venerdì 15 aprile 2011

Noi e Loro, immigrazione, emigrazione e il razzismo

Con intensità varia arrivano dall’Africa a Lampedusa barconi di emigranti africani. Intanto non arrivano solo a Lampedusa, solo che si è scelto di spettacolarizzare in modo crudele  e criminale solo la situazione di Lampedusa.  E, a parte ciò, la dizione più corretta per riferirsi alle persone che riempiono quei barconi sia appunto quella di emigranti. Il gioco linguistico del razzismo ci tiene ad alterare questo dato, perché il termine emigranti, e non “clandestini”  e barbarie simili, chiarirebbe in partenza un problema. Costoro che arrivano non sono “altro” da noi. Siamo la stessa cosa, emigranti loro come quegli emigranti che siamo stati e che riprendiamo ad essere, e riprenderemo ad essere in misura crescente. Il destino dei nostri figli è già segnato in questo senso. Del resto siamo, grosso modo sulla stessa barca, è il caso di dire. Certo con una differenza drammatica, tra lo “stare in barca” degli emigranti africani e lo stare in barca di chi su questi lidi è approdato da alcune generazioni.  Il dramma nel dramma è che  parlando di questi argomenti, anche con persone elettoralmente orientate a sinistra, con laurea e sensibilità per i problemi sociali del nostro tempo, magari coinvolti in prima persona in questi problemi, come i precari della scuola, ad esempio, ricavo la sensazione, confermata anche da rilevamenti statistici, che è fortemente sentita, in modo diffuso, questa distanza tra “noi”  e “loro”.E non si  comprende che posizioni diverse non si poggiano sul “buonismo”, ma sulla constatazione che nella partita della storia nel  dare e nell’avere, loro sono quelli che hanno dato e noi siamo quelli che hanno preso. Sono in credito nei nostri confronti. Un po’ e come se ora venissero ad esigerlo, eppure non vengono in questa veste, vengono nella veste di chiede delle opportunità, uno ad uno, nelle modalità  del nostro essere moderni. Tra loro sono compagni di viaggio, non c’è nessun progetto d’assieme. Vengono a chiedere di poter avere qui in Europa quelle opportunità che noi abbiamo negato alla radice a loro,  in Africa, quella che loro abitano e che è  la terra più ricca del pianeta. Questa negazione è l’esito del colonialismo prima e dello scambio ineguale poi,  frutto comunque di quella violenza coloniale che è tutt’altro che cessata.  Così come chi abita le terre in cui si parla italiano, grosso modo, non comprende che non c’è alterità, pur con stridenti differenze, tra noi e loro, gli emigranti di pelle scura non comprendono che in realtà non c’è  alterità, neppure tra qui e . Loro sono convinti che questo sia un altro mondo, in realtà siamo nello stesso mondo, e che la crisi da tempo sta operando una azione livellatrice grandiosa, i cui effetti non si evidenziano ancora a tutto tondo, ma è solo questione di tempo. Ma nelle more, nessuno ha diritto di dire a chicchessia dove stare, dove abitare o come vestirsi e quant’altro. Il trucco consiste nel far credere che questo sia un problema terribile, in realtà l’unica cosa che prema a Maroni, a Bossi, a Calderoli, a Berlusconi e compagnia bella, è che la “gente”, i comuni cittadini, percepiscano una   alterità, tra noi e loro che, obiettivamente non c’è. Si deve far credere che affogando Loro  ci salviamo Noi. Ma non è così, stiamo tutti sulla stessa barca, che affonda dove più lentamente dove più velocemente, ma ci salveremo, se ci salveremo, solo se stiamo assieme, gomito a gomito. Altrimenti affogheremo tutti, chi prima e chi dopo, chi più velocemente chi più lentamente, ma se non ci sentiremo tutti dalla stessa parte, affonderemo, inesorabilmente.  

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