All’indomani del primo turno di queste pur parziali
elezioni amministrative, leggendo i dati pubblicati su “La Repubblica” di oggi che
confronta glie esiti attuali, in termini di numeri di voti, con le ultime
regionali, è evidente che la PdL subisce una flessione che non coincide
perfettamente con l’azzeramento matematico, coincide in vece con l’azzeramento
politico, perché alla sua gravissima flessione non è tale da potersi connotare come oscillazione elettorale
fisiologica, perché è qualcosa di molto più grave, tanto
più che si somma con analogo arretramento della Lega Nord, che cessa di essere
un importante partito di riferimento per il nord Italia. Ciò significa che il
centrodestra che ha pesantemente governato nei passati decenni con politiche
improntate al razzismo più puro, alla disarticolazione dello Stato nella sua configurazione
uscito dalla Resistenza non esiste più. E’ stato travolto da una crisi
drammatica che ha indotto cittadini a pronunciamenti elettorali, si badi bene,
che sconfessano le politiche di tutti i partiti presenti in parlamento. Ancora
una volta fa velo mediatico a questa realtà l’atteggiamento del Pd, che ha, con
Bersani, la faccia tosta di dire che avanza sulla base del numero di
amministrazioni che passano o passeranno dal centrodestra al centrosinistra.
Questo calcolo, sotto il profilo politico è assai fuorviante, perché il Pd, dal
punto di vista del numero dei voti, subisce un severissimo arretramento
certamente non uguale a quello subito dal PdL ma resta comunque un arretramento
gravissimo. Tale gravità sfugge alla visibilità mediatica che pure merita, per
effetto, come vien fatto notare da più parti di una forma partito più elastica.
In realtà il Pd è un partito contenitore, in cui è possibile trovarci di tutto.
In Puglia, ad esempio ci sono diversi
comuni in cui vanno al ballottaggio due candidati di centrosinistra. Se
vogliamo essere seri dobbiamo dire che il radicamento del gruppo dirigente del
Pd, nel Paese Italia, non è molto
diverso da quello del PdL. Le situazioni di Genova, Palermo, che si aggiungono
a quelle di Napoli e Milano nelle passate tornate elettorali, dimostra appunto
questo, che sono le stesse primarie a sconfessare le indicazioni della
segreteria, senza di che la sconfessione si riscontrerebbe inevitabilmente nel
voto vero. Insomma il Pd resiste un po’ grazie a Vendola, è un paradosso, ma è
così. Infatti sono convinto che Vendola, se avesse il coraggio di un attacco
frontale al Pd, perderebbe sicuramente la Regione Puglia, ma raccoglierebbe,
verosimilmente, più voti di Grillo a livello nazionale, invece anche Sel perde
voti rispetto alle regionali, seppur di poco, e anzi è cresciuta nei capoluogo
di provincia. Del resto non si può avere tutto. Ma c’è un fatto importantissimo
che non ha ricevuto il dovuto spazio mediatico, ma ne meriterebbe di più dell’esito
del voto e del successo di Grillo. In Sardegna,
domenica 6 maggio u.s. appena tre giorni addietro, 535.000 elettori hanno
partecipato ad un referendum sull’abrogazione delle ultime provincie sorte nel 2001,
ossia: Carbonia Iglesias, il Medio Campidano, Olbia Tempio e l’Ogliastra. Il referendum ha retto al quorum richiesto per
cui queste provincie verranno abolite, mentre il medesimo referendum ha dato
parere favorevole all’abolizione delle provincie storiche. Ecco la Sardegna ha
dato un messaggio importante a tutta l’Italia, grillini compresi, mentre noi
pugliesi, ad esempio in condizioni politiche e ambientali ben diverse rispetto
alla Sardegna, ci teniamo anche la BAT, ossia Barletta, Andria Trani, perché non
si sono messi d’accordo neppure per un capoluogo di provincia, a dire quale
impulso nobile presieda la sua nascita. Questo
messaggio tuttavia è passato sotto il sostanziale silenzio dei massmedia, che
hanno dato maggior rilievo al battibecco tra Napolitano e Grillo. In questo
blog ho già trattato del rapporto tra l’Italia e Sardegna, quasi che questa
meravigliosa isola fosse qualcosa di marginale alla nazione stessa. Ho già
detto dell’emarginazione della sua storia dai nostri testi di studio, e non
solo dai manuali scolastici, a riprova di un limite culturale, in un contesto
in cui viceversa ha potuto prendere corpo in Italia un partito folle, animato
da ideologie folli, gestito da personaggi folli a loro volta che solo ora pare
destinato al declino, che l’ha dominata
per decenni, imponendo leggi assurde e dispendiose, neppure abrogate ora che è,
teoricamente, all’opposizione, che pare coinvolta in operazioni di riciclaggio
della ‘ndrangheta. Questo partito della Lega Nord era gestita in regime monarchico
da un signore assai caratterizzato da una capacità comunicativa, tutta
imperniata su monosillabi, al massimo bisillabi, o gesti e gestacci di vario
tipo, e aveva come erede designato ufficialmente e pubblicamente, un erede le
cui imprese culturali, si fa per
dire, riempiono le cronache di questi giorni prima del voto. Questo stesso
paese, nel secolo scorso ha tenuto un intellettuale come Gramsci, nato ad Ales,
in Sardegna, provincia di Oristano, che non fa più notizia dai tempi del
banditismo, a morire in carcere, altri
ne ha esiliati, altri ancora li ha ridotti al silenzio, e li emargina in
continuazione. Questo paese, i suoi intellettuali, non avrà davvero un periodo
di pace e prosperità, se non ha la capacità di riflettere su sé stesso e sulla
sua propria storia, se non sarà capace
di dibattere sottraendosi alla dittatura delle priorità mediatiche, se non comprende l’impossibilità
di una Europa continentale che vuole stritolare i paesi del Mediterraneo,
autentico nodo di possibile pace e sviluppo, più di quanto non lo siano le
banche tedesche. Se non si apprendono sino in fondo i valori della democrazia,
quei valori nati in quella Grecia che l’Europa sta martirizzando. Quella
democrazia alla luce della quale, si dovrebbe comprendere come in Italia, questo parlamento rappresenta, mai con tanta
evidenza come in questo momento alla luce di questi pronunciamenti popolari,
seppur parziali, solo se stesso e i poteri più o meno occulti che gli sono
sottostanti. Ci sono questioni aperte come la nomina del
nuovo CdA della Rai, le possibili riforme della giustizia su cui pendono ancora
gli interessi di Berlusconi nell’ultimo e più pittoresco dei suoi processi,
quei processi cui si voleva sottrarre in quanto eletto dal popolo. Sono
questioni cui l’insieme dei massmedia ancora controllati dal medesimo Berlusconi,
non dà il dovuto risalto, con i giornali di sua proprietà che invocano l’abbandono
del governo Monti ma non, ovviamente, che restituisca il maltolto agli italiani.
Governo Monti che platealmente ormai si regge solo sul Pd. Riporta un
trafiletto a pag. 9 de “Il Fatto Quotidiano” di oggi a firma di Caterina Perniconi, che: ‹‹ Il deputato
democratico Roberto Giachetti ha presentato una proposta per limitare le
prestazioni “fuori ruolo” di magistrati ordinari, amministrativi e contabili e degli
avvocati e procuratori dello Stato. (….) Una misura che fa infuriare molti
papaveri di Stato. Ma che, incredibilmente, nonostante il parere contrario del governo, ha ricevuto l’ok da tutti i
partiti politici. Pd escluso. Sì, proprio il partito del proponente, Giachetti. ››. Il provvedimento è volto a limitare poteri e
prebende degli apparati burocratici dello stato, ma il governo che taglia le
pensioni, non vuole tagliare le prebende dei propri
collaboratori. Il ruolo del Pd, diventa sempre più kafkiano. Fosse possibile
fermare, come con uno scatto fotografico del mio amico Mammone, l’immagine questo momento storico,
risulterebbero con una evidenza impensabile in altri momenti, i problemi
strutturali del nostro Paese, tutto sta a vedere a quante persone farebbe
piacere guardarla.
Nessun commento:
Posta un commento