domenica 5 febbraio 2012

La crisi della Sinistra, il tramonto dell’Occidente. (parte seconda)


Ieri appena finito di  pubblicare su Fb il post precedente, in cui tra l’altro, dicevo dell’insopportabilità delle interviste dei dirigenti del Pd, mi siedo davanti alla Tv e mi ritrovo, sulla terza rete Rai, a guardare “Che tempo che fa”  con Fazio che intervista a Veltroni. Spontaneo mi viene la riflessione sulla coincidenza e su  quando indovinata fosse l’opinione espressa a riguardo. Infatti a ben guardare, Veltroni è stato insopportabile. Queste interviste si rilasciano solo se si ha un profondo disprezzo di chi ascolta, sulle loro capacità di discernimento e, soprattutto, sulla loro corta memoria.  Una premessa:  non ho mai pensato che Veltroni sia un ciarlatano, anche se l’intervista a Fazio e soprattutto il mio commento su essa lo lascerebbe credere. Ritengo che sia stato un ottimo direttore dell’Unità (con l’idea indovinata delle videocassette, per chi le ricorda) e soprattutto uno dei migliori sindaci di che Roma abbia mai avuto. L’asino casca, a mio parere, quando pasticcia come segretario del Pd, in una elezione condotta e soprattutto provocata anticipatamente allo scopo, quasi fosse fatto apposta, di far vincere Berlusconi e consegnare Roma ad Alemanno, candidando Rutelli, personaggio che guarda caso, ha la firma sul conto che Lusi ha saccheggiato.  Cercando di ripercorre l’intervista, il primo argomento  toccato da Fazio, riguarda la neve a Roma e qui se n’è uscito con aneddotica autoreferenziale, perfino prolissa, in realtà ha graziato Alemanno rifiutando di “girare il coltello nella piaga”; sembrerebbe una manifestazione di tatto e, invece, a parer mio, si poteva essere severi con Alemanno, che al contrario è uno dei peggiori sindaci di Roma, senza speculare maldestramente sulla contingenza del cattivo tempo. Ha usato circo locuzioni francamente odiose, parlando della prova poco brillante di tutta la città per l’occasione per non personalizzare il discorso su Alemanno. Poi il resto è francamente inaccettabile. Autoesaltazione di sé stesso della sua esperienza da segretario da Pd, compresa la sconfitta elettorale del 2008 come se fosse colpa del governo Prodi, messo in crisi proprio dalle sue scelte e non dal comportamento di Ferrero e Bertinotti che in verità hanno accettato di tutto e di più senza fiatare, pur di mantenere le loro poltrone. Ad attribuire a loro le responsabilità della caduta del secondo governo Prodi è francamente inaccettabile. Ricordo bene la sua campagna elettorale, tuta basata novismo , e  sulla critica all’esperienza dell’Ulivo, in esplicita polemica con Prodi, in verità ripercorrendo i medesimi argomenti di Berlusconi, che non  veniva attaccato per niente. Ma tornando all’intervista, ha glissato sulla questione Lusi , parlando di una generica esigenza di dimagrimento degli apparati della politica, abolizione delle provincie, dimezzamento dei consiglieri regionali e così via, senza neppure trovare scandaloso che  partiti inesistenti continuino a percepire rimborsi, avendo da ridire solo per la loro quantità. E poi, questo è il momento forte di tutta l’intervista, si è lanciato in lode sperticate a Monti, quasi fosse qualcosa di paragonabile a Gandhi  e  Luther King, ha detto in modo odiosamente ipocrita che è favorevole al superamento  dell’art. 18  senza citarlo, usando circonlocuzioni che sembrerebbero affermazioni contro la precarietà ma parlando di una sorta di Apartheid, per cui da un lato ci sono lavoratori troppo garantititi e dall’altro lavoratori senza alcuna garanzia come se ci fosse un rapporto causa- effetto tra  i due fenomeni, ha di fatto sposato le tesi di Monti anche su questo argomento.  Particolarmente odioso far passare come fa Monti, i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato come “privilegiati”.  A parole poi, ha negato si domanda del servizievole Fazio che una parte del Pd sia disponibile a confluire in una formazione centrista lasciando il Pd. Ma  tutta la sua intervista, così appiattita sulle posizioni di Monti, così distanti dalle posizioni di Bersani  (almeno a parole) accrediterebbe invece, con forza  tale ipotesi.  Ora al di là della contingenza,  mi chiedo se serve altro ancora per rilevare  una assoluta mancanza di autonomia culturale da parte del gruppo dirigente del Pd. La tragedia è che questo partito sta per terminare la sua corsa, ma per essere fagocitato da una formazione ancora più deleteria per le sorti del nostro paese, e, insisto, su tutto l’Occidente. Sarebbe stato auspicabile  un protagonismo di tutta o di parte consistente dei suoi militanti, ma così purtroppo non sarà.  Ma su questo temo dovrò argomentare ancora. (continua)

Nessun commento:

Posta un commento