sabato 28 luglio 2012

Taranto, l’Ilva e la proprietà privata, e il furto di informazione


Com’ è noto in questi giorni la magistratura tarantina ha posto sotto sequestro  reparti nocivi dell’Ilva perché fonti di emissioni nocive non solo per l’ambiente “naturale” ma anche e soprattutto per le persone. Gli operai nella terribile scelta di una prospettiva di disoccupazione, e un costo anche pesante sul versante della salute, hanno optato per il posto di lavoro. Del resto come criticarli?. Ora il sindacato ammette ritardi di elaborazione a riguardo della contrapposizione tra occupazione e ambiente, e sono d’accordo. Ma il problema, secondo me sarebbe mal posto in questi termini. La contrapposizione tra salute e lavoro è una contrapposizione artefatta, perché quella vera è tra massimo profitto possibile da un lato e diritti umani dall’altro. Non c’è forse un diritto alla salute? . ovviamente  è  una prima domanda retorica, cui segue la seconda domanda, retorica anch’essa e sarebbe: non c’è forse un diritto al lavoro?. Ora è proprio certo che i due diritti siano inconciliabili?. Ovviamente non credo. La verità è che si ritiene prevalente su questi, il diritto alla proprietà privata. Infatti sarebbe tecnicamente possibile fare in modo che la produzione dell’Ilva non sia nociva, ma questo ha un costo, che verosimilmente la produzione sarebbe in grado di affrontare, ma li potentissimi proprietari dell’Ilva non vogliono, in nome del diritto al massimo profitto possibile, in nome insomma del diritto alla proprietà privata. Nazionalizzare l’Ilva come lo era, e approntare le misure a tutela dell’ambiente e far ripartire la produzione. Ovviamente non se ne parla neppure, nessuno osa mettere in dubbio la proprietà privata, neppure a sinistra. La soluzione sarebbe quella di costituire una operativa di operai che si organizzi per gestire l’impianto dell’Ilva. I Riva vanno espropriati dello stabilimento, perché in un sistema civile degno di questo nome non è possibile gestire un impianto industriale di quella importanza al modo in cui loro è stato gestito in questi anni, con costi enormi dal punto di vista umano e ambientale, a partire dalla salute, a tratti della vita stessa, e dalla dignità umana degli stessi operai che vi lavorano o vi hanno lavorato fino a morirne. Insomma salvaguardare la proprietà privata, la cd libertà d’ impresa sino a questo punto a me pare improponibile. Non sono uno storico di professione, ma la storia di quello stabilimento va elaborata e resa nota, per capire la tragedia che ha comportato. Orbene questo è il limite culturale che ci impedisce di risolvere il problemi. Per carità so bene che passo per vetero, per  visionario e quant’altro, e che nessuno prenderà in considerazione questa ipotesi, eppure, al tempo stesso sono convinto che bisogna incominciare a parlarne, perché le autentiche utopie sono le politiche liberiste, che partendo economiche accumulate grazie anche e soprattutto a generose elargizioni pubbliche. Insomma si è proceduto e si procede  ad una sorta di esproprio all’incontrario che solo un apparato mas mediatico assolutamente dipendente, può far passare questa crisi per un ineludibile esito di complicati processi economici di natura obiettiva. In questo senso condivido e voglio contribuire a diffondere l’appello apparso sul giornale “Il Manifesto” del  24 luglio u. s.  che posterò di seguito e che condivido appieno , sul furto autentico di informazione che è in atto a riguardo della crisi economica. I mezzi di informazione alimentano la tesi appunto dei sacrifici come atto dovuto in seguito ad un tenore di vita che noi comuni cittadini non ci potevamo permettere, identificando in questo la matrice del debito, solo che  è un assurdo detto in malafede. Il tutto in nome dalla sacralità dei privilegi di casta, considerati prevalenti sino ad arrogarsi un vero diritto di esproprio di fatto delle ricchezze che appartengono a noi tutti causando danni incommensurabili. Mentre gli operai di Taranto protestano  comprensibilmente sino la limite dell’autolesionismo, si continua la sceneggiata politichese dello spaed che sale e scende, come mosso da un “mercato” concepito come entità impersonale che agisce solo e soltanto  sulla base di una razionalità economica, mentre, come molti osservatori qualificati e attenti dimostrano il contrario, e cioè che si tratti di manovre politiche ordite da una cerchia relativamente ristretta di persone prevalentemente made in Usa che dispongono di enormi risorse che usano manovrando banche d'affari e istituti di reting in funzione di disegni meramente politici. Ora sull'argomento dei disegni politici ho gia detto su questo blog, e non vale una continua ripetizione.

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