mercoledì 8 febbraio 2012

La crisi della Sinistra, il tramonto dell’Occidente. (parte terza)


La sinistra, comunque la si intenda e comunque la si pensi, tradizionalmente, era il luogo delle elaborazioni originali e innovative,  e perfino rivoluzionarie, anche se di questi tempi la parola, peraltro abusata, può suscitare equivoci e perplessità. Diciamo che era una forza che si cimentava, tra l’altro, in modo non esclusivo, sui problemi  dell’avvenire, acquisendo il dato che il presente fosse superabile in ogni caso, e che in ogni caso la realtà era mutevole, per cui  semplicemente, si fa per dire, occorreva  dare un indirizzo e una direzione al mutamento. Questa percezione della sinistra politica e culturale, si è bruscamente interrotta in seguito alle vicende del crollo del muro di Berlino, concludendo che il presente è immodificabile, sia per via degli esiti  inquietanti  del cd socialismo realizzato, ma anche, e direi soprattutto, per la modificazione essenziale avvenuta nei meccanismi sociali della produzione e della formulazione del pensiero, operata dai masmedia, che, grazie al predominio dell’immagine rispetto alla parola, ha dilatato oltremisura la dimensione del presente. E ciò fino a schiacciare con estrema violenza  le stagioni  di vita dell’individuo su una sorta di eterna giovinezza, togliendo legittimità e spazio sia fisico che di riflessione teorica alle altre fasi della vita, quali l’adolescenza, e la vecchiaia, ormai, ridotte quasi a patologie sociali, e peggio ancora come dirò più avanti. Ebbene in questa fase il pensiero di sinistra si è perso, ma con esso direi il pensiero senza aggettivi. Si è istaurato di fatto il divieto di pensare, si è abolita la funzione formativa della cultura, ridotta programmaticamente ed esplicitamente a mera perfonsans  funzionale, ma solo in astratto, ad attività lavorative, di un lavoro che in realtà sta decrescendo, almeno in Occidente, toccandoci pure di dover ascoltare, le affermazioni  beffarde dei ministri tecnici, i quali tecnicamente sembrano ignorare che l’emigrazione dalle nostre parti è ripresa in grande stile.   Lo sforzo principale, sotto il profilo culturale, sembra sia quello della ridefinizione del significato delle parole, per dare veste nuova a cose vecchie.  Così si è realizzata sul piano culturale, la perfetta coincidenza della crisi della sinistra con la crisi del pensiero occidentale tout- court, che nega bruscamente le sue radici, si inventa radici religiose e mistiche, alla ricerca di mitologie varie, di ogni tipo. Il pensiero  filosofico occidentale è prevalentemente, nelle sue linee generali e prevalenti tutto ripiegato nella sua parte più intellettualistica,  alla ricerca strumentale delle sue origini, per negarne la storia quasi che essa sia un accidente assolutamente spendibile per ogni manovra propagandistica di corto respiro, lontana da qualsivoglia possibilità di seria ricerca e conseguentemente elaborazione. Aggiungerei  che il capostipite di questa impostazione è Heidegger, per i cultori della filosofia, ma poi il discorso si complicherebbe. Vorrei far notare che il tema del tramonto dell’occidente può essere affrontato sotto ogni profilo,  economico, politico e culturale, ma gli esiti di una serie riflessione siano credo ineludibili. E’ comunque cessata, almeno in Italia in modo facilmente sperimentabile, ogni capacità di elaborare null’altro che non fosse  conformità al cd pensiero unico.  Ora in Italia, la sinistra è in minima parte contraria e comunque impotente in quanto opposizione, perché del tutto priva di strumenti, nei confronti del governo Monti; ma in maggioranza, legata essenzialmente al Pd,  favorevole. Monti è tra i peggiori e più pericolosi governi che ci possano essere, in sostanziale e rivendicata continuità politica col governo Berlusconi, da cui si differenzia solo per stile. L’intervista di Veltroni a Fazio, che ho già commentato, è la prova provata di quanto entusiasmo una buona parte del Pd, sostenga Monti, seriamente  impegnato in una politica aggressiva e violenta contro i ceti medi, il mondo del lavoro, contro, in definitiva, ogni possibilità di uscita dell’Italia dalla crisi, grazie allo sventramento, che, per la verità,  è iniziato da molto sotto la voce, guarda caso, delle liberalizzazioni come soluzione al problema del  debito pubblico. In verità l’Italia non ha più un apparato industriale degno di questo nome, basti pensare alla storia dell’automobile, e a quel formidabile apparato industriale che erano le vecchie partecipazioni statali, che se da un lato erano mal gestite per mirate scelte dei governi che si sono succeduti, dall’altro hanno assicurato una produzione d’avanguardia.  Ora per l’effetto combinato dei tagli di Tremonti, Bossi, Berlusconi, senza scordare Napolitano, Re Giorgio, come lo chiamano affettuosamente in Usa  e la politica di Monti, si  sta realizzando il dato che la strada delle dismissioni produttive dal sistema Italia sia del tutto irreversibile, mentre Obama al contrario, è impegnato nella reindustrializzazione degli Usa, sia pure a spese nostre,  mentre i paesi  europei più progrediti, questa strada non hanno mai imboccata, scegliendo di sacrificare la Grecia e temo anche  l’Italia, il vero boccone prelibato della finanza internazionale tanto europea quanto americana.  Ora il sistema delle bolle finanziarie si stanno scaricando sulle banche italiane, e prima o poi esploderanno.  E tutto ciò mentre il Pd farnetica sul fatto che Monti ci ha salvato dal baratro, mentre con tutta evidenza ci sta precipitando nel baratro, con la caccia spettacolare a chi non fa gli scontrini.  Il cd “popolo di sinistra” non è neppure in grado, nella sua generalità di decodificare i messaggi e la propaganda se poi si arriva credere che le bombardando si esporta la democrazia, dando esempio di dabbenaggine sconfortante. Certo si possono citare tanti dati, di ogni tipo, e tuttavia la riflessione più pertinente, riguarda il raffronto tra le politiche anticrisi degli anni trenta, e quelle attuali. Negli anni trenta era chiaro a tutti, a cominciare dai presidenti Usa, che tra gli stati e le grandi istituzioni finanziarie il predominio toccava allo stato, mentre ora in Occidente, sembra che tutti, concordemente, convengono che il primato tocchi alle banche. A tal proposito non si può tacere l’orrore che suscita la notizia  data da Stefano Rodotà con l’art. di spalla  su “la Repubblica” di oggi 8.02.2012 dal titolo “Se le banche lanciano i bond della morte  che ad un certo punto recita: “ Si individuano negli Stati Uniti un gruppo di cinquecento persone  tra i 72 e gli 85 anni, si raccolgono con il loro consenso  le informazioni sulle loro condizioni di salute e si propone di investire sulla durata delle loro vite. Più rapidi sono i decessi, maggiore è il guadagno dell’investitore, mentre il profitto della banca cresce con la sopravvivenza  delle persone appartenenti al campione.” E più oltre : “ Si scommette sugli anziani, un gruppo che già conosce forme crescenti di discriminazione, con l’esclusione dalla gratuità di alcuni farmaci di taluni farmaci e con il divieto di accesso a una serie di trattamenti sanati tari” . La banca in questione è la Deutsche Bank.   Ora quale dimostrazione ulteriore della crisi di un civiltà? In essa va sicuramente inclusa l’incapacità a protestare, a ribellarsi in modo conseguente, sino all’ottenimento di un risultato prefissato o una  eventuale  approssimazione per effetto di mediazioni a volte inevitabili. (continua)

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