure la differenza tra destra e sinistra in America ha una storia minimamente rapportabile a quella italiana; del resto è proprio questo il nocciolo duro e violento della nostra “modernità” o del postmoderno come dir si voglia: annullare la nostra storia, portare il nostro vissuto a galleggiare con quello altrui grazie alla straordinaria tecnologia dei media. In questo contesto le primarie italiane, dopo un periodo di “collaudo” si stanno consolidando per uno strumento che nulla ha a che fare con la democrazia. Una volta le si sarebbero definite uno strumento sciovinista, in cui gli elettori vengono chiamati a suggellare ciò che è già deciso altrove. A meno che qualcuno non voglia sostenere che le recenti primarie vinte da Renzi siano state primarie reali, in cui i concorrenti abbiano avuto le stesse possibilità di vincere. Della partecipazione di Orlando non mi stupisco, ma, confesso, attribuivo ad Emiliano una capacità di guardare lontano che vedo smentita da questa circostanza. Insomma anche lui, che stava con un piede fuori dal Pd, alla fine ha optato nella modalità di quel vecchio detto barese, di solito pronunciato in dialetto, che in vero è riferito ai soldi e non ad altro, che si preferiscono così: “pochi, maledetti e subito”. Particolare gravità ulteriore scontano, sempre a parer mio, queste ultime primarie. Esse sono state concepite come strumento per far dimenticare agli elettori del Pd, che Renzi ha perso il referendum del 4 dicembre sulla riforma istituzionale da lui voluta. Insomma, a differenza che negli Usa, le primarie del Pd non sono il prologo a elezioni politiche vere e programmate, portatrici di un cambiamento di personalità al vertice insito nelle regole, ma sono servite a consolidare il “vecchio” segretario. E pensare che qualcuno ha sostenuto che partecipare a tali primarie, era un fatto di d e m o c r a z i a.

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