sabato 5 marzo 2011

La rivolta del Nord Africa e la questione di Cuba


Cosa stia succedendo realmente in nel nordafrica, non mi è chiaro. Delle informazioni “a caldo” dei nostri media diffido, per cui non riesco a farmi una idea precisa. A quanto pare, con tutta la circospezione del caso, non c’è un movimento omogeneo dal Mar Rosso all’ Atlantico, così come pareva nei primi giorni. L’Algeria è presto scomparsa dalle cronache di rivolta “forte”, e solo la Tunisia e l’Egitto pare abbiano seguito un percorso relativamente omogeneo. Sembra che vi sia stato un movimento  “totale”  di popolo (le virgolette sono d’obbligo, perché in situazioni simili è tutto relativo) in grado di abbattere i regimi al potere. Ora che queste notizie, pur nel dramma delle vittime  che comportavano,  comunicassero un senso di effettiva esultanza per la constatazione della fermezza con cui quei  popoli volessero determinare gli assetti di potere nei loro paesi e non più subirli passivamente, è cosa per me ovvia.  Comunque nella penisola Arabica i primi cenni di rivolta, pare siano rimasti senza seguito, mentre un capitolo a sé pare sia diventata la Libia. Quel che non condividevo nei commenti che  sono seguiti, ai fatti dei primi giorni è una sorta di euforia da liberazione complessiva, come se -  è questo il messaggio che se ne ricavava soprattutto dai commenti della  sinistra-   quelle lotte fossero da iscrivere sicuramente in un movimento “naturale” verso la Democrazia, intesa nelle forme di democrazia che noi conosciamo, e che assumerebbero,  per ciò stesso, valore assoluto confermato da un processo e da eventi eccezionali e irrefrenabili. Che così non fosse era per me una petizione di principio, perché confesso una certa irritazione verso tanta parte della sinistra, che con gli occhi e la mente ancora fermi al ’89 vedono ogni avvenimento come conferma della giustezza delle critiche ai regimi del cd socialismo reale. Ancora. Ma ora i fatti sembrano dire altro, proprio perché è evidente che non si tratta di un movimento unico e complessivo. Tuttavia le discussioni, in Italia a sinistra, replicavano  l’atmosfera da “caduta del muro di Berlino”. Le discussioni in Italia  a sinistra sul fatto che  l’Unione Sovietica non fosse un modello cui conformarsi partivano dal  ‘ 69, ma ciò è stato rimosso, perché il problema sul tappeto, ancora oggi, non è solo quello, ma pare incomba sulla sinistra , il compito di “legittimare”  sul piano universale, il modello di democrazia occidentale, come l’unica forma di democrazia possibile. Non è così, non lo è mai stato, e non lo dico io, ma i fatti che vengono ignorati da tanti compagni.   Voglio solo sperare che qualunque sia la concezione di democrazia cui si possa aspirare nella sinistra, al di là delle forme giuridiche, vi siano dei valori. Nell’ Occidente “democratico”  o  nel modello USA vi è una configurazione di sistema assolutamente caratterizzante ed ineliminabile che implica il diritto ineguale, per censo sociale e razza. Infatti nei posti di lavoro vi sono diritti ridotti per i dipendenti e nella società vi sono discriminazioni di razza e di censo, non solo sul piano  sostanziale ma anche formale. Il modello di  democrazia  europea di origine illuminista era  già molto meglio, ma non sembra avere da noi un grande fascino. S critica il berlusconismo, ma non si vede o non si vuol vedere il disegno di sistema  sottostante, destinato se non si colgono correttamente i processi in atto, a disvelarsi pienamente  solo dopo la fine del cd berlusconismo. Il problema dei privilegi delle persona alla presidenza del consiglio, fanno velo a questo processo. Ossia il problema è di allontanare l’Italia dal modello di democrazia europea di origine illuminista a quello  al modello Usa. Eppure si accoglieva con enfasi “liberatoria”  il fatto che le masse del nordafrica si liberassero dai regimi equiparati a quelli di modello  sovietico. Per cui Gheddafi era paragonato a Stalin per cui  dopo Gheddafi si poteva tranquillamente abbattere anche il regime cubano. Cosa avessero in comune Gheddafi e i fratelli Castro, lo sa solo dio perché alla luce del più elementare buon senso le situazioni di Cuba e della Libia non hanno nulla in comune, almeno  in un discorso in  positivo. L’unica comunanza possibile riscontrabile è in negativo, e cioè  nel fatto che ambedue i regimi si discostano da un modello ideale, dato come ben configurato e valido universalmente. Ora sfido qualsiasi persona di buon senso e di spirito democratico  a non vedere come nella sfida perenne tra  gli Usa e Cuba tutte le ragioni, fuor di propaganda, sono dalla parte di Cuba, e che i vari Gheddafi, Mubarak, Ben Alì, erano e sono rimasti lì al loro posto per tutelare gli interessi Usa e Occidentali in genere. Ora, si dice, mentre in Libia è in corso una guerra civile, Gheddafi se ne deve andare. Lo dicono tutti anche coloro che sino a non molto tempo addietro gli baciavano la mano e lo ricoprivano di onori. Per quel che mi riguarda Gheddafi può andarsene anche prima di adesso, ma il problema è : chi lo decide? Obama, Berlusconi, Frattini, e compagnia bella? Ecco che torna il problema della democrazia, che in ultima istanza dovrebbe risolvere una questione di fondo se vuol essere tale:  chi decide? E soprattutto chi decide in un mondo effettivamente “globalizzato” in cui i vecchi Stati –Nazione e le loro forme di democrazia, sono evidentemente in crisi irreversibile, e palesemente, non hanno più modelli da offrire né tantomeno, voglio sperare, sogni (o incubi, a seconda) da inseguire.  

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