martedì 5 luglio 2011

L’Afganistan e la psicologia degli Usa.


E’ di questi giorni la notizia di importante finanziamento nell’ordine dei milioni di dollari con cui gli Usa intendono avviare programmi di sostegno psicologico a favore di soldati  che combattono in Afganistan, onde prevenire o porre rimedio ai disturbi comportamentali  che affliggono i soldati stessi, che vanno dalle manifestazioni di violenza gratuita, a danno di donne e bambini, che sono spesso le loro stesse mogli e i loro stessi figli, fino al suicidio. Ora la notizia in sé non ha nulla di straordinario. Il problema dei suicidi in ambito militare è antico, gli studi più famosi a riguardo sono quelli di  Emile Durkheim, e quindi si potrebbe che non vi sia nulla di nuovo sotto il sole. In realtà le novità ci sono, perché è evidente che Durkheim, si proponeva fini meramente scientifici, salvo poi alle istituzioni francesi usarli a proprio discernimento. Invece questa è la prima volta che io sappia, in cui non c’è un fine di ricerca, ma obiettivi da raggiungere, a prescindere dalla fattibilità.  C'è un riconoscimento esplicito, da parte dell’esercito Usa che i combattimenti in quanto tali, sono cause scatenanti il disagio psicosociale, e annettono ad esso un aspecifica incidenza sugli esiti dei conflitti. Ben inteso in Usa la ricerca psicologica per fini militari è antica, e verosimilmente e grazie a questi fondi, che la stessa ricerca  ha realizzato progressi di assoluto rilievo scientifico. Solo che in questo caso giunge alla massima estensione l’applicazione che ha caratterizzato un certo tipo di ricerca americana, che alla fine giunge a negare le fondamenta delle basi scientifiche proprie della psicologia. Ossia la concezione per cui la psicologia è uguale alla magia, per cui tutto è possibile. In realtà la psicologia è tutt’altro. E’  certamente vero che negli Usa hanno fatto suonare adeguatamente il pianoforte a dei volatili, ma tuttavia la psicologia non è onnipotenza. Non comprendere che i programmi di tal fatta sono destinati, in senso generale, al più completo fallimento, dà l’idea della crisi anche culturale che attanaglia la nostra società. Non è esiste altro modo di evitare le crisi dei soldati Usa, se non quello di non farli più combattere. E’ follia di per sé, pensare che si possano mandare decine o centinaia di migliaia di giovani a combattere in terre lontanissime, la cui esistenza è spesso ignorata sino al momento di recarvisi, senza nessuna motivazione plausibile, senza che ciò  comporti degli scompensi psichici.  Eppure siamo a questo. Del resto la malattia mentale  è sempre stato una possibile risposta degli individui ai problemi sociali, solo che ora il problema sta diventando sempre più drammatico. Anche i licenziamenti provocano suicidi in misura davvero drammatica, e il problema sollecita riflessioni di ogni   genere in diversi ambiti di ricerca, ma anche qui le soluzioni sono tanto semplici quanto impossibili al momento: basterebbe evitare guerre e licenziamenti, ma come tutti sappiamo, la cosa è di là da venire.

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