Com’ è noto in questi giorni la magistratura tarantina ha
posto sotto sequestro reparti nocivi
dell’Ilva perché fonti di emissioni nocive non solo per l’ambiente “naturale”
ma anche e soprattutto per le persone. Gli operai nella terribile scelta di una
prospettiva di disoccupazione, e un costo anche pesante sul versante della
salute, hanno optato per il posto di lavoro. Del resto come criticarli?. Ora il
sindacato ammette ritardi di elaborazione a riguardo della contrapposizione tra
occupazione e ambiente, e sono d’accordo. Ma il problema, secondo me sarebbe
mal posto in questi termini. La contrapposizione tra salute e lavoro è una
contrapposizione artefatta, perché quella vera è tra massimo profitto possibile
da un lato e diritti umani dall’altro. Non c’è forse un diritto alla salute? .
ovviamente è una prima domanda retorica, cui segue la
seconda domanda, retorica anch’essa e sarebbe: non c’è forse un diritto al
lavoro?. Ora è proprio certo che i due diritti siano inconciliabili?. Ovviamente
non credo. La verità è che si ritiene prevalente su questi, il diritto alla
proprietà privata. Infatti sarebbe tecnicamente possibile fare in modo che la
produzione dell’Ilva non sia nociva, ma questo ha un costo, che verosimilmente
la produzione sarebbe in grado di affrontare, ma li potentissimi proprietari
dell’Ilva non vogliono, in nome del diritto al massimo profitto possibile, in
nome insomma del diritto alla proprietà privata. Nazionalizzare l’Ilva come lo
era, e approntare le misure a tutela dell’ambiente e far ripartire la
produzione. Ovviamente non se ne parla neppure, nessuno osa mettere in dubbio
la proprietà privata, neppure a sinistra. La soluzione sarebbe quella di
costituire una operativa di operai che si organizzi per gestire l’impianto dell’Ilva.
I Riva vanno espropriati dello stabilimento, perché in un sistema civile degno
di questo nome non è possibile gestire un impianto industriale di quella
importanza al modo in cui loro è stato gestito in questi anni, con costi enormi
dal punto di vista umano e ambientale, a partire dalla salute, a tratti della
vita stessa, e dalla dignità umana degli stessi operai che vi lavorano o vi
hanno lavorato fino a morirne. Insomma salvaguardare la proprietà privata, la
cd libertà d’ impresa sino a questo punto a me pare improponibile. Non sono uno
storico di professione, ma la storia di quello stabilimento va elaborata e resa
nota, per capire la tragedia che ha comportato. Orbene questo è il limite
culturale che ci impedisce di risolvere il problemi. Per carità so bene che
passo per vetero, per visionario e quant’altro,
e che nessuno prenderà in considerazione questa ipotesi, eppure, al tempo
stesso sono convinto che bisogna incominciare a parlarne, perché le autentiche
utopie sono le politiche liberiste, che partendo economiche accumulate grazie
anche e soprattutto a generose elargizioni pubbliche. Insomma si è proceduto e
si procede ad una sorta di esproprio all’incontrario
che solo un apparato mas mediatico assolutamente dipendente, può far passare
questa crisi per un ineludibile esito di complicati processi economici di
natura obiettiva. In questo senso condivido e voglio contribuire a diffondere l’appello
apparso sul giornale “Il Manifesto” del 24 luglio u. s. che posterò di seguito e che condivido appieno
, sul furto autentico di informazione che è in atto a riguardo della crisi
economica. I mezzi di informazione alimentano la tesi appunto dei sacrifici
come atto dovuto in seguito ad un tenore di vita che noi comuni cittadini non
ci potevamo permettere, identificando in questo la matrice del debito, solo che
è un assurdo detto in malafede. Il tutto in nome dalla
sacralità dei privilegi di casta, considerati prevalenti sino ad arrogarsi un
vero diritto di esproprio di fatto delle ricchezze che appartengono a noi tutti
causando danni incommensurabili. Mentre gli operai di Taranto protestano comprensibilmente sino la limite dell’autolesionismo,
si continua la sceneggiata politichese dello spaed che sale e scende, come mosso da un “mercato” concepito come
entità impersonale che agisce solo e soltanto sulla base di una razionalità economica,
mentre, come molti osservatori qualificati e attenti dimostrano il contrario, e
cioè che si tratti di manovre politiche ordite da una cerchia relativamente
ristretta di persone prevalentemente made
in Usa che dispongono di enormi risorse che usano manovrando banche d'affari e istituti di reting in funzione di disegni meramente politici. Ora sull'argomento dei disegni politici ho gia detto su questo blog, e non vale una continua ripetizione.
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