domenica 13 febbraio 2011

La crisi e i partiti comunistri in italia



Ho militato per i migliori anni  della mia gioventù, nel tentativo, o nell’illusione di costruire, o di contribuire a costruire, un partito comunista, e poi nell’  ‘ 80 mi sono iscritto,per ripiego, all’unico partito comunista con qualche giustificazione di esistere quale era il vecchio PCI.  Poi l’ ’89, il crollo del muro di Berlino con quel che segue, ha imposto delle riflessioni. Solo che le mie sono andate in direzione diametralmente opposta a quelle della quasi totalità dei miei compagni di lotta, poi diventati magari amici, qualcuno anche nemico acerrimo, ma non più compagni di militanza, che finirono, devo dirlo, per omologarsi con il pensiero di coloro che sino a quel momento avevamo avversato. Insomma da quelle vicende, grosso modo, nasce il “pensiero unico”, la difficoltà di distinguere tra destra e sinistra, che tanto inchiostro ha fatto scorrere.  Dall’ ’89 è sostanzialmente originata, anche se vi erano già tutte le premesse politiche e culturali,   la deriva del postmoderno, contro cui mi dedico in questo blog.  Ora vedo sulla mia posta elettronica il sorgere di una serie di partiti comunisti. Spuntano come funghi, spesso sono gli stessi dirigenti che fondano e rifondano partiti comunisti, come fossero piantine di un orticello. Sono disgustato.  Dal crollo del muro di Berlino si è fatta derivare la fine del marxismo, nonostante bastasse essere appena animati da un minimo di onestà intellettuale, a mio modestissimo parere, per concludere che tra la costruzione del muro di Berlino, il suo abbattimento e il pensiero di Karl Marx e Friedrich Engels,  non v’è rapporto alcuno. E francamente nemmeno con le peggiori vulgate reazionarie di quanto  Stalin ha detto, scritto o fatto, può essere colto un nesso. Eppure così è stato rappresentato la svolta dell’ ’89. In realtà la svolta, obiettivamente c’è stata, ma a parer mio riguarda appunto gli apparati ideologici che furono creati a partire dalla esaltazione farneticante di questi personaggi della storia, da dirigenti del tempo che sfruttando il bisogno di appagamento del senso di appartenenza, connesso con le crisi economiche dei vari periodi della storia, hanno prodotto apparati di massa, che non erano previsti da nessuna elaborazione teorica dei personaggi citati, i quali hanno dato vita a complessi organismi di orientamento sostanzialmente regressivo nella vita delle comunità in cui si sono sviluppati. Il partito di massa di Togliatti, come il “Socialismo in un paese solo” di Stalin  nulla hanno a che fare col pensiero di Marx, al contrario lo contraddicono platealmente. Marx ha sempre pensato e agito in termini di “internazionale” mai di singoli stati. Questo comunque è un discorso assai grossolano, che meriterebbe un approfondimento e una dettagliata analisi caso per caso. L’esperienza di Tito in Jugoslavia, costituisce una esperienza a sé come l’esperienza dello stalinismo  in Unione Sovietica, come l’esperienza dei paesi dell’estremo Oriente, a partire dalla Cina di Mao, o di Castro a Cuba, e così via. Solo che il discorso è troppo lungo e complicato per esaurirlo nello spazio di un post. Quel che mi viene da ribadire che il marxismo, il materialismo dialettico, lungi dall’essersi esaurito, può e deve ritrovare vitalità ed efficacia, se praticato al di fuori di ogni senso di appartenenza. Marx può essere oggetto di studio e di lavoro politico e intellettuale, con il massimo di senso critico, mai più, mi auguro, strumento  di lavoro di propaganda e di esaltazione acritica. Comunque al di fuori di qualsiasi senso di appartenenza. Insomma richiamarsi al marxismo, di per sé non dice nulla, né bisogna consentire che la cosa abbia implicazioni di sorta, né deve  poter instaurare, di per sé, un rapporto privilegiato tra coloro che dicono di richiamarsi ad esso. Insomma la solidarietà va praticata sempre e comunque, a prescindere dai richiami ideologici e culturali.  In definitiva il marxismo non può essere la riproposizione di riti chiesastici, così come è avvenuto in una parte del mondo, a partire dagli anni trenta del novecento in poi. Con questo non voglio disconoscere quanto di positivo hanno significato, sia pure con questi limiti di fondo, che minano la coerenza rispetto al marxismo, non altro, le esperienze dell’ Europa dell’est, come di tanti paesi dell’ estremo oriente. Né può valere una concezione chiesastica appunto, per cui  tutto ciò che non è marxismo è, ipso facto, perdizione dell’anima. Io credo, e penso di poggiare questa convinzione su dati di fatto perfino evidenti,  che quei regimi  per quei popoli, al netto della propaganda ideologica, siano preferibili a quelli di oggi, che hanno portato in moltissimi casi perfino alla perdita di identità statali, con conseguente precipitazione in basso, delle condizioni di vita, per tanta parte di quelle popolazioni. Ma non si tratta solo di questioni a dimensione locale. Non so dire quanta coerenza vi sia nel marxismo di Tito ma credo di poter affermare che egli fu un protagonista positivo tanto della lotta al nazifascismo quanto del movimento degli stati  “ non allineati” del dopoguerra.  Questa è per me, la lezione dell’ ’89.  Soprattutto , il marxismo non va usato strumentalmente per creare organizzazioni di massa che in realtà si reggono sulla loro capacità di appagare il bisogno infantile perfino, del senso di appartenenza, di obbedire ad un capo per bisogno psicologico, a prescindere da una analisi distaccata, razionale e obiettiva delle tesi e degli atti compiuti da questi personaggi. Insomma credo che questa stagione, per fortuna, sia chiusa per sempre, ed è il motivo per cui non credo alle rifondazioni, o a qualsiasi partito abbi ancora la falce e il martello su bandiera rossa come simbolo, per presentarsi alle elezioni e lucrare, possibilmente i vantaggi connessi.  Certo, mi piacerebbe che Sinistra, Ecologia e Libertà, si chiamasse Lavoro, Ecologia e Libertà, perché il senso di Sinistra va ripensato nel profondo, e non dato come fatto acquisito. Il fulcro delle battaglie di progresso, per il futuro, dovrebbero avere, e verosimilmente avranno, i temi del lavoro, con protagonismo operaio, e del senso di un nuova concezione dello sviluppo economico, che incorpori in sé tanto i temi della giustizia sociale e della eguaglianza dei diritti tra gli appartenenti al genere umano, a prescindere dalle appartenenze di sesso e di luogo d’origine, quanto quella della salvaguardia della natura. Sono temi profondamente interconnessi tra loro, perché ormai lo “sviluppo”  capitalistico entra sempre più in rotta di collisione con le possibilità stesse di sopravvivenza del genere umano.  Il termine “sviluppo” va messo tra parentesi, perché anche questo è un termine il cui significato consueto e consolidato, ormai, abbisogna di una profonda rivisitazione. 

Nessun commento:

Posta un commento