C’è un tempo per tutto, e le
ricorrenze hanno un loro significato e, in genere è bene che ci siano. Il
problema è se queste ricorrenze debbano dare luogo e delle “feste”, ed io sono
convinto che questo non sia il tempo delle feste. E’ già passato il 1° Maggio,
ma decisamente il lavoro oggi in Italia ha assolutamente poco da festeggiare.
Esso tende a trasformarsi in una schiavitù di fatto, anzi in alcuni casi il
processo è già compiuto senza neppure la garanzia dalla fame e dalla malattia.
Davvero non trovo che vi sia nulla da festeggiare, e conseguentemente trovo
fuori luogo i concerti e i “concertoni” che i sindacati unitariamente
organizzano, anche ora che “unitariamente” non fanno più nulla, salvo le
ultimissime iniziative. Faccio salvo da queste critiche il concerto di Taranto,
nato proprio per contestare lo spirito di quello “ufficiale” di Roma. E se devo
essere sincero credo che i sindacati così come sono stati sin ora siano uno
strumento inadeguato. Serve organizzare solidarietà e lotta. Le lotte hanno un
costo i cui benefici ricadono su tutti ma i costi solo su chi lotta, e non può
più essere così, in oltre non possono più essere simboliche, devono continuare
sino a quando l’obiettivo non si raggiunge. Credo che ora si sia lontani da
ciò, mancano anche delle fondamentali premesse politiche. Ma questo è solo un esempio dei problemi che
pone oggi una ripresa efficace delle lotte del lavoro. Poi ci sono le
prospettive organizzative e politiche che vanno rielaborate in funzione delle
situazioni date. Serve unità effettiva e una organizzazione che comprenda al
suo interno i braccianti immigrati e schiavizzati, i giovani, vittime del
precariato in tutte le sue forme, oltre alle categorie di lavoratori che già
hanno una tradizione di sindacato, sebbene ora il sindacato rappresenta una
minima parte dei lavoratori, e non a caso. Quindi trovo che ci sia davvero poco
da festeggiare il 1° maggio di questi tempi se non per il fatto che sui media
si parla di lavoro per la circostanza. Se ne parla poco e malissimo, ma intanto
se ne parla. Allora preferisco parlare ancora del 25 Aprile. Anche questa pare
sia una festa, anche se, va detto, l’aspetto festaiolo incide assai poco sulle
iniziative che si prendono per la ricorrenza. Si sono svolte ancora cortei e
molte iniziative. A dire il vero c’è un impegno crescente a svuotare
ulteriormente una ricorrenza già ampiamente ridimensionata nel corso del tempo.
Comunque c’è una tradizione in queste manifestazioni che la tiene comunque
viva, ed è bene mantenerla. Vi è stata anche, il 24, un giorno prima perfino
una manifestazione dei reduci di Salò, svoltasi regolarmente senza che nessuna
autorità abbia sentito il dovere di interromperla e denunciare i partecipanti,
il fatto che siano stati per lo più anziani e reduci non deve essere una
scusante. Magari non li si manda in galera, ma un certo fastidio che ricordi
che queste manifestazioni non sono lecite andrebbe arrecato anche a loro. Poi
c’è stato qualche sindaco leghista che ha fatto deliberare perfino il divieto
alla banda del comune di suonare “Bella Ciao”, e a qualche altro ha fatto senso
che la banda di Milano suonasse “l’Internazionale”. Di questo passo, tra poco
ci racconteranno che la resistenza l’hanno fatta Bossi e Maroni, magari con il
supporto di qualche “ ’ndranghetista” amico loro. Anche, in questa occasione si
è dimostrato che l’apologia di fascismo, sebbene formalmente reato, è di fatto
largamente consentita. A Predappio c’è un museo dove ogni anno si commemora il
duce e la Repubblica di Salò, cosa che trovo un abominio da non potersi
giustificare neppure con una generica nostalgia del ventennio mussoliniano. Mi
illudo ancora che tutte le persone dotate di normale buon senso convengano su
questo. Meglio a Napoli, dove si è opportunamente associata la ricorrenza alla
protesta contro la camorra e dove si è allontanata la candidata del Pd alle
prossime elezioni comunali. E’ giusto che cerchi altrove i suoi voti. Ciò
premesso bisogna poi ammettere che, dalla maggior parte della popolazione
italiana questa ricorrenza non è sentita. L’antifascismo non è un valore per la
maggior parte di noi. Se si dovesse fare una inchiesta sociologica seria sulla
totalità della popolazione riscontreremmo questo tipo di carenza ancora oggi.
Nel passato invece gli esiti delle elezioni politiche del ’48, danno una idea
chiara dei rapporti tra gli italiani e la guerra di liberazione. Pare che essa
sia appartenuta solo a chi l’ha fatta, mentre chi ne ha tratto evidenti benefici,
pur senza sparare un colpo, prende le distanza, come da cosa che non lo tocca
da vicino. Certo il ’68 ha contribuito a rinforzare il senso dell’antifascismo,
ma ciò nonostante questa battaglia non è mai stata vinta, né credo, a questo
punto, lo sarà mai. La Costituzione che scaturì dall’antifascismo, già mai
applicata integralmente, è stata stracciata da un presidente del consiglio, spero
in modo non irreversibile, che assomiglia molto di più alla caricatura che ne
fa Crozza che ad una persona reale. Renzi ha il portamento, l’eloquio,
l’approccio comunicativo, proprio di un bulletto di periferia. La sua cultura
non va oltre questa dimensione psicosociale, e se vogliamo attribuirgli un
riferimento politico, è proprio quello di Mussolini; un uomo solo al comando con
una differenza a suo svantaggio. Renzi sceglie collaboratori che sono dei
semplici yes man senz’anima e senza
nessuna ipotetica autonomia, mentre i più fedeli collaboratori di Mussolini,
sono stati fucilati o comunque condannati a morte in seguito al terribile
processo di Verona del gennaio 1944. Insomma, nessun giglio magico defenestrerà Renzi, il gran consiglio del fascismo
era meglio. Loro avevano una statura politica perfino superiore. Del resto neppure
Renzi ha quella di Mussolini: è proprio vero che le tragedie, nella storia, si
ripropongono in forma di farsa. Infatti
il nostro bulletto è sempre in giro a propagandare sé stesso, molto più di un
piazzista di professione, e c’è da chiedersi quando trovi il tempo di leggersi
qualche carteggio. E’ evidente che delega ad altri yes men culturalmente dotati quanto lui l’attività che dovrebbe
essergli propria, col risultato di avere una produzione legislativa anche
formalmente scadentissima, in un campo in cui forma e sostanza si identificano
perfettamente. Basta leggersi gli articoli della riforma costituzionale che
riguardano le funzioni del nuovo senato, o il provvedimento che acclude il
pagamento del canone Rai alla bolletta dei consumi di elettricità, criticato perfino
dal Consiglio di Stato, che non è certo un organismo contrassegnato da
pregiudizio nei confronti di chi governa. Assai seria è la questione della
riforma istituzionale, che è effettivamente orientata alla legittimazione dell’
”Uomo solo al comando”. Non so formulare nessuna critica a riguardo senza
pensare ad un intervento di Aldo Giannulli, in forma di lettera al ministro
Boschi pubblicata da il “Fatto
Quotidiano” di domenica 27 luglio 2014 pag. 4 che riporto integralmente:
“Onorevole ministro,
Ella ha negato che le riforme istituzionali in corso d’opera
(in quel momento) costituiscono una svolta autoritaria. Non sarebbe la prima volta, che
da una norma costituzionale sbagliata seguano conseguenze gravi ed estranee
alla volontà del legislatore: sicuramente i costituenti di Weimar che
inseriscono lo stato d’eccezione, non immaginavano l’uso che ne avrebbero fatto
i nazisti 12 anni dopo. Il rischio insito in questa riforma è lo smantellamento
delle misure a protezione della Costituzione volute dai costituenti: il sistema
elettorale proporzionale (sottinteso dal testo) il bicameralismo perfetto con
la diversa base elettorale tra le due Camere, l’integrazione del collegio
elettorale del presidente della Repubblica con i rappresentanti regionali,
l’istituzione di un giudice di legittimità costituzionale, le maggioranze
richieste sia per l’elezione del Presidente quanto dei giudici della Consulta,
nonché per i processi di revisione costituzionale costituivano un insieme
organico di norme a tutela dei meccanismi di controllo e garanzia della
Repubblica. E questo per evitare il rischio di concentrare il potere nelle mani
di un solo partito da cui sarebbe nato un regime. Da circa vent’anni è iniziato
un processo di “mutamento costituzionale a rate” che ha finito per smantellare
quell’accorta architettura. Di fatto, è con il passaggio dal proporzionale al
maggioritario che è venuta meno la principale garanzia. Nel ventennio appena
trascorso è passato il costume, sconosciuto in passato, delle riforme
Costituzionali unilaterali, decise dalla sola maggioranza. In nessun sistema
basato su una legge elettorale maggioritaria, il processo di revisione
costituzionale è affidato al Parlamento, ma si prevede l’intervento del Capo
dello Stato o dell’equivalente della consulta o dl referendum popolare. Ora, la
riforma in corso di discussione travolge anche questi residui paletti,
lasciando sol quello tenuissimo, della prassi costituzionale. Con la riduzione
del senato a 95 membri, il parlamento in seduta comune passa da 1008 membri
(più gli ex presidenti) a 725, per cui la maggioranza assoluta dei votanti,
scende da 505 a 363 voti. Considerando che l’Italicum prevede un premio
elettorale di 354 seggi per il vincitore si ricava che bastino solo 9 senatori
per assicurare al partito di governo il potere di eleggere da solo tanto il
presidente della Repubblica quanto i giudici costituzionali. Il Capo dello
Stato, a sua volta, ha il potere di nominare altri 5 giudici che garantirebbero
una maggioranza precostituita nella corte dei giudici di ispirazione
governativa. Con la stessa maggioranza potrebbe essere messo in stato di accusa
il Presidente che, quindi, si troverebbe a dipendere totalmente dalla
maggioranza, perdendo la sua terzietà. La stessa nomina dei senatori non più a
vita ma per sette anni (come il mandato presidenziale) li configurerebbe come
una sorta di “gruppo parlamentale del Presidente” da affiancare alla
maggioranza. Certo le leggi costituzionali dovrebbero comunque passare al
vaglio del senato, che potrebbe avere un colore diverso da quello della camera.
Ma rimane il carattere “iper maggioritario” del nuovo Senato: eletto a
maggioranza dalle assemblee regionali, a loro volta elette con il
maggioritario. Questo significa la quasi totale esclusione delle formazioni
minori e la spartizione quasi a metà del rimanente dei seggi fra i due
principali partiti o (o coalizioni), ma quello di governo potrebbe giocare in
più la carta dei 5 senatori di nomina presidenziale. Di fatto, chi vincesse le
elezioni avrebbe il potere di mettere mano a piacimento alla Costituzione, e,
dove non vi riuscisse in sede parlamentare, potrebbe poi sempre contare su una
compiacente interpretazione di una Corte Costituzionale addomesticata. Questo
processo di revisione costituzionale inoltre, è condotto da un Parlamento che
ha un vizio di rappresentatività dichiarato dalla Consulta. Fra le democrazie
liberali, non mancano assemblee senatoriali non elettive, ma espressione di
poteri locali o nomine del Capo dello Stato, ma in nessun caso il senato ha
poteri di leggi costituzionali, ed è il prodotto di una doppia selezione
maggioritaria, che ne riduce enormemente la rappresentatività. In definitiva
avremmo un parlamento composto da una Camera di nominati e un Senato di eletti
di secondo grado con doppia selezione maggioritaria dal quale dipenderebbero
quasi totalmente tutti gli organi di controllo e garanzia e i processo di
revisione costituzionale: si tratterebbe di una situazione piuttosto anomala
nel quadro delle democrazie liberali.”
Non saprei immaginare una analisi così dettagliata meglio
formulata, e pacata nei toni. Il problema è cercare di capire
come si possibile che si siano creati in Italia i presupposti per cui
personaggi come Berlusconi e Renzi siano potuti divenire presidenti del
consiglio. Ho già scritto su questo blog che c’è stato in Italia un colpo di
stato autentico sebbene attuato in modo strisciante e graduale, ma non per
questo incruento. Dal ’78 a partire dal
rapimento Moro e dallo sterminio della sua scorta, e poi a perfezionamento
dell’opera già iniziata, con gli attentati e le stragi tra il ’92 e il ’93. Il
numero delle vittime è stato relativamente contenuto rispetto a quel che
avvenne in Sudamerica in circostanze di colpi di stato, ma l’uso ricattatorio
del terrore può produrre effetti sostanzialmente analoghi. In Italia l’intreccio
tra criminalità organizzata, eversione
e potere politico formale è di tutta evidenza, tant’è che abbiamo una
maggioranza di partiti impegnatissima a polemizzare con la magistratura
soprattutto quella inquirente, ad intimidirla ad inibirla per il possibile. Poi
la storia fa il resto, perché c’è una lunga serie di magistrati, a parte
Falcone e Borsellino, Chinnici, e tutti giudici uccisi dalla mafia, che per
continuare a vivere e ad essere persone oneste hanno dovuto lasciare la magistratura
medesima perché, da sempre, fare il magistrato coscienzioso in Italia implica
pagare un prezzo molto alto, anche quando non si giunge alla sua eliminazione
fisica. Voglio ricordare, per inciso, Luigi Tosti, magistrato rimosso
dall’incarico, e processato per essersi rifiutato di tenere udienza in un’aula
con il crocifisso. Vive ancora, ma non per questo cade il motivo di lagnanza
per qualsiasi persona civile di questo sciagurato Paese. Tutto questo ha a che fare con il 25 Aprile,
molto più di quanto non sembri. Anche se la retorica della vecchia DC e del
vecchio Pci, ha contribuito a far confusione, la mancata acquisizione dei
valori più autentici dell’antifascismo, ha fatto sì che non si fosse più in
grado in Italia di riconoscere come deleteri per la propria convivenza civile,
i valori e le politiche in sostanziale aderenza ai valori del fascismo
medesimo. La politica di sopraffazione criminale è sostanziale contiguità col
fascismo, ma non lo si è percepito come tale. Prospera un partito che si chiama Lega Nord,
inequivocabilmente razzista che viene percepito come un partito normale e
legittimo, che non a caso si allea apertamente a Roma con forze dichiaratamente
fasciste, e tutto ciò non viene percepito come “normalità”. Quel che voglio
sostenere, ancora una volta, è che ciò che una volta si chiamava opportunamente
“dominio di classe” oggi si esercita anche, se non soprattutto con l’attacco al
concetto di legalità. Questo, bisogna dirlo, in misura ben peggiore di quanto
non avvenisse nel ventennio mussoliniano, ed è un dato che accresce la
confusione a riguardo dell’antifascismo. Per Mussolini, lo Stato aveva una sua
funzione, per quanto reazionaria e discriminante, per i nostri governanti attuali
invece lo Stato è un semplice forziere da svuotare a proprio vantaggio,
all’insegna del “privato è bello” ogni carica istituzionale tende a disporre
dell’Istituzione che presiede, come fosse cosa propria, dai presidi che si
fanno costruire i bagni di loro uso esclusivo nelle scuole, agli ammiragli, che
stando a una certa vicenda che non voglio qui richiamare per intero, fanno
modificare i progetti di navi da guerra in funzione delle proprie comodità
abitative. Piercamillo Davigo nelle sue
esternazioni ha perfettamente ragione, tant’è che si è alzata la voce dei
corifei renziani, tra cui udite udite, perfino quel personaggio che risponde a
nome di Massimo Gramellini, che atteggiandosi a maître à penser tutte le settimane, nella trasmissione televisiva
condotta da Fabio Fazio “Che tempo che fa”, ci ammorba con le sue banali
ovvietà, quando non irritanti assurdità. Ebbene il controllo dei mezzi di
informazione è un altro tratto distintivo del fascismo, che non riconosciamo
come tale. Tra l’altro Fabio Fazio ha l’alea di un personaggio di “sinistra”
tra i conduttori televisivi. Questi sono tra i tanti motivi, per cui è del
tutto legittimo parlare di Resistenza tradita, perché l’abbiamo tradita davvero,
perché nessuno rivendica più la sua natura di lotta di calasse, senza di che
non si sarebbe mai concretizzata, almeno in Italia. Si blatera ancora di “questione morale”, ma la
situazione è molto più grave della questione morale. Sul “Il Fatto Quotidiano” di
oggi, 4 Maggio 2016 Marco Travaglio, opportunamente, scrive una lettera
pubblica al presidente Mattarella, perché non avalli la nomina del generale Toschi
a comandante generale della Guardia di Finanza. Andatela a leggere.
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